L'uomo che brucia i teatri

i La Fenice, il Petruzzelli, la bomba all'Arena: e se dietro gli attentati ci fosse m la stessa mano? Un'indagine tra fantasia e realtà L'uomo che brucia 0 i TEATRI L UOMO era seduto nel caffè all'aperto davanti al teatro. Sul tavolino di marmo, un bicchiere di sherry. Tra le mani, un quotidiano; stranamente, di Venezia. Guardava una fotografia in prima pagina. Un uòmo in piedi, dritto come un pompiere. Con la divisa, anche, ma non da pompiere, da maschera cinematografica, piuttosto. Cinque bottoni dorati e rotondi sulla giubba, stivaloni nerolucidi ai piedi. Sull'attenti, il volto barbuto con lo sguardo fisso davanti a sé. La sentinella di uno scintillante rifugio. Alle sue spalle, candelabri e lampadari, gocce di luce riflesse sui pavimenti levigati. Sul retro della foto, una scritta: GIRARE in caso d'incendio. Didascalia: la misteriosa fotografia ritrovata fra le macerie del teatro La Fenice di Venezia. L'uomo posò il giornale sul tavolo e sollevò il bicchiere di sherry. L'avventore seduto di fianco, un uomo vecchio e calvo, fu attratto dall'immagine in prima pagina. Sbirciò il contenuto dell'articolo e sorrise. Quando alzò lo sguardo incontrò un bicchiere di sherry in discesa e due occhi fissi nei suoi. Il sorriso gli rimase lì, fuori tempo, mentre cercava qualcosa da cure. Quel che trovò fu: «E così sarebbe questa specie di domatore di tigri il misterioso incendiario dei teatri italiani?». L'uomo dello sherry sbuffò, lasciò un silenzio prima e dopo quel che aveva da dire, così da incorniciare la massima che era: «I teatri, come le passioni, divampano e finiscono in cenere». «Sempre?». «Sempre. Delle passioni può rendersi conto esaminando la sua vita, dei teatri posso dirle io. La Fenice la vede in macerie ancora qui, sui giornali. Del Petruzzelli di Bari certo si ricorderà e non avrà mancato di notare quante analogie vi siano state tra i due roghi. Della bomba disinnescata all'Arena di Verona nel '95 avrà letto. Ora se ha la pazienza di seguirmi, la posso portare in giro per l'Italia e per il tempo. A Palermo, anzitutto e soprattutto. Se lo ricorda il teatro Bellini, quel gioiellino vicino a Palazzo delle Aquile, quello che era decaduto fino a diventare un cinema, si figuri, poi l'avevano chiuso e infine riaperto con grande sfarzo. Se lo ricorda come bruciò una sera del '64, mentre recitava, guarda un po' la compagnia dei Draghi? Draghi spu- tafuoco. Velluti in fiamme vicino alle lampade, due ore e fu tutto in fumo. E sempre a Palermo, se lo ricorda il Garibaldi? Un altro gioiellino del '700, presso piazza Magione, quella dove giocavano a pallone da ragazzi Falcone e Borsellino, anche loro mandati in cenere dalla crudeltà, come il Garibaldi, due volte bruciato. E poi c'è il Biondo, che sta ancora in piedi, ma già tre volte gli hanno fatto assaggiare il fuoco, con un metodo da tortura, un po' qua, un po' là, una volta nel ridotto, una volta nel magazzino e se non fai quel che diciamo, la prossima è la volta che non ti rialzi. Capisce cosa intendo? Ma non è solo questione di minacce e di Sud. I teatri sono infiammabili dovunque: bruciò il Regio di Torino nel '36. Bruciò, perfino, il comunale di Bolzano, nell'88. Non c'è salvezza vede, solo cenere da spazzare». L'uomo vecchio e calvo annuì. Poi fermò il capo, di colpo, e domandò: «Ma chi brucia i teatri?». L'uomo che beveva sherry incorniciò nel silenzio la sua seconda risposta: «Gli impresari». Poi, raggiunto da uno scrupolo, aggiunse: «Di solito». Rialzò il bicchiere, senza bere e, stringendo gli occhi, ricordò: «Scriveva Benedetto Marcello nel volumetto II teatro alla moda stampato, guardi il caso, a Venezia nel 1720, che "l'impresario deve avere l'avvertenza di poter pagare bene i musici e particolarmente le donne, l'orso, le saette, i lampi, i terremoti". Pagare le saette e i lampi, capisce?». «Capisco. Tutti così?». «No, in effetti. Ci fu anche il diverso caso di Richard Sheridan, un irlandese del '700, che a lungo scrisse per il teatro, poi divenne impresario a Londra e con i guadagni finanziò la sua carriera politica. A bruciarla, è il caso di dirlo, fu l'incendio del suo teatro. Narrano che lui si sedette imperturbabile davanti al rogo che divampava inarrestabile, sorseggiando un bicchiere di sherry. A chi si stupiva replicò: "Che c'è di strano nel bere uno sherry davanti al proprio fuoco?"». L'uomo vecchio e calvo sorrise e disse, come imbeccato dal suggeritore: «Anche lei beve sherry davanti a un teatro». «Ma non sono un impresario e il teatro non è in fiamme... per ora. Prima che lei me lo chieda, glielo dico: sono un investigatore. Lavoro con un metodo tutto mio, seguo coincidenze, piuttosto che indizi». «Coincidenze?». «Esatto, tipo il fatto che L'angelo di fuoco di Prokofiev abbia debuttato proprio alla Fenice di Venezia, con tutti i teatri che ci sono al mondo. Qualcosa avrà pur voluto dire, no? Ecco, io cerco quel qualcosa, perché so che li è la chiave. Vado a teatro e vedo per esempio il Teorema di Pasolini messo in scena da Ronconi concludersi con un rogo purificatore non previsto nell'opera originale e mi dico che una ragione ci sarà. E poi leggo, leggo e rileggo. Il Fantasma dell'opera, con l'attore sfigurato dalle fiamme che trama fra le quinte. Racconti, come quello di Arpino sull'attore nel camerino dopo la recita che esprime il suo disprezzo per il teatro quale luogo fisico. Romanzi moderni, tipo La spettatrice di Paola Capriolo, dove il palco diventa luogo di una recita assassina. Poi un curioso libro dal titolo II rogo del Petruzzelli, attribuito a tale Daria Canossa, ma è uno pseudonimo, che cita in epigrafe Bachelard: "Le tendenze dell'incendiario hanno mi carattere sessuale. Quasi sempre l'incendio dei campi è la malattia di un pastore". E l'incendio nei teatri, di chi mai può essere la malattia? Le rispondo con un racconto orale, ideato da Oscar Wilde e tramandato dagli amici. Presenza di spirito, si intitolava. Narrava di un grande attore, atteso per una recita che si annunciava magistrale, in un teatro dove divampò il grido: "Al fuoco! Al fuoco!". Il grande attore apparve alla ribalta, calamitò l'attenzione di tutti gli spettatori con il suo magnetismo e disse: "Restate calmi, non c'è pericolo, non affollate le uscite, non muovetevi, aspettate in silenzio". Poi chiamò sipario, andò in camerino, si rivestì e uscì mentre il teatro crollava senza lasciare superstiti». Fece una pausa. Poi: «Capisce ora cosa sto cercando?». L'uomo vecchio e calvo disse: «Forse». L'altro spiegò: «La miccia dell'odio. La sto seguendo. E - nel dirlo indicò l'edificio davanti a se - porta dentro al teatro». Poi, finito lo sherry e la sua compiaciuta esibizione, saluto, si alzò e se ne andò. L'uomo vecchio e calvo lo guardò allontanarsi, quindi si alzò pure lui, andò al teatro, entrò da una porta laterale, raggiunse un camerino, si strucco e non fu più né vecchio né calvo. Si mise una barba posticcia, indosso una giubba da domatore e cammino fin sotto i grandi lampadari spenti. Ne! buio brillò il fiammifero con cui si accese la sigaretta. Gabriele Romagnoli 17 7 17 SABzelli, la bomba all'Arena: e se dietro gli attentati ci fosse m la stessa mano? Un'indagine tUna veduta della Fenice dopo l'incendio. A destra, le tradizifiammelle all'Arena di Verona, prima dello spettacolo Da sinistra, il teatro Petruzzelli di Bari e la misteriosa fotografia trovata alla Fenice Una veduta della Fenice dopo l'incendio. A destra, le tradizionali fiammelle all'Arena di Verona, prima dello spettacolo