Londra, 150 mila persone per la grande kermesse: anche Carlo d'Inghilterra Resurrezione nel parco

Londra, 150 mila persone per la grande kermesse: anche Carlo d'Inghilterra Londra, 150 mila persone per la grande kermesse: anche Carlo d'Inghilterra Resurrezione nel parco LONDRA DAL NOSTRO INVIATO Centocinquantamila. Giapponesi e vecchie signore, trentenni e neonati in carrozzina. La gente che è corsa ieri ad Hyde Park non è mai stata tanta da quando 27 anni fa, il 5 luglio '69, i Rolling Stones tennero un concerto per ricordare Brian Jones morto tre giorni prima nella piscina di casa sua. Mick Jagger leggeva versi di Shelley, mentre venivano liberate mille farfalle bianche. Il giornalista Mal Reding di Radio Westwood One, che c'era anche allora, ieri sotto il tendone dei media che ci proteggeva dall'eterna minaccia d'un temporalone ricordava sospirava: «Eravamo forse 500 mila, quella volta lì. Tutti "stoned" (fatti), con un gran profumo di marijuana nell'aria. Tutto era libero: non c'erano recinzioni, non c'era tv, non c'era cibo e non c'erano nemmeno gabinetti». Ma se ci si lasciasse impressionare dalle nostalgie individuali, assumerebbe un sapore irreale il concertone di ieri, ben transennato invece ed anche il primo a pagamento nella storia del parco, seppure per sole 8 sterline. Un concertone con una manciata di star - da Alanis Morissette a Bob Dylan, dagli Who (la vera attrazione, con David Gilmour dei Pink Floyd come ospite) fino ad Eric Clapton - che hanno suonato per il Prince Trust, Fondazione che raccoglie fondi per aiutare i giovani poveri alla ricerca di un futuro. Ospite molto speciale, lo stesso principe Carlo, che nel pomeriggio ha salutato gli artisti dietro il palco e durante la settimana è diventato anche il primo membro della Royal Family a produrre uno spot tv, 65 secondi di immagini di ragazzi che spiegano il lavoro della sua Fondazione: alla fine, l'incasso atteso era (compresi i biglietti Vip da 400 mila lire per un posto a sedere ed una cena a champagne in un lussuoso albergo) di circa 500 mila sterline, poco meno d'un miliardo e mezzo dal quale detrarre le spese. Concerto diurno, come gli alberghi nelle stazioni. Dalle 13 alle 21,30. Aperto da una «Rockschool Band» di quelle aiutate dal Principe, suoni arrabbiati alla ricerca di fama; poi mentre la sterminata folla sul prato mangiava banane e terrificanti krapfen, è arrivata Alanis Morissette: la nuova musa rock non ama le divise, aveva indosso una semplice camicetta bianca presto bagnata di sudore; e mentre la sua band picchiava sorda da rompere il cervello, lei recitava ispirata correndo su e giù per il palco, facendo capire a tutti di esser la vera erede di Patti Smith. Padre Dylan è salito alle quattro, con i riccioli colorati di rosso dall'henne (diventa bianco anche lui?), perfettamente rasato e perfino con un'ombra di sorriso sulla faccia da sfinge. Alla chitarra, gli pennellava Ron Wood degli Stones e il suono era ora dolce e magnifico sotto l'armonica, la leggendaria voce un po' meno strisciante del solito (il 5 è a Ferrara, il 7 a Pistoia Blues e l'8 a Codroipo). Poi gli Who e infine manolenta Clapton, che nel livido tramonto ha incantato con il suo blues I ragazzi di sotto si mangiavano tutti con gli occhi, felici nel pensare che un giorno potranno raccontare di esser stati al con certone di Hyde Park. [m. ven.] SE in 150 mila hanno preso ieri tanto freddo per così lunghe ore ad Hyde Park, è stato soprattutto per loro, gli Who, riuniti per la prima volta dall'89 quando celebrarono i 25 anni di vita. Gli Who non si riuniscono mai per caso, e quando arrivano è sempre evento: questa volta, hanno suonato dal vivo per la prima volta «Quadrophenia», che replicheranno presto al Madison Square Garden di New York. Naturalmente, per l'occasione è uscito un ed rimasterizzato del lavoro. Seconda opera rock, dopo «Tommy», del geniale leader Pete Townshend, «Quadrophenia» è del '73: come già «Tommy», fu seguita nel '79 da un film cui presero parte un acerbo Sting e Phil Collins. Ma è sempre stata considerata una sorta di riciclo di «Tommy». In scena, un cast pittoresco di stelle e cariatidi vip: con l'ottimo Townshend, spesso voce solista e alla chitarra acustica, un invecchiato Entwistle e Roger Daltrey invece in gran forma, capelli corti e canotta da camionista su muscoloni abbronzati, con una vistosa benda all'occhio nero per uno spericolato lancio di microfono alle prove da parte di Gary Glitter; quest'ultimo, inventore del glam rock e cinquantaduenne imbolsito, è parso una caricatura di se stesso mentre cantava con foga «The Punk and the Godfather» in un improbabile completino di pelle nera borchiata che gli copriva appena la trippa. E poi ecco David Gilmour (altrettanto ciccio) in prima linea a interpretare oltreché suonare «The Dirty Jobsa», mentre l'opera s'arrampicava sulle vette di un datato ma tuttavia efficace rock sinfonico, fra squillar di fiati e ricamar di chitarre elettri¬ che, aprendosi a tutta la potenza visionaria di quel tipo di musica. Alla batteria (proprio bravo) il figlio di Ringo Starr, Zak Starkey; voce recitante Phil Daniels, che nel film era il protagonista Jimmy. Una parata di star per rivivere con molta musica e qualche scenetta un'epoca ora amatissima, quella dei Mods, i ragazzi della working class che si vestivano da fighetti (come recita il brano cantato da Pete, «Cut My Hair»: «Un vestito sgargiante/ Giacche bianche con spacchi laterali...»), combattevano contro i filoamericani Rockers e andavano naturalmente in Lambretta. Roba dei primi Sessanta: e una bellissima Vespa è arrivata in scena durante «Bell Boy», mentre altre mille della stessa epoca erano sfilate in mattinata ad Hyde Park con in sella ragazzi orgogliosi. Nell'intreccio, la moto simboleggiava l'appartenenza ai Mods: e nel film Jirnmy la buttava in mare deluso dal suo mito Sting, che si rivelava semplice fattorino d'albergo. Pete Townshend deve aver avuto un'infanzia travagliatissima; dev'esser stato un ragazzino complessato per la propria straordinaria bruttezza, cui veniva ordinato per giunta un comportamento diverso da quello che vedeva in casa. Solo nell'80, confessò ai sorpresi compagni di band: «Mi sento una donna». Insomma, un perfetto cliente di Freud, e infatti il suo mondo poetico, in «Tommy» ma ancor più in «Quadrophenia», è tutto un'ossessione dei rapporti con i genitori, tutto un travaglio sull'identità, e se poi in alcuni brani si sente diviso fra molte personalità, l'ispirazione sarà venuta anche dall'acido che circolava nel suo entourage. Gli Who, oltre a spaccare gli strumenti come gesto liberatorio dopo ogni concerto, pasticciarono parecchio con alcol, medicinali e droga: una volta il batterista Keith Moon prese un tranquillante per elefanti che lo mandò in coma per parecclù giorni, prima di morire nel '78 per un'overdose da medicinali contro l'alcolismo. Nell'81 poi, in preda ad un misto di coca ed eroina, Townshend cadde addormentato sul palco durante un concerto, rendendo chiara la sua dipendenza. Si salvò dopo un anno di cure grazie all'elettroagopuntura, ed oggi è un signore mite e tranquillo che va spesso a cena al ristorante italiano «Il passetto», dietro lo Shaftesbury Theatre dove ogni sera, protagoiùsta Kim Wilde, va in scena «Tommy»: l'unico musical dell'epopea rock che resista al tempo. Vederlo è diventato un obbligo per i turisti: lunga vita, perciò, a Townshend. Marinella Venegoni Concerto d'un giorno con Clapton, Morissette |§ Dylan dai capelli tinti. Per «Quadrophenia» prima volta dal vivo |§ Qui a fianco il gruppo degli Who e in alto l'arrivo in scooter di un gruppo di giovani «mods»

Luoghi citati: Codroipo, Ferrara, Londra, New York, Pistoia