I Savoia chiedano perdono; ma i reali inglesi sono «piezze 'e core»

I Savoia chiedano perdono; ma i reali inglesi sono «piezze 'e core» lettere AL GIORNALE I Savoia chiedano perdono; ma i reali inglesi sono «piezze 'e core» Il gran rifiuto del principino Per come ci tengono bene informati i mass media su vita, morte e miracoli della famiglia reale britannica tanto da lasciar parlare il mondo intero, pare che tutto quel che avviene al riguardo, pure piccole cosucce, non debba passare mai inosservato. E sia! Dire ormai Buckingham Palace è quasi dire, che so, come le gioie e i dolori, i guai passati e gli screzi diciamolo anche del tutto innocenti dei reali in questione, vengono fatti propri e vissuti con non poco altrettanto trasporto non solo dai sudditi inglesi, ma anche da qualsiasi altro comune mortale all'estero in vena di abbandonarsi a favole principesche di fine secolo piuttosto che stare li, sempre alle prese, e quindi a dannarsi l'anima con i problemi economici, sociali e compagnia bella di tutti i giorni. Talvolta è vero: sono anche i capricci (e che capricci!) che si incasinano alla reggia a rendere i sovrani al livello del pur umano pettegolezzo popolare. D'altronde, abituati un tantino tutti come siamo a seguire, e inseguire, tante di quelle telenovele in circolazione, ecco: dove difatti non si andrebbe a ficcare il naso per saperne sempre di più di famiglie inguaiate, di figlioli sbattuti a manca e a destra per amori traditi? Al dunque: eccone un'altra delle tante. Trattasi di una puntata particolare che, da come si era messa e per come poi si è conclusa, meno male ci siamo detti che pure stavolta la fiaba ci ha reso alla fin fine felici e contenti. Niente. Sta che a primo acchito, non appena si era sparsa la voce che il giovane principino William, primo maschio di Carlo e Diana, aspirasse ad «una vita normale» e per questo pronto a rinunciare a fare il re quando gii sarebbe toccato il suo turno, il primo pensiero che ci è venu¬ to è stato quello di dire: qui veramente con tanta grazia di Dio è lo stesso Padreterno che poi manda il pane a chi non tiene i denti. Balle! 'O guaglione con la famiglia ci ripensa e si tiene caro il malloppo. Felici anche noi. Ma perché parlare e cosi di questo si dirà? Ne parlano tanti. Evidentemente è perché, la monarchia, ridotta com'è in pantaloncini corti e con le mutande al vento, è pur sempre un poco di «piezze 'e core». Io, per esempio, dalle mie parti vorrei un «re Franceschiello» e invece: e invece mi devo rassegnare con quanti della cosiddetta «Seconda Repubblica». Alfonso Cavaiuolo S. Martino Valle Caudina (Avellino) Giovanni Verga grande italiano Mi riferisco alla lettera del prof. Ercole Tasca (La Stampa del 22 giugno) per ricordare l'italianità esemplare di un grande siciliano, Giovanni Verga. Al suo conterraneo Napoleone Colajanni, che era oltre che uomo politico anche scrittore e giornalista, e lo aveva invitato a pubblicare un suo romanzo nel proprio giornale L'Isola, l'autore de / Malavoglia così rispose: «Le diro che il titolo "Isola", a me isolanissimo e sicilianissiino, suona troppo regionale, troppo chiuso per questa gran patria italiana, nella quale è anche troppo che ci sia uno Stretto di Messina». In un'altra occasione ebbe a dire: «Che triste Paese è questo nostro in cui si perde la misura di tutto e si parteggia sempre, come ai tempi di Dante!». Angelo Giumento, Palermo Le condizioni per il ritorno Son favorevole al ritorno dei Savoia in Italia e credo che pre sto il Parlamento italiano abrogherà la XIII Disposizione Transitoria. Sì, sono d'accordo, ma a qualche condizione: il signor Vittorio Emanuele e suo figlio dovranno prima richiedere il perdono a tutti gli italiani per le colpe avute dal nonno Vittorio Emanuele III. E' rimasto nella storia, ono¬ randola, il gesto del Cancelliere tedesco Willy Brandt che si è inginocchiato ad Auschwitz invocando il perdono a nome del suo popolo per il male fatto all'umanità. E' chiaro che gli attuali discendenti dei Savoia non hanno colpa alcuna nelle vicende che hanno coinvolto gli italiani nel- l'ultima guerra mondiale. Però sarebbe auspicabile e direi necessario questo gesto simbolicamente riparatorio. Allorché il signor Vittorio Emanuele verrà in Piemonte, la prima visita sia fatta in Val Pellice e chieda anche il perdono, a nome dei suoi avi, al popolo Valdese che ha subito nel 1561, nel 1655 e nel 1686 orribili massacri da parte dei Duchi di Savoia aiutati peraltro dalla Chiesa Romana. Erano autentiche azioni di «soluzione finale» di più recente memoria, richieste per eliminare le voci dei dissidenti chiamati eretici. Questo povero popolo Valdese, perseguitato, continuò a scrivere con lacrime di sangue la storia della sua fedeltà a Dio e alla sua terra. Ermanno Aimone Torino Ma all'Italia ci pensa la Nato Sulla Stampa del 21 giugno, il generale Incisa di Camerana lancia un grido di allarme perché il nostro esercito vive, ma rischia di diventare un grande bluff e nel caso l'Italia dovesse subire un eventuale attacco non dispone di mezzi per fronteggiarlo. Vorrei fare presente che l'Italia fa parte della Nato, organismo militare che ha i poteri di disporre la qualità e la quantità di forze armate di ogni nazione che ne fa parte. E poi l'Italia non è minacciata da nessuno. Ma se qualche nazione avesse delle velleità di conquista e se la nostra sovranità fosse in pericolo, interverrebbero prontamente le forze armate della Nato. Per cui nessun grido di allarme!!! Un tempo non lontano di regola i generali non esternavano: recentemente da quando si è iniziato a parlare di riforme delle forze armate - ciò avviene anche in tutte le nazioni europee - hanno preso a circolare interviste e spesso testi di discorsi che francamente lasciano grande perplessità. La riforma delle nostre forze armate, sia chiaro, è un problema non di competenza dei generali, ma del governo e del Parlamento che hanno l'obbligo di definire compili e funzioni dopo di che gli organici tecnici dello stato maggiore dell'esercito potranno proporre uno strumento militare dimensionato per gli scopi prefissati. Quindi la prima preoccupazione è la ricerca di un equilibrio in osservanza delle direttivo Nato e anche in linea con lo sviluppo socio-economico di ogni nazione che ne fa parte. Albino Porro Asti Le nuove bollette troppo pettegole Scrivo a proposito delle nuove bollette del telefono, quelle con l'elenco di tutte le chiamate fatte dall'abbonato, perché mi spaventa lo scarso rispetto della «privacy». Nel caso specifico il marito, di norma, per il fatto che il lavoro, gli interessi, le occasioni lo portano a trascorrere la maggior parte del tempo fuori casa, può mantenere rapporti anche clandestini (telefonici e non) all'insaputa dei famigliari. La moglie, invece, che trascorre gran parte del suo tempo tra le mura domestiche, se utilizza il telefono di casa per coltivare o vivacizzare rapporti e relazioni personali, non può gradire il fatto che la sua «privacy» non sia più tutelata. Insomma, se diventa così facile entrare nell'intimità dei singoli, scoprire i loro segreti e rivelare le loro debolezze proprio ai famigliari, come può, ad esempio, la moglie dell'utente telefonico difendersi dalla facoltà che viene concessa al titolare dell'apparecchio di accertare la destinazione delle chiamate fatte a sua insaputa? Anche oscurando le ultime due cifre del numero, non si risolve proprio niente. Faccio queste considerazioni perché mi sembra che si debba dare maggior peso al diritto alla riservatezza, che ogni famiglia dovrebbe vedersi tutelato. Lettera firmata Biella