Incomunicabilità fra i due lati del Muro che non c'è più Berlino 2000, capitale di terrestri e marziani

Incomunicabilità fra i due lati del Muro che non c'è più Incomunicabilità fra i due lati del Muro che non c'è più Berlino 2000, capitale di terrestri e marziani Ljg BERLINO m idea della riunione fra due Stati germanici, artificialmente creati e separati dalla guerra fredda e quasi involontariamente fusi dai terremoti politici degli ultimi sette anni, è un'idea che ha perduto slancio e oggi stenta a mettere radici nella coscienza tedesca. La famosa Wiedervereinigung, l'agognata riunificazione, pur realizzata in concreto sul piano territoriale, valutario, doganale, economico, lo è assai meno dopo cinque anni sul piano psicologico e umano. Una cortina invisibile, non più di ferro ma di nebbia, continua a dividere due mondi tedeschi che spesso comunicano difficoltosamente e, talora, non comunicano affatto. L'idea e la realtà della riunificazione in sé, che politicamente nessuno rimette più in discussione, tranne qualche intellettuale impenitente alla Gùnter Grass, non riescono tuttavia a decantarsi in un fatto collettivo compiuto e profondo; conservano ancora per i tedeschi delle due sponde, del Reno e dell'Elba, un qualcosa di fastidioso, di provvisorio, di astratto. Né gli uni né gli altri si sono ancora abituati alla convivenza. Gli uni e gli altri, facendo puntigliosamente i conti sui rispettivi libri mastri, seguitano tuttora a parlare dei «costi della riunificazione». La verità è che i nuovi Lànder dell'Est, dopo il crollo del muro e della corazza onnipervasiva del sistema comunista, si sono ritrovati come ignudi e sospesi in un limbo paludoso, una terra di nessuno, non più Oriente e non ancora Occidente. Anche agli occhi di molti tedeschi occidentali la regione oltre l'Elba appare oggi simile a una zona grigia indefinibile e irraggiungibile. La similitudine etnica e linguistica non si è sublimata in un pieno e convinto riconoscimento nazionale reciproco. Nonostante gli immani sforzi compiuti in cinque anni dalla Treuehand, l'agenzia inventata da Bonn per privatizzare e dissolvere le imprese collettivizzate dell'Est, gli «Ossis» di Dresda e di Lipsia sono rimasti «Ossis». Com'è noto, «Ossi» è il termine un po' spregiativo col quale il «Wessi» di Francoforte o di Dusseldorf definisce il parente povero che vivacchia e mugugna driiben, «di là»: un cugino più che un fratello, querulo e invidioso, assetato di sovvenzioni gratuite, quasi un fantasma privo d'anagrafe, di consistenza corporea, di vera identità nazionale. Un estraneo che veste diverso, mangia diverso, pensa diverso e si esprime in un tedesco gergale, sovietizzato, con concetti e parole spesso incomprensibili. Ma è a Berlino, nell'ambito intersecato di un'unica città prima fratturata e poi di colpo ricongiunta, che la lunga separazione e incomunicabilità tra tedeschi diventa oggi, nonostante la caduta del muro, separazione e incomunicabilità tra concittadini, tra congiunti, tra amici, tra colleghi che esercitano lo stesso mestiere La frattura psicologica tra le due Germanie, tra due tenitori, resta pur sempre generica e astratta. E' a Berlino che le schegge della frattura penetrano nel vivo della medesima carne. Ho detto che tutto ciò è accaduto e accade nonostan te la caduta del muro. Ma il fenomeno è in realtà assai più paradossale, più misterioso, direi quasi più sottilmente crudele. Perché tutto ciò accade proprio a causa del crollo del muro. Una giovane signora berlinese, che mi fa da guida nella perlu strazione della città riunificata, ad un certo punto, appena entria mo nel settore Est, comincia a svolgere imo strano discorso. Dice: «Pensi che una mia sorella sposata vive tuttora con la fami glia in questa parte orientale di Berlino. Quando c'era il muro, escogitavamo mille pretesti, mille percorsi, pur d'incontrarci da qualche parte della Germania comunista o in Polonia o in Cecoslovacchia. Io ovviamente le portavo qualche regalo, le davo qualche marco. Ma non era qui il punto. La cosa importante era che ci vo levamo bene, parlavamo, c'inten devamo alla perfezione, faceva mo continui progetti per incon trarci una prossima volta. Il mu ro, la separazione impostaci con la violenza, ci teneva unite e più vicine che mai. Oggi che il muro non c'è più, abbiamo perso di colpo ogni interesse l'una per l'altra Ci siamo d'un tratto accorte che parliamo due lingue diverse, che ragioniamo in maniera opposta, che quel che è bianco per lei è ne ro per me e viceversa. Così abbia mo cessato di frequentarci. La so rella è qui, a un passo da me, potrei rivederla ormai ogni giorno; eppure, né io né lei, desideriamo più farlo». Noto che la nuova incomunicabilità tedesca, frutto deviato e morboso della riunificazione, è soprattutto diffusa fra i giovani. Ai più vecchi il mito patriottico dell'unità ritrovata dice ancora qualcosa. Ai giovani poco, quasi nulla. Già a Colonia, l'assistente non ancora trentenne di un maturo dirigente d'azienda che aveva parlato con entusiasmo della riunificazione, mi ha sussurrato riaccompagnandomi all'uscita: «Sa, in genere quelli della mia età non la pensano così. I più anziani hanno sempre in mente Bismarck. Noi no. Per noi la riunificazione non è tutta fiori e rose. Io, quando incontro un coetaneo dell'Est, non lo capisco letteralmente: non capisco il suo linguaggio; non capisco cosa vuole; non capisco chi è. In fondo, non riesco a capire perché il mio stipendio debba essere gravato del 10% di un Solidaritàtbeitrag (contributo di solidarietà) a favore degli incomprensibili cittadini della ex Ddr». Insomma incomprensibili, estranei, alieni, tutti questi nuovi e improvvisati tedeschi di seconda classe, che pretendono di vivere di prebende e assistenze sulle spalle dei cittadini della Germania occidentale. Tuttavia, si può ancora capire che un cattolico di Colonia possa sentire distante dalla propria la mentalità di un protestante di Lipsia; probabilmente era così già ai tempi della Dieta di Francoforte, quando la Germania prebismarckiana appariva divisa in principati e granducati non sempre in perfetta armonia fra loro. Meno comprensibile, più sconcertante, è il fatto che dopo il muro che li divideva, che spaccava e feriva entro pochi metri quadrati una stessa famiglia, i berlinesi sentano di appartenere a due universi distanti o perfino ostili. Faccio altre domande in proposito. Mi si risponde che, dopo i primi tempi d'euforia nazionale seguiti allo smantellamento della «vergogna di cemento», alla riunificazione, al cambio del marco uno contro uno, i berlinesi hanno scoperto di costituire, se non due nazioni, due comunità cittadine differenti. Comunità più chiusa, più silenziosa, più depressa quella del settore ex comunista; più egoista e più arrogante quella dell'altro settore. I berlinesi orientali vengono al massimo a fare qualche compera fra i negozi occidentali, ma in genere preferiscono restare isolati nei loro quartieri conservando le antiche abitudini sobrie e taciturne. Quelli dell'Ovest non si comportano molto diversamente. Il sabato sera, fanno qualche rapida incursione nelle discoteche e nei cabaret dell'Est, andandovi ad assaporare quasi il gusto dell'avventura esotica in terra straniera. Poi tornano alle proprie case, e chi s'è visto s'è visto; poca fraternizzazione, poche cerimonie comuni, pochi matrimoni fra gli abitanti delle due comunità separate oggi da un impalpabile muro mentale e psicologico. Due emisferi che girano in due orbite contigue senza sfiorarsi e senza interessarsi l'uno dell'altro. Potrà mai essere questa, nell'intimo, la grande capitale della Grande Germania del 2000? Sono immensi gli sforzi politici ed economici per creare, ricostruendola e abbellendola, una Berlino davvero unificata, urbanisticamente organica, capace di rappresentare nel prossimo millennio la Germania e di costituire un ponte culturale fra l'Occidente e l'Oriente della vecchia Europa. Sono stati chiamati a ristrutturare la metropoli i migliori chirurghi d'estetica urbanistica, fra cui diversi italiani, che dovranno convertire in pietra (più pietra che vetrocemento) il flusso dei trecento miiardi di marchi occidentali che scorrono sull'epidermide ancora martoriata della città. Non a caso Berlino e diventata il cantiere più rumoroso e più gigantesco del continente. Mentre ministeri e burocrazia preparano 'Urnzug, il trasloco dal villaggio asettico di Bonn, le strade e le piazze berlinesi rigurgitano di stridori martellanti, di gru portentose, di mostruose macchine edili, di grovigli di fili elettrici e ganci a trazione verticale. Si direbbe quasi che le continue colate di cemento, il tam-tam diuturno dei martelli pneumatici, cerchino di surrogare o di pienare col loro lavorio i vuoti e le lacerazioni che deprimono e dividono l'umanità postmurale dei berlinesi. Si cerca, insieme, di ridare alla città un futuro e di restaurarne il passato distrutto. Una delle più grandi piazze d'Europa, la Potsdamer Platz, un tempo attraversata dai seicento tram al giorno, poi rasa a pelo dalla guerra e strozzata dal muro, oggi rivive sotto l'artiglio delle ruspe che danno vita a nuovi edifici e ricostruiscono tal cruali, dal nulla, antichi cimeli come l'Esplanade con la sua Kaisersaal e l'Hotel Adlon. Al centro della Potsdamer, che è ancora e soltanto un immane deserto sconvolto, si erge come in una fiaba surreale un'aerodinamica torre scarlatta, fatta d'un materiale plastico che ricorda il Lego dei bambini; l'hanno chiamata «Info Box», scatola dell'informazione, ed e qui che si viene a sapere che sotto la direzione dell'architetto Renzo Piano sorgerà sulla piazza entro il 1998 un quartiere con 19 costruzioni, il tutto finanziato dalla Sony e dalla Daimler Benz. Dalla sommità dell'Info Box, si accentuano e compenetrano, osservandole in panoramica dall'alto, tutte le vecchie e contrastanti anime di Berlino. La capitale protestante e tollerante di Federico i! Grande, che smentisce l'idea di una Prussia soltanto militarista, con la cupola della basilica regalata dai prussiani agli ugonotti e fronteggiata, in perfetta simmetria architettonica, da una consimile basilica evangelica. Poi i resti della metropoli neoclassichegpiante di Hitler e di Speer, il Bunker dove il Fuhrer sposò Eva Brami e si suicido con lei, il ministero dell'Aeronautica in stile costruttivisla di Gòring, la «topografia del terrore» (definita proprio cosi da un cartello! con la sede delle SS e le camere di tortura della Gestapo. Quindi la cittadella stalinista di Ulbricht e di Honecker, l'obelisco della televisione comunista alto 365 metri, la Stalin Allee con i brutti casermoni in materiali prefabbricati dell'edilizia sovietica e, infine, il complesso squadrato e schiacciato dei sinistri edifici a colombaia, della Stasi. Non manca nulla, neppure le voragini e i terrapieni desertificati dalla guerra, neppure le cicatrici ancora vìsDdìIÌ e serpeggianti dove una volta correva il muro della separazione e della discordia. Ci sono indubbiamente altre capitali europee più belle e più cattivanti di Berlino. Ma nessuna, come Berlino, può vantare un simile distillato di luci e ombre storiche, dall'illuminismo fredericiano alla grevità bismarckiana, dai vicoli assassini di Grosz agli orinatoi di Franz Biberkopf, dai caffè letterari dell'era Weimar agli studi cinematografici Ufa di Goebbels e Leni Riefensthal, dalle prigioni naziste alle comuniste, dal consumismo elettrizzato e agorafobico del settore occidentale all'esplosione della ricostruzione totale, vulcanica, magmatica, lenitiva, di questi ultimi anni. E' giusto domandarsi come una j volta: ma dov'è Berlino a Berlino? j 0 meglio ancora: dove e come sarà la Berlino di domani? La Germania del Duemila che, invertendo la rotta, potrebbe diventare un gigante politico e un nano economico, farà di Berlino una capitale centralizzatrice, prussificata, totalizzante, oppure le conferirà un ruolo decorativo di rappresentanza non solo tedesca ma europea? Le tendenze che avverto nell'aria sono due, in contrasto ira loro. Il grande disagio, che lima e pota le fronde dello Stato sociale, e che alla fine tende a rimpicciolire il aiolo dello Stato in quanto tale, potrebbe indurre la Gennania federale a federalizzarsi ancor più. I segnali ci sono. La residenza ufficiale del presidente della Repubblica è già a Berlino; ma circa otl i ministeri resteranno a Bonn, la tinanza e la Borsa fioriranno .i Francoforte, i tutori della Costituzione siederanno sempre a Karlsruhe. la stampa continuerà sempre ad Amburgo, la moda sfilerà a Dusseldorf, la grande industria si concentrerà a Stoccarda, la fiera inviterà i compratori stranieri a Lipsia. L'altra tendenza, anch'essa stimolata dal grande disagio e dalla fine del miracolo, potrebbe invece spingere la Germania a concentrare un eccesso di poteri a Berlino. A fame una specie di Parigi teutonica. Sarebbe un passo indietro rispetto alla bella parabola democratica dell'ultimo mezzo secolo; sarebbe un ricongiungimento ai 75 anni di storia dello Stato unitario forgiato nel ferro e nel sangue da Bismarck. In definitiva, sarebbe un'incognita per tutti: per le due Germanie riunite ma non amalgamate, e per l'Europa sempre sul ciglio dell'autodissoluzione. Enzo Bettiza (4-Fine) Nessuno discute il fatto compiuto della riunifìcazione, che però conserva per i tedeschi delle due sponde qualcosa di fastidioso. E tutti parlano dei suoi costi Le comunità di Est e Ovest vivono separate ciascuna nel suo quartiere: poca fraternizzazione poche cerimonie comuni, pochi matrimoni misti Il cantiere più grande d'Europa cerca di riempire la lacerazione VIAGGIO NELL'ANSIA TEDESCA ENessuno discute il atto compiuto della riunifìcazione, che però conserva per i tedeschi delle due sponde qualcosa di fastidioso. E tutti arlano dei suoi costi la è qui, a un passo da me, poi rivederla ormai ogni giorno; pure, né io né lei, desideriamo ù farlo». Noto che la nuova incomunicaità tedesca, frutto deviato e orboso della riunificazione, è prattutto diffusa fra i giovani. iù hi il it titti nità vest rate suo poca one onie ochi misti e più uropa mpire zione sitprise«vficunscnadipideegl'avechtastcosovevequdiangutepstcemmpgosePmdmmaroonnradcpunpmsmigmapstegrdddldpitsz