La mostra del Magnasco distrutta dai faretti

La mostra del Magnasco distrutta dai faretti La mostra del Magnasco distrutta dai faretti in filigrana, per «Quod Est Demonstrandum», la formula magica che conclude l'esposizione e dimostrazione dei teoremi. «QED» inizia in modo splendido e luminoso. Ci dice l'autore: «Vi ricorderete dai banchi della scuola media che se avete uno specchio e un raggio di luce vi batte con un angolo, chiamiamolo alfa, l'angolo con cui esso si riflette, beta per esempio, è uguale ad alfa. Ossia in modo quasi scientifico alfa=beta». Il lieve sbadiglio che sta per sorgere e che cominciava già a interessare l'etologa Elisabetta Visalberghi circondata dalla coorte dei suoi amatissimi e sbadigliantissimi cebi, si spegne immediatamente perché Feynman aggiunge, angelicamente: «Certo che è così: questo lo sappiamo tutti, sissignori. Ma perché alfa è uguale a beta?». Ora la ragione fisica per cui «alfa=beta» è proprio difficile da spiegare (ma lui ci riesce benissimo) ed è assai ragionevole che essa sia in sostanza ignorata dalla maggior parte degli esseri umani; ma è proprio miracoloso che il fenomeno «alfa=beta» sia sconosciuto a chi ha avuto l'incarico della illuminazione della mostra del povero Magnasco. Vediamo come stanno le cose. Si può correttamente dire che si va a vedere la mostra del Magnasco ma che Magnasco non lo si può vedere. Infatti i miserabili faretti a fascio collimato (un po' come la luce che esce dai proiettori per le diapositive) sono stati sistemati con una tale precisione e accuratezza millimetrica e mirati con una tale acribia da impedire la vista dei quadri. Le grandi superfici dipinte che Magnasco, come tutti i suoi contemporanei, rivestiva con estrema cura di un notevole strato di vernici trasparenti onde avessero quell'aspetto intangibile eterno e protettivo del colore sottostante che caratterizza tanta pittura del passato (ma anche del presente), si comportano onestamente come specchi. Un faretto messo in modo opportuno vi sputa sopra il suo fascio di luce che, rimbalzando, «alfa=beta» non si diceva così?, entra nella vostra pupilla e vi cuoce la retina. Non ricordo di aver visto un solo quadro senza che una porzione spesso enorme della sua superfice non fosse stata letteralmente abbacinata dal riflesso di anche tre faretti opportunamente mirati. La gente mezzo stordita si aggirava tra queste tele, alcune fatte venire da assai lontano, e con contorcimenti strani e sommessi gemiti si faceva sotto i dipinti strisciando letteralmente sul pavimento per «percepire» un piede di fauno, un alluce di monaco o una catinella o una catenona magnaschea. In alto, aggrinfiati al solito traliccio, come avvoltoi in attesa della vostra retina lessata, stavano i divini faretti ben puntati in basso e ognuno mirante con straordinaria precisione o direttamente nella vostra fovea o indirettamente attraverso la superficie del dipinto. Ho trovato sollievo temporaneo nel cesso, dove la luce era misteriosamente più misericordiosa sulle piastrelle maiolicate che non sulle superfici dipinte più di trecento anni fa da un genio della pittura. Adesso mi domando chi ha avuto l'incarico, chi e quanto l'ha pagato/a, dove ha studiato illuminotecnica, con quale faccia il disgraziato o la disgraziata ha firmato il «progetto illuminotecnico» della «mostra». Non aveva esso/essa avuto sentore del modestissimo «alfa uguale beta»? Con quale coraggio si sono richieste a musei lontanissimi e, giurerei, ben più attenti alla protezione di opere uniche e irripetibili, tele preziosissime per esibirle a pagamento in una sorta di forno a micro-onde? Cosa crede, il disgraziato o la disgraziata, di stare allestendo una sfilata di mode per armanini o schifferette a via-dellaspiga? Ha avuto sentore costui/costei della esistenza di altre fonti luminose che non fossero dirette puntiformi e collimate? Per esempio, così per dire, luce diffusa? Il concetto di temperatura di colore le/gli è noto? Sa cosa possono fare molte centinaia di watt per otto ore al giorno e per tre mesi alla distanza di tre/quattro metri su di una superfice dipinta trecento anni or sono? Ce l'ha un calcolatorino in tasca? 0 gli/le serve solo per calcolarsi la «parcella»? Ma alla fine, sbollita l'ira, recuperato il retinene residuo, e abbandonato il corpo su uno dei panettoni cementizi davanti a Palazzo «FormentiniMarino», ho ragionato così: è fisicamente impossibile che una qualche ditta di illuminotecnica abbia commesso questo crimine, è impossibile che un/a qualche professionista abbia fatto questo per errore, distrazione, insipienza, arroganza, o elementare stupidità: no. Si era trattato di «Mostra Didattica sulla Illuminotecnica nel Dominio dell'Ostensione Museale». Mostra che per una manciata di migliaia di lire può permettere a qualunque professore di Fisica Tecnica o più specificatamente di Illuminotecnica di portare i suoi studenti a vedere esattamente, toccar con retina, come non si fa una illuminazione per una mostra di pittura. Q.E.D. Ruggero Pierantoni Cnr, Genova BaRBElU GAGLIARDI iìAFHRIO mMMmÈm Wm 111111 m '111 Jl H 1 1 i 1 » 1 H 111 lifltei 1 1 1 Insieme a

Persone citate: Elisabetta Visalberghi, Feynman, Magnasco, Ruggero Pierantoni

Luoghi citati: Genova