A Mostar nei seggi fra i mitra di Giuseppe Zaccaria

A Mostar nei seggi fra i mitra A Mostar nei seggi fra i mitra Nervi scoperti per il primo voto multietnico ELEZIONI MOSTAR DAL NOSTRO INVIATO Nel laboratorio della convivenza, stamani le provette si sono trasformate in autobus. Al loro interno, sotto la sembianza di elettori si stipano i virus dell'integralismo e della paura. Intorno ci siamo noi, armati di mitra e telecamere, a proteggere in massa quest'esercizio di democrazia virtuale. Si vota a Mostar, e si vota senza incidenti, ma lo si fa in un clima talmente protetto dal risultare vagamente lunare. In quest'attimo per esempio - saranno le dieci del mattino - i «media» di tutto il mondo si sono precipitati all'imbocco di un ponte solo per registrare un accenno di rissa. A gridare è un gruppo di gente coinvolta nell'esperimento. L'hanno denominato «primo voto del dopoguerra», consiste nel rendere i portatori d'infezione liberi di farsi scortare dove in quattro anni non hanno potuto metter piede, cioè «dall'altra parte». Possono affacciarsi in seggi con le insegne altrui, incontrare antichi vicini che neanche li salutano, rivedere la propria casa - ma solo per un attimo, e da lontano - per poi tornare nel proprio territorio con un pizzico di rabbia in più. Adesso un corteo di pullman croati è fermo all'imbocco del ponte di Ivo Lola Ribar mentre la gente si accapiglia. «Senza scorta, dai mujaheddin non ci andiamo», grida un capoconvoglio distribuendo demagogia e spintoni. Nel senso di marcia opposto, autobus con l'identica scritta dei trasporti pubblici passano veloci, pieni di «mujaheddin» con camicie a scacchi o quelle ampie vesti leggere che le donne indossano d'estate. Le scorte non bastano, questo è chiaro. Troppa è stata la gente che prima di muoversi da una parte all'altra ha preteso l'accompagnamento di «jeep» o blindati irti di armi, ma se si può azzardare una classifica della diffidenza oggi a vincere sono i croati. Questa gente arriva da Spalato, Zagabria, perfino dalla Germania o dall'Australia. Solidi, pii lavoratori cattolici che quattro anni fa sono stati scacciati dall'altra parte della Neretva e adesso pensano alla Mostar bosniaca solo come al luogo di Satana. Un carabiniere italiano con sul braccio la scritta «International Police» tenta di riportare la calma. La scorta sta arrivando. E allora, via finalmente verso l'altra Mostar. Coraggio, affrontiamo i fantasmi del passato. Avanti sulla luminosa strada della partecipazione e della democrazia. Il seggio numero 9, nell'area periferica di Zalik, è in una zona di case popolari che doveva essere sordida anche prima della guerra. Essere stati scacciati di qui non dovrebbe essere stato un gran male, ma quando i pullman si fermano dinanzi a poliziotti vestiti di beige le facce dei contadini esprimono tutt'altri sentimenti. La separazione del croato dal bosniaco (anzi, «bosnjak», come da nuova definizione accentuativa), del cattolico dal musulmano, di Mostar da se stessa, anziché risolversi si sta incancrenendo. E a dispetto di ogni buona intenzione, quest'elezione finisce col sottolinearlo. Il silenzio in cui la gente si mette in fila, a testa bassa, pure in mezzo a una folla piuttosto nutri- ta, fa impressione. Non c'è uno che scambi un'opinione o una frase. Guardate le divise dei poliziotti: sono assolutamente identiche, fornite dalla stessa ditta tedesca, vestono corpaccioni dall'identico massiccio profilo ma nel colore e nei simboli marcano una separazione assoluta. Qui, fra i bosniaci, un giallo-sabbia macchiato solo dal grande scudo blu, dall'altra parte un grigio con la scacchiera bianco-rossa di Croazia. Guardate i seggi elettorali. Questo esibisce elenchi di candidati stampati al computer, a controllarlo ha un militare del contingente giordano. Accanto ai nomi di al- cimi compare la specificazione «bosnjak», «bosnjak musliman» o «musliman bosnjak», che si sospetta essere la più caratterizzante. Qui dentro, solo il simbolo coi gigli di Izetbegovic. Poco più tardi, dall'altra parte, dopo altri autobus e altri discorsi avrei visto nel seggio croato numero 22, ospitato in una scuola media, le identiche liste con la specificazione «hvratski» dopo ogni nome, sotto l'onnipresente bandiera a scacchi. C'era un musulmano, in quel seggio: un idraulico che si chiama Zlatan Alaidegovic e tornava a Ovest per la prima volta da quando, dopo sei mesi, lo lasciarono an¬ dar via dal campo d'internamento deH'«Heliodroni». La sua casa, oggi occupata da una famiglia di Zvornik, era lì accanto, ma lui non ha voluto vederla neanche di fuori. Si è avviato a piedi lungo la via del ritorno. Paura? «No, almeno oggi». Speranze? «Una Mostar unita». Ma succederà davvero? «Non so». Negli stessi momenti tutt'intorno si moltiplicavano le corse d'autobus, le scorte, gli incroci fra etnìe. Centosettanta serbi tornati per una mattina dopo un viaggio avventuroso, fra controlli estenuanti e lunghissime soste. Fra loro anche l'ex sindaco della città, Radmilo Andric. Qualche momen- to di solidarietà umana, qualche lacrima, ma anche molti insulti e sassate. E al minimo accenno di scontro ecco piombare in ogni parte della città enormi «Chevrolet» della polizia internazionale e blindati spagnoli dell'Ifor. Ci sono stati momenti in cui dalle parli dell'albergo che funge da quartier generale per diplomatici, osservatori e quant'altro, un pullman da Zagabria con trentotto persone a bordo era circondato e protetto da quarantatre poliziotti o militari. Li ho contati. Nessuna strage, però. Celebriamo dunque il fatto che ieri a Mostar. dalle sette alle sette, le prime elezioni libere del dopoguerra si siano svolte senza problemi. Sì, una «motolov» l'altra notte contro un'auto croata, qualche sassata, un paio di cazzotti, ma nulla di più. Piero Fassino, sottosegretario agli Esteri, è venuto qui per qualche incontro e una conferenza stampa che celebra anche la fine del semestre italiano alla presidenza europea. Sembra soddisfatto. «Riteniamo che le cose stiano andando bene. C'è voglia di normalità, nella gente: se tutto continuerà così, questo giorno si rivelerà decisivo per la pace». Giuseppe Zaccaria

Persone citate: Andric, Ivo Lola Ribar, Izetbegovic, Piero Fassino, Police

Luoghi citati: Australia, Croazia, Germania, Mostar, Spalato, Zagabria