Nei macelli dell'antica Roma Era il tempo di mucca savia di Sabatino Moscati

Nei macelli dell'antica Roma Nei macelli dell'antica Roma Era il tempo di mucca savia 1 ti I sono, nella storia degli 1 / studi, coincidenze im1/ provvise e illuminanti, 1 che spiegano l'attualità —LJcon il passato e aprono conoscenze tanto inattese quanto essenziali per comprendere il nostro tempo. Così, mentre infuriava (e tutt'ora infuria) la questione della «mucca pazza», giungeva a termine un'indagine rivelatrice sul commercio della carne nell'antica Roma; sulla provenienza, il trasporto, la distribuzione all'ingrosso e al minuto, i prezzi e il loro rapporto con la spesa quotidiana. Apprendiamo, così, che l'area principale di rifornimento era il circondario della capitale: donde il ridursi dei pericoli derivanti da un lungo trasporto e da condizioni sanitarie imperfette. Non sappiamo di epidemie, e lo sapremmo se ve ne fossero state di rilevanti come quella attuale: notevole è invece il racconto da parte di Vairone di una specie di giuramento del venditore sulla sanità della bestia al momento della vendita, il che corrisponde a un certificato di garanzia. Quanto ai tipi di carne distribuiti e consumati, la più diffusa era quella di maiale, da cui si traevano già prosciutto, lardo e salsicce. La carne bovina era meno usata, a causa dei divieti esistenti sull'uccisione dei buoi in quanto necessari ai lavori dei campi e ai trasporti. Analogamente per capre, pecore e montoni prevaleva l'uso per la fornitura di latte. Le galline servivano soprattutto alla produzione delle uova, che erano molto diffuse e poco costose. Notizie sui prezzi si hanno da varie fonti, e in specie dall'editto di Diocleziano del 301 d.C. Apprendiamo così che la carne di maiale costava allora dodici denari per libbra. Calcolando, con largo margine di approssimazione, che un denaro equivaleva a circa'uri dollaro (1500 lire)' e una libbra circa un terzo di chilo, si può dedurre che un chilo di carne di maiale costava oltre 50.000 lire: una cifra assai superiore al prezzo medio attuale. Ancor più caro, e di molto, era il prosciut¬ to: venti denari per libbra, cioè circa 90.000 lire al chilo. La carne bovina e caprina costava meno, otto denari per libbra e dunque circa 35.000 lire al chilo. In ogni caso, come si vede, i prezzi erano molto alti, specie se li si confronta con quelli di altri generi alimentari. Ma il discorso deve ora riportarsi ai salari: quanto guadagnava un cittadino medio, e quale era dunque la sua capacità di acquisto? Approssimativamente, un artigiano poteva guadagnare il corrispettivo di un milione e mezzo al mese; sicché la carne non rientrava tra i suoi cibi abituali, che erano invece i legumi e gli ortaggi. Si aggiunga che il lavoro era per lo più giornaliero; che i giorni festivi erano più dei nostri (una decina al mese); e che la disoccupazione era assai diffusa. Forti appaiono, inoltre, gli squilibri sociali: alcune arti e mestieri consentivano un guadagno maggiore; e in quel caso maggiore era l'uso della carne. Un pittore di scene figurate (definizione che approssimativamente corrisponde a quella di un artista) guadagnava, sempreché lavorasse continuativamente, il corrispettivo di quattro milioni e mezzo al mese. Un maestro di oratoria poteva salire, se aveva numerosi alunni, a sette milioni e mezzo. Un buon avvocato chiedeva in media un milione e mezzo per patrocinio; e ne aveva parecchi. L'indagine di cui stiamo parlando è merito di una giovane studiosa romana, Roberta Belli Pasqua. Un'anticipazione dei risultati si può leggere nella raccolta di saggi Agricoltura e commerci nell'Italia antica, realizzata da un gruppo di borsisti della Coop e edita dall'Erma di Bretschneider. Ma si tratta di una semplice anticipazione, a cui attendiamo che l'autrice faccia seguire presto una trattazione ampia e completa: trattazione che, in considerazione delle vicende recenti su cui getta luce, si potrebbe intitolare La mucca savia. Sabatino Moscati

Persone citate: Bretschneider, Roberta Belli Pasqua

Luoghi citati: Italia, Roma