A Spoleto l'oratorio profano di Haendel «Semele» dai capelli neri sentimenti in miniatura

A Spoleto l'oratorio profano di Haendel A Spoleto l'oratorio profano di Haendel «Semele» dai capelli neri sentimenti in miniatura Partitura di grande vitalità teatrale e così la musica colpisce la fantasia SPOLETO. Nel minuscolo Teatro Caio Melisso la «Semele» di Haendel ci sta a pennello. E' un oratorio profano in tre atti fatto di forme agili, arie poco monumentali, cori che guizzano dietro i personaggi mitologici dell'azione, accendendosi e spegnendosi come brevi fiammate: nella sua snellezza è quindi molto adatto ad un ascolto ed una visione ravvicinati. Mettere in scena un oratorio sembrerebbe una operazione arbitraria. In realtà non lo è perché questa «Semele» innanzitutto non ha il narratore e poggia quindi su personaggi che agiscono, come in un'opera, nel presente; in secondo luogo la partitura di Haendel scoppia di vitalità teatrale, suggerisce quasi sempre gesti e movimenti che nell'esecuzione oratoriale sono affidati alla visione interiore del pubblico: ma vederli realizzati sulla scena non dà fastidio, anzi permette alla musica di colpire in modo più immediato e diretto la nostra fantasia. Il regista Roman Hurko, lavorando con le scene dipinte di Roberto Peregalli, ha fatto un lavoro dal ritmo snello che mette a fuoco personaggi e situazioni senza tentennamenti né equivoci: la bella Semele, amata da Giove, con la sua cascata di capelli neri e una grazia voluttuosa di movimenti; suo padre, ieratico e austero, con la chioma e la barba bianche come la neve; la sorella Ino, inquieta nei suoi tormenti d'amore, la secca e autoritaria Giunone, archetipo universale della moglie che sgrida il marito Haendel infedele, Giove, insieme galante e solenne, il dio del sonno, altissimo, dalle movenze ampie quasi grottesche. Tutti personaggi che le voci di Iride Martinez, Herbert Eckhoff, Ioyce Di Donato, Kristina Hammarstrom, Tracey Welborn hanno reso con notevole bravura e una confidenza non comune nel trattare gorgheggi e virtuosistici bagliori. Una menzione a parte merita il controtenore Johnny Maldonado: mai sentita una voce di questo tipo così agile e bella. Rinaldo Alessandrini, sul podio della Spoleto Festival Orchestra, ha vivacizzato il tutto in ogni momento; e il coro, istruito da Donald Nally, si è inserito in questa brillantezza diffusa, cantando e muovendosi con spi- rito e leggerezza. Ne è venuto fuori, molto a fuoco, il messaggio di Haendel: ossia la mozione degli affetti dietro l'involucro della mitologia, la capacità di conferire una «tinta», come dirà Verdi, ad ogni suo lavoro. Quella di Semele è un gioco rosazzurro di colori pastello, protagonista la sensualità umana intesa come incarnazione sensibile delle passioni: l'amore, prima di tutto, con la sua gamma di sfumature patetiche e voluttuose, ma anche l'ira, la gelosia, il dolore, l'abbandono, la malinconia. Il tutto miniaturizzato in forme che annunciano il rococò e che il piccolo scrigno del teatro spoletino ha messo in risalto per il piacere del pubblico plaudente. Paolo Gallatati Haendel

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