I temi di maturità e l'inno di Mameli PANE AL PANE di Lorenzo Mondo

/ temi di maturità e l'inno di Mameli PANE AL PANE =1 / temi di maturità e l'inno di Mameli ARA' vero che i temi di italiano per gli esami di maturità propongono perlopiù delle solenni ovvietà. E' il lamento che si leva ogni anno, nel trascinamento stanco del luogo comune. Ma altri osservano che c'è di peggio. Le «tracce» ministeriali non offrono, nella loro formulazione, possibili alternative, il suggerimento di una tesi contrapposta che aguzzi il confronto delle idee, che incrementi una visione meno data, più problematica della realtà. A me sembra, onestamente, che ai vituperati temi si chieda troppo. Quando è già molto se sollecitano gli studenti a esporre con chiarezza le nozioni di cui dispongono, ad articolare con proprietà le loro, magari dissonanti, riflessioni. Chiedete se è poco a chi insegna all'Università e deve spesso combattere con l'afasia e le approssimazioni lessicali degli aspiranti laureati. Chiedetelo a qualche professionista (anche della politica) che, disavvezzato dai temi del liceo, riesce a compitare con fatica due cartelle di decente italiano. Ma, fermandoci ai contenuti, sono così inutili o sviatiti certe proposizioni? Prendiamo il testo di Pavese utilizzato per il primo tema: «Quando un popolo non ha più senso vitale del suo passato si spegne... La giovinezza dei popoli è una ricca vecchiaia». Queste parole sono in linea con il pensiero e l'immaginazione creativa di Pavese, con il sentimento forte di una cultura che arriva a ri crearsi e specchiarsi in un anonimo lembo di campagna, in un angolo di città moderna. Il Pavese delle irriducibili ascendenze, non soltanto storiche ma extra temporali, mitiche. Atteniamoci tuttavia al dettato elementare dell'estrapola zione. Beniamino Placido oppone con arguzia, dalle colonne di «Repubblica», che alcune esperienze sto riche significative, come la nascita degli Stati Uniti d'America, si basano inve ce sulla convinzione di do versi liberare dal passato europeo: «Basta con i vo stri castelli, le vostre torri le vostre corti». Giustissi mo, quando non si dimen¬ tichi che il «basta» a «quel» passato è stato pronunciato anche in Europa dalla Rivoluzione francese. Mentre l'America ha valorizzato all'estremo la tradizione puritana che non ha certo acquisito dai pellerossa. E non ha perso tempo a costruirsi ed a celebrare un proprio passatoVogliamo poi trascurare quanto ha pesato sull'autocoscienza di quel popolo di sradicati l'estensione e il vuoto, la «solitudine», del continente appena violato?Che non siano da buttar via le proposte del nostro tema, lo dimostra il dibattito storiografico in corso sul concetto di patria e dnazione (l'appartenenza che nasce da un passato condiviso), sul suo affievolimento, cominciato non ssa bene quando. Ma a me basta l'impressione che ho ricavato dalle immagindelle partite di calcio acampionati europei. Asuono degli inni nazionalii soli che giustificasseronell'occasione, le maglinon localistiche o mercenarie dei giocatori impettiti e frementi. Cantavancon commozione i cechcantavano inglesi, tedesche francesi. Avrebbero probabilmente cantato ancheturcomanni. Ma non undegli azzurri che sillabassl'inno di Mameli. E noperché sdegnassero, immagino, la corrività e la retorica delle parole. Occhsbarrati, labbra fermeabissalmente lontani da usentimento di patria, dstoria comune. Come se vergognassero,' al pari dmigliaia e migliaia di docitifosi, di sentirsi e dirsi italiani. Uniti appena dall'deale del gioco, di quelche si è rivelato alla finuno scarso gioco. Quasi drallegrarsi, per loro, noper noi aggrappati alla sdia, che le abbiano buscatBocciati, prima ancora dela partita, al loro esame civica maturità. Lorenzo Mondoido tichi che il «basta» a «quel» passato è stato pronunciato anche in Europa dalla Rivoluzione francese. Mentre l'America ha valorizzato all'estremo la tradizione puritana che non ha certo acquisito dai pellerossa. E non ha perso tempo a costruirsi ed a celebrare un proprio passato. Vogliamo poi trascurare quanto ha pesato sull'autocoscienza di quel popolo di sradicati l'estensione e il vuoto, la «solitudine», del continente appena violato? Che non siano da buttar via le proposte del nostro tema, lo dimostra il dibattito storiografico in corso sul concetto di patria e di nazione (l'appartenenza che nasce da un passato condiviso), sul suo affievolimento, cominciato non si sa bene quando. Ma a me basta l'impressione che ho ricavato dalle immagini delle partite di calcio ai campionati europei. Al suono degli inni nazionali: i soli che giustificassero, nell'occasione, le maglie non localistiche o mercenarie dei giocatori impettiti e frementi. Cantavano con commozione i cechi, cantavano inglesi, tedeschi e francesi. Avrebbero probabilmente cantato anche i turcomanni. Ma non uno degli azzurri che sillabasse l'inno di Mameli. E non perché sdegnassero, immagino, la corrività e la retorica delle parole. Occhi sbarrati, labbra ferme, abissalmente lontani da un sentimento di patria, di storia comune. Come se si vergognassero,' al pari di migliaia e migliaia di docili tifosi, di sentirsi e dirsi italiani. Uniti appena dall'ideale del gioco, di quello che si è rivelato alla fine uno scarso gioco. Quasi da rallegrarsi, per loro, non per noi aggrappati alla sedia, che le abbiano buscate. Bocciati, prima ancora della partita, al loro esame di civica maturità. Lorenzo Mondo ido |

Persone citate: Beniamino Placido, Lorenzo Mondoido, Mameli, Pavese

Luoghi citati: America, Europa, Stati Uniti D'america