Mostar, al volo sotto scorta L'Erzegovina collauda la democrazia di Giuseppe Zaccaria

Domani prime elezioni, dietro lo scudo della Nato Domani prime elezioni, dietro lo scudo della Nato Mostar, ul volo sotto scorta L'Erzegovina collauda la democrazia NELLA CITTA' DELL'ODIO TMOSTAR UTTE le mattine alle 6 e 30 l'autobus nnumero 9, vecchio attrezzo dipinto di rosso, parte dal Mostar Ovest (area croata) e con tre o quattro persone a bordo raggiunge l'imbocco del Lucki Most. Grazie ai contributi internazionali (qui sono stati stanziati 160 milioni di dollari) il grande ponte moderno è stato ricostruito e adesso proietta sulle verdi acque della Neretva l'identica, golìa architettura umbertin-socialista. Al suo imbocco, in attesa la polizia internazionale. Preceduto dalla scorta, l'autobus della linea 9 attraversa il ponte, scarica i pochissimi passeggeri a Mostar Est, fa salire altrettanti temerari di area musulmana e toma indietro, sempre protettissimo, a coprire un percorso di poche centinaia di metri fra le macerie. I rari lavoratori che cambiano zona (non tanto per paura, è che il lavoro non c'è) potrebbero muoversi a piedi però Mostar, che diamine, dev'essere città unita. Dev'essere simbolo della pace ritrovata. Dev'essere, sarà a tutti i costi emblema e motore del ritorno alla vita in Bosnia-Erzegovina, oppure la cosiddetta pace di Dayton salterà prima ancora di realizzarsi. La comunità internazionale ha deciso che domani si voti per la prima volta dalla fine delle ostilità. Che il Dio delle due parti la mandi buona. Ci sono non più di trecento metri fra le due aree, la linea del fronte che per un anno e mezzo divise bosniaci ed erzegovesi non è più larga di tre isolati (in assoluto, il luogo più devastato d'Europa). Mostar Est e Mostar Ovest, la città musulmana e quella cattolica, l'«Sda» di Izetbegovic e l'«Hdz» di Tudjman si devono confrontare in un territorio che non supera i trenta chilometri quadrati. La città è divisa in sei circoscrizioni ma è nella settima, la «Central Zone», che si gioca tutto. E' qui che il grande movimento islamico e l'emblema del patriottismo croato si batteranno come lottatori costretti ad avvinghiarsi su un fazzoletto. «Gli accordi di Dayton dipendono in gran parte da quello che accadrà qui domani»: Ricard Perez Casado, lo spagnolo che è succeduto al tedesco Kosnchick nell'amministrazione europea della città, ribadisce l'affermazione e poi torna a letto, in preda a un febbrone di pessimo auspicio. Da Monaco, un Kosnchick ormai disilluso sentenzia: «Abbiamo fallito il compito più grande. Stiamo ricostruendo la città ma i cittadini sono sempre più lontani fra loro». Anche adesso, alla vigilia del grande appuntamento, i sindaci delle due parti misurano in conferenze stampa la vera larghezza del fiume. Nelle mentalità, nella lontananza dei progetti i due o trecento metri geografici della Neretva diventano miglia marine, descrivono distanze che potrebbero farsi siderali. «Mostar unita? Qui non si potrà mai riprodurre un modello jugoslavo, la città com'era prima della guerra non risorgerà più». Miljo Brajkovic, sindaco della parte croata, non ha dubbi. E sentirlo parlare fa impressione poiché questo maturo economista pur militando nell'«Hdz» non è mai stato un de¬ magogo. In città i croati duri e puri hanno creato due liste ben più a destra della sua. Quanto alle prospettive però, nessuna incertezza. «Noi manterremo le nostre chiese, le nostre scuole, le nostre tradizioni, la nostra vita. I musulmani faranno la loro. Possiamo avere in comune qualche infrastruttura, chessò, la stazione, ma nient'altro». Poche centinaia di metri più in là - ma col fiume di mezzo - il sindaco della Mostar musulmana Safet Orucevic professa invece fede nella ragione. «Mostar deve tornare ad essere quella che fu per secoli, il luogo della convivenza. Noi ci battiamo per questo, crediamo che si possa ricordare perdonando». Belle parole, indici di una più marcata tolleranza ma parole, appunto. Poiché come vedremo fra poco la realtà è ancora mfinitamente lontana da qualsiasi gabbia o parametro l'imbarazzo del mondo abbia prodotto nel tentativo di ricostruire anche le menti. Alle urne, allora. Al voto, nonostante nessuno sappia quanti possano essere gli elettori. Attualmente si calcola che 40 mila persone vivano nella Mostar croata e che quasi 50 mila, forse un po' di più, si ammassino nella ristretta e più antica zona musulmana. 12 mila sono profughi dell'altra parte. Dicono che ad avere diritto al voto siano in 23 mila. Ma dove sono i serbi fuggiti via? Dove i musulmani che cambiarono città o Stato nei tempi in cui sulle loro teste piovevano 2 mila granate al giorno? Gli ebrei erano una piccola minoranza, ora sono quattro. Quattro persone in tutto di cui una, Srecana Maldlbaum, è tornata apposta da.Lodi per votare. Domattina un'ottantina di pullman che riportano gente di Mostar da Spalato, da Zagabria, da Belgrado si raggrupperanno e partiranno sotto scorta in direzione dei 77 seggi elettorali. In ciascuno un poliziotto del «corpo misto» (che significa croato nell'area croata, musulmano nell'altra) controllerà le cose, a sua volta controllato da un poliziotto internazionale cui farà da aureola la protezione dell'Ifor. Fra poliziotti locali, internazionali, supererfederali (rinforzi sono giunti da Sarajevo e Zagabria) ci sarà un agente ogni sei- sette elettori. Andare orgogliosi di un simile primato sembra difficile. E' molto complesso, il sistema. Dopo mesi di trattative i diplomatici dell'Occidente sono stati in grado di partorire niente più che un sistema proporzionale. Nel «City Council» della nuova Mostar ci saranno 16 croati, altrettanti musulmani, cinque rappresentanti degli «altri» e undici fantasmi. Undici seggi vuoti, in attesa che il ritorno dei profughi, soprattutto serbi, renda possibile fra qualche mese un'elezione supplettiva. Un sistema questo sì jugoslavo, che nasce già paralizzato dalla reciprocità dei veti. Se poi si tiene presente che l'«Hdz» ha candidato anche alcuni musulmani (pensando alla riparti zione dei seggi) e la coalizione gui data dall'Sda ha fatto lo stesso con croati e serbi, il quadro completa la sua geometrica confusione. Chiunque vinca numericamente, rischia di vedersi sconfitto nella ripartizio ne «etnica» dei posti di potere. Giuseppe Zaccaria Domani prime elezioni, dietro lo scu A Mostar la gente fa il bagno nel fiume sulle cui rive si è versato tanto sangue. Sullo sfondo quel che resta del famoso ponte distrutto A sinistra, Mladic. Smentite le voci che lo davano per morente

Persone citate: Brajkovic, Izetbegovic, Mladic, Most, Ricard Perez Casado, Safet Orucevic, Tudjman