OSSERVATORIO ma la mossa di Pale è solo l'ultimo bluff di Aldo Rizzo

F OSSERVATORIO Ma la mossa di Pale è solo Vultimo bluff ER la prima volta dalla fine della guerra, in seguito agli accordi di Dayton, le etnie post-jugoslave si sono espresse coi voto, in libere elezioni, anziché con il fuoco delle artiglierie. E questa è la vera novità dell'ultima domenica di giugno, a Mostar, perché per il resto le ombre prevalgono sulle luci: il voto non è stato politico ma etnico, le istituzioni comuni saranno difficili da gestire, e questo minaccia di esser vero anche quando ci saranno le elezioni in tutta la Bosnia, il 14 settembre. E dire che a Mostar non erano di fronte i nemici mortali della post-Jugoslavia, cioè i serbi da una parte e i croatomusulmani dall'altra, bensì croati e musulmani tra loro. I quali avevano fatto fronte comune contro i serbi per un anno, per poi passarne mi altro a distruggersi a vicenda. La quintessenza delle complicazioni balcaniche. E ora Mostar (più di Sarajevo, che bene o male è stata riunificata) rischia di continuare a somigliare alla Berlino della guerra fredda. Con in più, certo, le elezioni comunali, e i contatti umani, ma sarebbe come se i berlinesi dell'Est e dell'Ovest, negli Anni Sessanta o Settanta, avessero votato per una qualche istituzione comune. Beh, il paragone è eccessivo, ma dà un'idea. E i serbi? Quei serbi con i quali, al di là delle vicende particolari di Mostar e dell'Erzegovina, la federazione croato-musulmana deve vedersela sul piano generale, per delineare una pace plausibile (o affrontare un'altra guerra). Le ultime notizie da Pale dicono, anzi confermano che il truce Karadzic, processato dal tribunale dell'Orni per i più gravi crimini bellici, e del quale i Sette più la Russia hanno chiesto a Lione l'immediata uscita di scena, continua a giocare d'astuzia con la cosiddetta comunità internazionale (in ogni caso, con gli Stati Uniti, l'Unione europea, la Nato). Già il 19 maggio lo «psichiatra pazzo», che però compie mosse lucide ancorché disperate, aveva fatto intendere di essere pronto a lasciare il potere formale alla sua «vice», Biljana Plavsic, naturalmente conservando la sua influenza reale sui serbi di Bosnia. Ma poi aveva fatto marcia indietro. E ora, di fronte all'ultima¬ tum del G-7 o G-8, ha replicato il bel gesto, questa volta, pare, sul serio. Ma non è serio che, l'altro ieri, in coincidenza col vertice di Lione, si sia fatto rieleggere presidente del partito al potere, che controlla l'apparato amministrativo, la polizia e i mezzi di comunicazione, e il giorno dopo abbia dichiarato ufficialmente di volersi escludere da cariche «statali»: oltretutto temporaneamente, in attesa delle elezioni del 14 settembre, e lasciando il posto a un personaggio non meno estremista, come la Plavsic. Reazione «cauta» degli Usa e del mediatore europeo Bildt, sospesi tra un ovvio scetticismo e la speranza che si tratti comunque di un primo passo. Ma non abbiamo tutti detto e ripetuto che, con un Karadzic comunque influente e anzi determinante per il voto serbo, le elezioni di settembre in Bosnia non hanno senso? Perche non ha senso pensare a un qualche quadro comune e multietnico di uno Stato bosniaco, se i serbi sono guidali da una visione separatista e violenta e dall'uomo che l'ha ferocemente rappresentata. Potrebbe esserci un effetto disgregante, un contagio, anche sulla federazione croato-musulmana, che con le forzose elezioni di Mostar ha cercato, nonostante tutto, un proprio rilancio. Le «dimissioni» parziali e temporanee di Karadzic non sono un primo passo, sono un ennesimo bluff. Possono diventare un primo passo solo se l'Occidente (quanto alla Russia, si vedrà dopo il 3 luglio) eserciterà tutta la pressione di cui è capace, sui serbi di Bosnia, che non sono tutti dalla parte di Karadzic, e sui serbiserbi di Belgrado, per un chiarimento definitivo. Tra le elezioni di Mostar e quelle generali della Bosnia corrono 76 giorni. Aldo Rizzo

Persone citate: Bildt, Biljana Plavsic, Karadzic, Plavsic