Gli uccelli di Aristofane? Si possono trovare al cabaret

?mmo & TEATRO ?mmo & TEATRO Gli uccelli di Aristofane? Si possono trovare al cabaret SFINITI dalle beghe metropolitane, due ateniesi decidono di fondare una città con e per gli uccelli, una città sospesa a mezz'aria, dove transitano i fumi dei sacrifici, che così non raggiungono più i destinatari all'Olimpo. Dopo un po' sia gli dèi sia gli uomini rimasti sulla terra cominciano a rendersi conto della nuova realtà, e tentano di venire a patti con i volatili e con i loro condottieri... Questa sarebbe la trama degli Uccelli, la commedia con cui Aristofane arrivò secondo alle Dionisie del 414 a. C. - ma lo so dai riassunti, ogni volta che vado alla fonte, leggendo o ascoltando, non riesco a seguirla. Non importa, lo stesso mi accade con altri lavori dalla fortuna ineccepibile; per esempio con «Il flauto magico», o con «Hair». E forse non è un caso che mi siano venuti in mente tutti e due mentre assistevo alla rielaborazione del testo di Aristofane ad opera di Antonia Spaìiviero e Gabriele Vacis, quest'ultimo anche regista: al primo facevano pensare certe estrose apparizioni di creature pennute, allegramente simboliche di chissà cos'altro, al secondo, una certa lieta atmosfera di tribalità alternativa; senza contare che come nei classici di Mozart-Schikaneder e di MacDermot-Ragni-Rado, la musica è piacevolissima, e anzi finisce per fare la parte del leone. In questi «Uccelli» è stata composta, con generose citazioni da molte gloriose canzonette (sì, c'è anche «Volare»), da Banda Osiris e Paolo Pizzimenti, ed è eseguita dai medesimi, cui è affidata la funzione del coro, con estrosità anche spettacolari - per dirne ana, i suonatori mima no una corrida in cui le prolunghe dei tromboni fungono da banderillas, e il clarinetto, da spada; per dirne un'altra, i tre dèi si esprimono con altrettanti ottoni, opportunamente tradotti da un interprete. Lo spettacolo si svolge davanti e sopra un palco rettangolare e anonimo, e gli attori sono prevalentemente in nero, da clown odierni, con appena qualche stravaganza. Gli uccelli sono vestiti come gli altri ma hanno grandi becchi ricavati da utensili come falci o coltellesse; e le fatidiche penne compaiono qualche volta, in un bombardamento di volani, o in una pioggia tipo coriandoli. Quanto alla storia, non è che gli aggiornatoli abbiano molto spiegato Aristofane, benché nel programma di sala il regista rifletta sul concetto di città e sulla presenza degli agglomerati urbani nel mondo antico e in quello nostro. Quello che abbiamo in sostanza, né ce ne lamentiamo affatto, è una serie di episodietti scollegati e di chiacchiere da cabaret, affidate all'umorismo sornione e ai tempi eccellenti dei protagonisti Michele Di Mauro e Francesco Salvi, al surricordato coro, e a spiritosi comprimari: Aringa & Verdurini, Maria Cassi, Leonardo Brizzi, Simona Barbero, Anna Coppola, Sandra Zoccolan. I microfoni che tutti portano sono del fastidioso tipo pilota spaziale, ossia sospesi davanti alla bocca: in compenso assicurano una perfetta comprensibilità del parlato, assai importante data la natura di cicaleccio svagato del testo, e la grazia distratta con cui i comici porgono le loro battutacce coinvolgenti anche, ci avrete già pensato, il fringuello e la passera. Alla serata, che avrebbe tutti i numeri per essere gradevolmente goliardica su di un piano di complicità confidenziale, nuoce soltanto la dilatazione imposta dal teatro romano di Spoleto (dove si replica fino al 30: dopo, si passerà ad Asti), sia fisicamente, sia temporalmente (150', troppo se si siede sulla pietra dura), nonché, ma questa non è colpa di nessuno, il gelo polare contro il quale gli spettatori hanno dovuto battersi. L'ironia può aiutare a vincere i disagi della vita, ma qui ce n'erano un po' troppi Masolìno d'Amico icoj Francesco Salvi

Luoghi citati: Asti, Spoleto