Thonet, per Metternich piegò anche il legno Dall'incontro alla fiera di Coblenza alla fortuna in Austria di Emanuele Novazio

Thonet, per Metternich piegò anche il legno La Germania celebra i duecento anni del falegname che trasformò l'artigianato in arte Thonet, per Metternich piegò anche il legno Dall'incontro alla fiera di Coblenza alla fortuna in Austria BONN DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Senza Klemes Wenzel principe di Metternich, non soltanto l'Europa sarebbe un po' diversa, oggi: anche alla storia dell'arredo, anche al design mancherebbe un capitolo importante e forse decisivo, per l'evoluzione delle tecnologie produttive e dello stile. E' grazie al Cancelliere austriaco infatti, tedesco di Coblenza, se una sedia - la Thonet nata a Boffard, in Renania, dalla genialità spavalda di un falegname di trent'anni che era riuscito a piegare il legno col vapore - è diventata un oggetto d'uso in tutto il mondo, prodotta in decine di milioni di esemplari e arricchita un po' alla volta da mille e quattrocento modelli differenti. Adesso che di Michael Thonet la Germania festeggia il secondo centenario (nacque il 2 luglio del 1796 nella cittadina del Palatinato), sono in molti in Germania ad evocare quel casuale incontro, alla fiera di Coblenza, fra un potente Cancelliere e un falegname in fallimento: col piacere di chi rivendica alla creatività tedesca un'altra avventura di successo; ma col rammarico di averne «regalato» per sempre ad altri, all'Austria, la paternità. Nessun tedesco si era infatti accorto della «rivoluzione» avviata da Thonet, nessun tedesco aveva compreso la svolta compiuta dall'oscuro e curioso precursore palatino, che immergeva aste di legno chiaro in acqua calda e le raffreddava dopo averle rese per sempre - e stabilmente - curve. Nessuno, in patria, aveva apprezzato l'intuizione decisiva dell'artigiano perseguitato da creditori e malasorte: il legame della forma con la sua realizzazione, la sua dipendenza ineludibile e diretta dalla «costruzione». Osservando alla fiera un esemplare di Thonet, Metternich intuì: capì che dietro le curve lievi e suggestive di una sedia, dietro le sue forme tonde, elastiche e fragili soltanto in apparenza, si nascondeva un capolavoro di progettazione e un avvio; capì che l'oggetto era un evento. Entusiasta, il Cancelliere non esitò: «Se resterete a Boppard sarete sempre un poveruomo. Venite a Vienna e vi darò la fama», gli disse. La grande avventura di Michael Thonet a Corte cominciò quel giorno e in modo precipitoso, con affanno, come spesso prendono avvio le avventure: con una fuga organizzata in gran furia nella notte per sfuggire ai creditori che cercavano giustizia. Centocinquant'anni dopo, Le Corbusier avrebbe detto a proposito di una Thonet: «Niente di più elegante è mai stato con¬ cepito, niente di più esatto nell'esecuzione e nelle possibilità di impiego è mai stato realizzato», e l'architetto francese non esagerava certo il suo entusiasmo. Dietro un sistema di progettazione e d'esecuzione che è stato paragonato alla «costruzione di una cattedrale», c'era infatti un'idea trainante e decisiva: il principio che la forma di una sedia ò il risultato dei procedimenti industriali di produzione; il principio che fra ideazione, progettazione e costruzione non potevano esserci casualità avventate, avvicinamenti occasionali, legami fortuiti o fortunati. Per dar seguito a un'intuizione che avrebbe consegnato per sempre Thonet alla storia della cultura e alla preistoria del design, il falegname palatino dovette realizzare - dopo il suo arrivo a Vienna ma anche prima, nei giorni meno fortunati di Boppard - un numero di utensili e di strumenti produttivi superiore a quello delle sedie in seguito prodotte: entrando di persona e con fragore in quella «rivoluzione industriale» che George Stephenson sperimentava, contemporaneamente, in Inghilterra, progettando la prima locomotiva a vapore. Quando morì - nel 1871, a Vienna - Michael Thonet affidò ai figli un'industria florida, e a tutti gli altri consegnò un'idea: che anche il legno più duro può piegarsi, che c'è sempre una soglia da varcare. Emanuele Novazio Una sedia Thonet