la prigione dei piccoli schiavi
Segregati in un vecchio capannone, erano utilizzati per chiedere l'elemosina in centro Segregati in un vecchio capannone, erano utilizzati per chiedere l'elemosina in centro la prigione dei pigoli schiavi Sei giovani albanesi scoperti a Milano MILANO DALLA REDAZIONE Una porta di ferro, dipinta di rosso, e una grossa catena avvolta in una plastica blu. Erano li, dietro quella porta, mezzo addormentati, impauriti dal fumo e dal trambusto, i sei ragazzi albanesi, nome sconosciuto, età indefinita, quattro minorenni, undici anni forse il più piccolo, non più di diciassette il più grande. Quattro piccoli schiavi, quattro tra le decine di piccoli albanesi che ogni giorno a Milano - terra promessa diventata per loro un inferno - chiedono l'elemosina agli incroci. Erano lì, dietro quella porta di ferro rossa tenuti sottochiave, segregati, in un vecchio stabilimento della Milano che non c'è più. Stabilimento glorioso quello della Richard-Ginori che proprio qui, a dieci metri dal Naviglio, aveva la sua antica sede. Da unni è un cumulo di ferri vecchi e di ruggine, mura cadenti, un cimelio della Milano industriale dei tempi andati abitato, la notte, da una cinquantina di extracomunitari che da qualche tempo hanno trovato riparo sotto questi vecchi capannoni. Quasi tutti immigrati irregolari, senza nome e senza documenti, per letto un materasso raccolto in qualche discarica, per comodino una cassetta della frutta. Li hanno scoperti per caso, ieri mattina, i quattro piccoli schiavi albanesi e i due un po' più grandi. Alle 7 e mezzo qualcosa va a fuoco nel vecchio stabilimento di via Morimondo, una vietta che costeggia il Naviglio grande. Brucia qualche cassetta, qualche cartone, forse un materasso. Qualcuno avvisa i vigili urbani che arrivano in pochi minuti. Per fortuna l'incendio è poca cosa, molto fumo ma nulla di preoccupante. All'arrivo dei vigili, è subito fuggi fuggi: per chi di documenti in tasca non no ha, meglio evitare controlli e risposte a domande imbarazzanti. Scontato. Persino i vigili sembrano chiudere un occhio ma quella porta, chiede qualcuno all'improvviso, perchè quella porta rossa è chiusa con la catena? «Forza, chi ha le chiavi, apra subito». Un attimo di silenzio e poi l'uomo delle chiavi si è fatto avanti. Albanese anche lui, Ismet Malocaj, nessun documento in tasca, 27 anni malportati. Sciolgono la catena, i vigili, e i sei prigionieri sono li davanti, impauriti e mezzo addormentati. Nessun dubbio sul perché fossero sotto chiave: fanno parte di quel piccolo esercito di minori obbligati ad andare per strada a chiedere l'elemo- sina, esercito reclutato in Albania con la promessa di chissà quali lavori redditizi. Per loro un destino segnato: di giorno i maschi agli incroci a impietosire gli automobilisti per cercare di raggranellare dalle 30 alle 200 mila lire (da consegnare tutte agli adulti), di notte le ragazze a prostituirsi. Decine e decine di nuovi schiavi: «Un fenomeno indegno e purtroppo in espansione a Milano», l'ha definito il questore Marcello Carmineo dopo il blitz di una settimana fa che ha bloccato e identificato 45 albanesi, tutti minori. Dopo quel blitz, i piccoli schiavi erano scomparsi per un po', giusto il tempo per alleggerire la vigilanza, per poi tornare agli incroci, sporchi e vestiti di stracci. E ieri la scoperta casuale di una delle tante prigioni. Con tanto di lucchetti e carcerieri. L'uomo delle chiavi, Ismet Malocaj, è stato subito arrestato, per lui accuse gravissime: sequestro di persona e riduzione in schiavitù. Insieme a lui sono stati bloccati altri 21 immigrati e per due è scattato il fermo ma, fa capire la polizia che sta indagando, non si escludono sviluppi. Per ore i vigili hanno infatti ascoltato il racconto dei piccoli albanesi. Difficile all'inizio convincerli a parlare, conquistare la loro fiducia. Ma alla fine, dopo esser stati sfamati e ripuliti, c'è chi ha cominciato a parlare. Un sfogo lungo e terribile che ha reso possibile individuare i responsabili di questa ignobile tratta. Un gruppo di bambini albanesi: scoperta a Milano la prigione
Persone citate: Marcello Carmineo, Naviglio
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