Bobbio interviene nella polemica sul Mulino e il «gramsci-azionismo»: c'è una vulgata di cui una storiografìa più serena dovrebbe fare giustizia Egemonia marxista? Una leggenda

Bobbio interviene nella polemica sul Mulino e il «gramsci-azionismo»: c'è una vulgata di cui una storiografìa più serena dovrebbe fare giustizia Bobbio interviene nella polemica sul Mulino e il «gramsci-azionismo»: c'è una vulgata di cui una storiografìa più serena dovrebbe fare giustizia BON capisco perché Carlo Bo abbia voluto, anche lui, riprendere la leggenda dell'egemonia marxista o, come è stata fantasiosamente chiamata, del «gramsci-azionismo», nell'Italia del dopoguerra, in un recente articolo sul Corriere della Sera. Tale egemonia è ridiventata oggetto di pubblica riprovazione in occasione del dibattito provocato dalla pubblicazione presso il Mulino dell'ultimo libro di Edgardo Sogno con una prefazione dello stesso autore, dalla quale la casa editrice ha voluto manifestare pubblicamente il proprio dissenso. Da questa egemonia sarebbe derivato il soffocamento della cultura di destra, che si sta sollevando ora finalmente dal lungo servaggio. Aveva fatto bene Eugenio Scalfari a ricordare ai «Cari liberali dell'ultima ora», su La Repubblica del 19 giugno, sia l'importanza che nel dibattito culturale di quegli anni ebbero II Mondo e i convegni promossi dalla rivista - e, aggiungo io, dal «Movimento Salvemini» - i cui atti venivano pubblicati dalla «sinistra» casa editrice Laterza, sia l'asservimento della radio e televisione di allora agli interessi del potere cattolico, su cui anch'io avrei qualcosa da dire (ma sarà per la prossima volta). Qualche giorno dopo, rispondendo su questo giornale ai suoi critici nell'articolo «Il Mulino della polemica», Sergio Romano ha opportunamente ricordato l'incontro fra cattolici e laici, avvenuto proprio grazie alla rivista bolognese, «nel segno di una grande attenzione per le scienze sociali», come si erano sviluppate nel mondo anglosassone, precisando che i fondatori dell'Associazione e della casa editrice si erano convinti che «l'Italia avesse bisogno di essere modernizzata» attraverso «una forte cura di economia, sociologia e politologia anglo-americane». Proprio così, almeno per quel che riguarda il campo delle scienze sociali di cui ho avuto diretta esperienza. Non entro nel campo della letteratura, che non appartiene alla mia competenza, ma i primi nomi che mi vengono in mente di scrittori nell'ambiente torinese a me familiare Pavese, Calvino, Fenoglio, Arpino, Carlo Levi, Primo Levi - sono di scrittori del tutto estranei alla cultura marxista. A dispetto dei disattenti o male informati o prevenuti deplo- ratori dell'invadenza marxistica nell'editoria, nei giornali e nella scuola italiana, avvenne ben presto nel nostro Paese subito dopo la guerra - ed era inevitabile data la nostra collocazione internazionale - una rapida ed estesa, sotto molti aspetti, è inutile negarlo, anche benefica, «americanizzazione» della cultura italiana, specie nel campo delle scienze sociali (che dovrebbe essere il più noto ai critici di oggi). Il rinnovamento degli studi e dell'insegnamento di discipline come la sociologia, la scienza politica, l'economia, l'antropologia, la psicologia avvenne attraverso la traduzione di libri che provenivano dagli Stati Uniti e della cui traduzione è stata benemerita sin dall'inizio la casa editrice bolognese. Si avviarono le prime ricerche empiriche sul campo, che non avevano niente a che vedere con l'orientamento marxista, anzi lo combattevano aspramente sul suo stesso terreno della pretesa «scienza della società», proposta dai marxisti. Non ho strumenti adatti misurare con un'attendibile approssimazione se in quei primi quindici anni sia stata maggiore l'egemonia del marxismo o dell'empirismo americano. Ma siccome ho vissuto personalmente quella esperienza, propenderei per far pendere la bilancia sul secondo piatto. Già nel 1947 era stato fondato a Milano il «Centro nazionale di difesa e prevenzione sociale», che promosse convegni e ricerche di sociologia del diritto e si preoccupò di formare esperti nelle scienze sociali allo scopo di offrire un contributo «scientifico» alla ricostruzione della democrazia nel nostro Paese. Si venne ben presto a creare tra i giovani studiosi una concezione della ricerca secondo la quale il marxismo era interpretato come una filosofia o, peggio, come un'ideologia. La prima rivista di sociologia, Quaderni di so ciologia, nacque per iniziativa di Nicola Abbagnano, che era uno dei più autorevoli ispiratori del «nuovo illuminismo», e di Franco Ferrarotti che proveniva dal Movimento di Comunità, l'ondato da Adriano Olivetti. Il Congresso nazionale di sociologia, promosso dai primi sociologi costituitisi in associazione, si svolse a Milano nel 1958 e io fui incaricato di tenere la relazione introduttiva sul tema generale «Posizione e integrazione delle scienze sociali». Nel rileggere oggi questa relazione, a tanti anni di distanza, non posso definirla se non, scherzosamente, come una vera e propria «americanata». Avevamo accettato dagli Stati Uniti - qualcuno dei vecchi sociologi lo ricorderà - il dogma secondo cui le scienze sociali fondamentali erano tre e non più di tre, la sociologia, l'antropologia, la psicologia sociale. In questo nostro primo congresso ci eravamo posti il problema di illustrarne la natura e il modo di integrare l'ima con l'altra. L'anno dopo la stessa associal zione, insieme con il menzionato i «Centro nazionale di difesa e prevenzione sociale», affrontò In difficile impresa di organizzare il IV Congresso internazionale di sociologia a Stresa, i cui protagonisti, riveriti e osannati dai partecipanti, furono i due maggiori sociologi statunitensi, Parsons e Merton, insieme con Raymond Aron, di cui ricordo ancora una strapazzata rivolta a un malcapitato professore sovietico che 1 aveva osato parlare come interprete autentico della dottrina ì marxista. Alessandro d'Entreves ! e io organizzammo nell'ambito j del congresso una sezione speciale sul tema delle élite, attra- | verso il quale riportavamo al'onor del mondo la sociologia e la scienza politica italiane di Pareto e di Mosca, trasmigrati negli Stati Uniti durante il fascismo. Non t; inutile aggiungere che sia l'uno sia l'altro erano stati pugnaci avversari del marxismo. Nel 1957 usci presso il Mulino il notissimo libro, più volte ristampato, Democrazia e defini zioni, di Giovanni Sartori, la cui ispirazione liberal-democratica era chiarissima dalla prima all'ultima pagina. La sua interpretazione del nostro sistema politico come «pluralismo polarizzato» forse (forse!) non è più vera, ma non ò neppure, forse, più vera - il dubbio e d'obbligo - l'interpretazione di chi lo definì qualche anno dopo un '(bipartitismo imperfetto». L'unica cosa certa ò che le due interpretazioni erano completamente estranee al dibattito che si svolgeva allora, gramscianamente, sul rapporto tra società civile e Stato in casa comunista. Non mi soffermo, perché il discorso sarebbe troppo lungo, su quello che è avvenuto nel campo del diritto, del quale l'egemonia del marxismo non c'è mai stata. Mi limito a dire che in questo campo benemerita per la traduzione e diffusione in Italia delle principali opere di teoria generale del diritto, da Kelsen a Hart, fu la famigerata casa editrice di Giulio Einaudi, rea di tanti misfatti di leso liberalismo. Bastino per ora queste poche annotazioni per sollevare almeno i) sospetto che il predominio del marxismo nella cultura italiana, sin dai primi anni della Repubblica, sia una «vulgata», di cui una storiografia più serena dovrebbe finalmente fare giustizia. Se la storia della liberal-democrazia in Italia comincia soltanto ora per i dotti della nuova generazione e per i dotti della vecchia generazione, che liberaldemocratici non erano sinora stati, chi ha vissuto in prima persona sin dall'inizio questa esperienza invita i neofiti e i convertiti a esaminare con maggiore equilibrio la nostra storia recente e a trarne le aebite conseguenze rispetto alla presenza di una cultura di matrice anglosassone che è sempre stata in contrasto con il marxismo nelle sue varie forme e scuole, e che a me pare più del marxismo abbia accompagnato lo sviluppo della società italiana in questi cinquantanni. Norberto Bobbio Stresa '59, al congresso di sociologia dominio degli statunitensi E il delegato sovietico fu strapazzato da Aron Subito dopo la guerra avvenne una rapida ed estesa, per molti aspetti benefica, «americanizzazione» della cultura italiana I disattenti deploratori dell'invadenza comunista lo hanno dimenticato I neofiti e i convertiti della liberaldemocrazia esaminino con più equilibrio il nostro passato recente la casa editrice bolognese. Si avviarono le prime ricerche empiriche sul campo, che non avevano niente a che vedere con l'orientamento marxista, anzi lo combattevano aspramente sul suo stesso terreno della pretesa «scienza della società», proposta dai marxisti. Non ho strumenti adatti misurare con un'attendibile approssimazione se in quei primi gLa prima rivista di sociologia, Quaderni di so ggsecondo cui le scienze sociali fondamentali erano tre e non più pmarxista. Alessandro d'Entreves ! e io organizzammo nell'ambito j del congresso una sezione speciale sul tema delle élite, attra- | verso il quale riportavamo al'onor del mondo la sociologia pecgrsdscs