In Spagna la sinistra boccia il piano delle privatizzazioni di C. Roc

In Spagna la sinistra boccia il piano delle privatizzazioni Contrari anche i socialisti, favorevoli quando erano al governo In Spagna la sinistra boccia il piano delle privatizzazioni MADRID. Rovente polemica sul piano delle privatizzazioni approvato venerdì scorso dal governo di centrodestra di Aznar. Mentre i sindacati sono già scesi sul piede di guerra ed i comunisti di Izquierda Unida 10 bocciano senza mezzi termini, anche i socialisti, che dall'85 al '96 hanno privatizzato quaranta imprese pubbliche per un valore di circa quindicimila miliardi di lire, accusano l'esecutivo di varare «misure di destra». Il «Programma per la modernizzazione del settore pubblico imprenditoriale» prevede, nell'arco di quattro anni, la messa sul mercato del fior fiore delle imprese, di cui 11 ministero per l'Industria è l'azionista di riferimento, e producono utili ed eccellenti performance: la petrolifera Repsol, Gas Naturai, il consorzio bancario «Argentana», Telefonica e Tabacalera. Valore: circa 35 mila miliardi di lire. Il piano spazia oltre il quadriennio. Tutte le imprese pubbliche, oltre un centinaio, sono state divise in quattro gruppi. Oltre al primo, già menzionato, il secondo (pure questo redditizio) comprende aziende come l'appetitivissima Elettrica Endesa: una serie di industrie che, prima di essere vendute, richiedono che venga messa a punto la deregulation del settore. Il terzo gruppo, fra cui figura la compagnia di bandiera «Iberia», necessita una previa ristrutturazione. Il quarto, imprese minerarie e cantieri navali, è l'unico che non sarà venduto. I sindacati hanno già fissato un'assemble nazionale per il 10 luglio in cui stabiliranno il calendario delle mobilizzazioni. Criticano il governo «perché mette in pericolo introiti sicuri per lo Stato, perché il pubblico dev'essere uno strumento fondamentale per la politica industriale e perché produrrà pesanti tagli occupazionali». La reazione più inaspettata è quella dei socialisti, sostenitori a spada tratta, quando erano al governo, delle privatizzazioni, mai criticate da Aznar. L'ex premier Felipe Gonzàlez in persona le bolla «di destra, vendite troppo improvvisate». Anche «El Pais» è ipercritico. In un duro editoriale titolato «Chi compra» scrive: «Il piano presenta troppi punti oscuri. Dopo i movimenti dei grandi gruppi bancari, finanziari e industriali, bisogna evitare sia un'abusiva concentrazione del potere economico sia l'accumulazione dei rischi nel settore bancario, che in passato hanno creato pesanti guai. Devono imporsi le ragioni economiche su qualsiasi tentazione clientelare». Gian Antonio Orighi 27% sui certificati di deposito e ciò ha contribuito a deprimere il listino. Solo le Ambroveneto, tra le banche più importanti, si sono apprezzate del 2,61%, mentre le Comit hanno ceduto il 2,49%, le Credit il 2,02% e le Bancaroma il 2,97%. Eppure, mai come in questo momento, in giro per l'Italia, embra esserci voglia di Borsa, come non accadeva da armeno una decina d'anni. In questo momento, nonostante l'apatia del listino, per le «matricole» sembra una stagione d'oro. Tirano «star» come l'Eni, che dal giorno della quotazione ha guadagnato quasi il 50%, ma tirano anche «griffe» come Bulgari, che invece hanno guadagnato addirittura il 180%. Dal 22 maggio dello scorso anno, quando fece il suo esordio la Ima, sono ben 14 le società che hanno fatto il loro esordio al listino ufficiale. E spesso sono state sommerse di richieste, come l'Esaote, dove la domanda ha superato di ben trenta volta l'offerta, o la Carrara, un'azienda leader nella produzione di assali per trattori, che a fine dicembre era quotata a 4.500 lire e oggi veleggia sulle ottomila. L'Esaote, dal canto suo, sei mesi fa oscillava sulle 3.900 lire, mentre oggi è aggrappata a «quota seimila». Ora tutti guardano con attenzione a un'altra matricola, la Reno de Medici, azienda leader nel settore del cartoncino, che debutterà al listino l'I 1 luglio. Ma tutti gli occhi sono puntati su Mediaset, il cui collocamento, come detto, inizia domani per approdare in Piazza Affari a metà mese. Fedele Confalonieri, che presto lascerà la Fininvest per guidare Mediaset è soddisfatto dell'intera operazione. Per gli azionisti il conto è presto fatto. Poiché il quantitativo minimo acquistabile per diventare soci Fininvest è di 500 titoli, chi vorrà ascoltare i consigli di Maurizio Costanzo, Ambra e Mike Bongiorno dovrà sborsare un po' più di tre milioni. [c. roc]

Persone citate: Aznar, Bulgari, Fedele Confalonieri, Gian Antonio Orighi, Maurizio Costanzo, Medici, Mike Bongiorno, Pais, Unida

Luoghi citati: Italia, Madrid, Spagna