La corsia dei misteri tra fughe e omicidi

LA MALEDIZIONE La corsia dei misteri tra fughe e omicidi LA MALEDIZIONE DEL «CIVICO» PALERMO DAL NOSTRO INVIATO Ospedale maledetto. Quante ne ha viste il vecchio «Civico», vero nome «Fatebenefratelli», che i palermitani si ostinano a chiamare «Carrabìa», come ai tempi in cui al pronto soccorso si andava in carrozzella. E' perseguitata da un maleficio, la cittadella sanitaria, luogo detestato eppure frequentato dalla stragrande maggioranza di popolo, dalla moltitudine oppressa dalla malattia endemica di Palermo: ì'acitu, cioè l'acidità di stomaco che precipita verso l'ulcera. E' relativamente nuovo il reparto «Grandi ustioni», dove il povero dott. Vito Geraci è stato trovato con la gola squarciata, sembra da un gesto estremo di autolesionismo. Un edificio costruito negli anni '80 per fortissima volontà dell'attuale primario Michele Masellis. Nulla a che fare coi vecchi padiglioni dall'architettura umbertina, quelli dove - nel corso degli anni - è successo di tutto. Eppure, malgrado la porta scorrevole, i controlli elettronici, la voce metallica del cercapersone, l'aria di efficienza, non si può fare a meno di associare quel luogo al resto dell'ospedale. Sarà la suggestione, sarà la forza della memoria, ma come si fa a non pensare a tutti gli incidenti avvenuti tra quei viali. Certo, in quei casi era chiara la natura delle stranezze, si trattasse di omicidi in corsia o di evasioni di boss «ipersorvegliati» o semplicemente della «cupola» mafiosa che trovava ospitalità nei reparti. Per questo il cadavere di Vito Geraci, riverso sui gradini con la giugulare tranciata di netto, evoca mistero fa piombare la vicenda nel clima del classico «giallo». Anche la toponomastica sollecita la memoria. Il viale centrale, a destra il reparto «Grandi ustioni», a sinistra il padiglione della «Chirurgia». Anche quelle corsie ricordano un incidente. Accadde il 28 ottobre del 1970. Era notte e tre uomini in camice bianco varcarono tranquillamente il portone d'ingresso, senza trovare resistenza alcuna. Chi volete che si opponesse, il portiere? Quelli erano tempi in cui tutto era possibile: i familiari andavano a trovare i ricoverati ad ogni ora del giorno e della notte. Chi portava le sigarette, chi i pannolini, chi la pasta al forno o i cannoli con la ricotta. Tutti avevano un buon motivo per «salire due minuti, il tempo di dare questo al quel povero malato». I tre, come se non bastasse, indossavano pure il camice: figurarsi se non passavano l'inesistente barriera della portineria. Giunsero in corsia, i finti infermieri. Bussarono alla porta dove si trovava ricoverato Candido Ciuni, un albergatore originario di Riesi che gestiva la pensione «Sicilia» vicino alla stazione centrale di Palermo. Ciuni aveva avuto qualche problema col suo amico Peppe Di Cristina, boss di Riesi. Due figuri andarono a trovarlo alla pensione «Sicilia»: era notte e mancò la luce. L'albergatore non ebbe il tempo di vedere la lama che gli trapassava il torace. Lo salvarono al «Civico». Ma la scarsa attenzione dei controlli dello stesso ospedale lo uccise. Alle 23 la moglie di Ciuni aprì la porta ai finti infermieri che «portavano le medicine». Medicine? No, lupara e calibro trentotto. Una operazione chirurgica: tutti colpi addosso a Ciuni, la moglie neppure scalfita. Che titoli, l'indomani sui giornali. Ma il Civico era così, un porto di-mare. E la gestione di quel feudo (almeno elettoralmente parlando), non delle più ineccepibili, era affidata a Salvo Lima. In fondo al viale, la camera mortuaria. Che non era come quelle degli altri ospedali del territorio italiano. I palermitani non tollerano che la morte arrivi «fuori di casa», e se arriva - dunque - devono immediatamente portare il cadavere tra le mura domestiche. E la legge che prescrive 24 ore di permanenza forzata in camera mortuaria? Ai tempi d'oro del Civico era poco osservata: si annoverano furibonde risse, anche coi poliziotti, ordite da nugoli di uomini e donne piangenti che cercavano di «rapire» il corpo del congiunto per strapparlo al freddo marmo e riporlo nel lenzuolo di lino, a casa. Vicino alla camera mortuaria, il reparto di oncologia «Maurizio Ascoli». Chi non ricorda Nunzio La Mattina? Era un ex sigarettaio, passato poi al traffico dell'eroina. Quando arrivò al Civico stava morendo: un turnoré seTera mangiato. Ma qualcuno non volle aspettare ancora qualche settimana e pensò di dargli il benservito subito. Nunzio scese al pianterreno per telefonare: non si reggeva in piedi e i killer fecero un lavoro sbrigativo. Anche in quel caso, era il 24 gennaio del 1983, entrare e uscire dal reparto non rappresentava un problema. Al padiglione «Grandi ustioni», invece, i controlli esistono. E come. Ne sanno qualcosa i cronisti e i fotografi che ieri cercavano notizie. Anche per questo la morte del dott. Geraci è catalogata come probabile suicidio, a meno che l'assassino non sia uno dell'ospedale. Ma in questa remota ipotesi, la mafia non c'entrerebbe per nulla. Rimane tanta suggestione. Francesco La Licata Finti infermieri uccisero con la lupara un albergatore nemico dei boss I killer in azione anche nelle camere mortuarie Il cadavere trovato su un pianerottolo del reparto di una vita stronproprio suicidiol'inchiesta non vitando i giornadenti, a non gisioni affrettate. Nella foto grande un'immagine dell'ospedale civico di Palermo dove è morto il chirurgo. A sinistra il boss della mafia Pietro Vernengo Il cadavere trovato su un pianerottolo del reparto

Luoghi citati: Palermo, Riesi, Sicilia, Vito Geraci