«Basta con l' asse Cisl-governo» In Cgil e Uil il malumore contro D'antoni di Massimo Giannini

«Basta con Passe Cisl-governo» «Basta con Passe Cisl-governo» In Cgil e Uil cresce il malumore contro D'Antoni LO «STRAPPO» NEL SINDACATO ROMA I L Cinese non ci sta. E nel H giorno in cui si consuma il primo, vero «strappo» tra il suo sindacato - la grande e onnipotente Cgil, un tempo «cinghia di trasmissione» del vecchio pei - e il governo amico dei Prodi e dei Veltroni, dei Napolitano e dei Visco, quegli ocelli a fessura di Sergio Cofferati sembrano ancora più tagliati, ermetici del solito. Gli piacerebbe dirottarli sulle pagine di Tcx, la sua lettura preferita dei momenti quieti. E invece no, se ne sta rinchiuso nel suo studio, al quarto piano dello storico palazzone di corso d'Italia, e scrive, scrive. «Oggi non parlo - risponde cortesissimo, come sempre -, devo preparare la relazione per il congresso della settimana prossima...». «Sì interviene subito Massimo Gibelli, l'uomo-ombra del leader cigiellino - lasciamolo stare, sai com'è, a Rimini dirà cose di un qualche rilievo, e magari si toglierà pure qualche sassolino dalle scarpe...». E pare che ne abbia, il Cinese, di sassolini nelle scarpe. Il primo di cui si vuole liberare riguarda il governo, quella scelta di modulare i tagli della Finanziaria d'autunno con un'intensità «che rischia di mettere seriamente a repentaglio le prestazioni del nostro Stato sociale»; e poi quella decisione di fissare il tetto d'inflazione al 2,5% per l'anno prossimo, che ha innescato le proteste delle categorie impegnate nei rinnovi contrattuali, «perché l'avevo detto nell'incontro con Prodi e a Ciampi - ricorda Cofferati - di non sottovalutare il problema della copertura del potere d'acquisto dei salari...». Ma non riguardano solo il difficile rapporto col governo, i sassolini di cui il leader della Cgil si vuole liberare. Ce n'è un altro, magari più nascosto, ma non meno fastidioso, che riguarda i rapporti interni al sindacato. Cofferati non ne vuol parlare, per adesso. Ma si limita anche in questo caso a ricordare da giorni «quant'e stupefacente, sul tema dei rinnovi contrattuali, la posizione della Cisl...». Da ieri, in effetti, il leader Sergio D'Antoni, sostenitore plaudente della linea dura del ministro del Tesoro, ha rotto il fronte con Cgil e Uil. Ecco: ventiquattr'ore dopo la presentazione del discusso Dpef, più ancora che le polemiche rigoriste del commissario europeo Mario Monti, a destare qualche preoccupazione sull'autunno che verrà è proprio il riacuirsi di una antica e mai ricomposta «frattura» sindacale, che difficilmente potrà non pesare sul bilancino dei già instabili equilibri della maggioranza di centro-sinistra. Oggi - come sedici anni fa, quando in seguito alla guerra dei 35 giorni della Fiat, alla marcia dei 40 mila e alla sconfitta della Triplice, decise infine di imprimere una netta svolta moderata e teorizzò il bisogno di un grande patto antinflazione - è ancora una volta il «movimentismo» della Cisl ad aprire, con la Uil e soprattutto con la Cgil, una voragine strategica. Poco estesa all'apparenza: ma in realtà profonda, a indagare negli umori delle rispettive «basi» confederali. Dalle quali, scava scava, secerne un'insofferenza, che in parte è forse poi un timore. A dargli corpo, senza troppi peli sulla lingua, è ad esempio Paolo Nerozzi, leader della Cgil del pubblico impiego, che parla di «cislizzazione del governo». Che roba è? «Semplice - risponde - è il tentativo, al quale D'Antoni non ha mai smesso di lavorare, di costruire il Grande Centro post-democristiano. Un tentativo che secondo me è e resta illusorio, ma che nell'immediato, con Prodi a Palazzo Chigi, può dare dei risultati». Quali? Ma è chiaro, secondo i cigiellini più agguerriti: intanto quello di mettere in moto un nuovo «collateralismo» rispetto alla politica economica del governo «amico», per mettere in difficoltà la Cgil e spaccare a sinistra il pds e Rifondazione, e nel frattempo rafforzare quel coagulo delle forze centriste, intorno a Lamberto Dini, come da vecchio progetto dantoniano prima delle elezioni, e al ppi. «Del quale secondo me - confessa Pietro Larizza da un altro palazzo sindacale che conta, quello della Uil di via Lucullo - in cuor suo vuol diventare alla fine il leader dopo Gerardo Bianco, bruciando sul filo di lana un altro cislino che conta, e cioè Franco Marini». «Oppure più semplicemente aggiunge Nerozzi - per fare il vero leader del sindacato dell'Ulivo, che è esattamente quello di cui non c'è bisogno in Italia, do- ve nel rapporto tra noi e governo devono invece saltare tutte le mediazioni politiche, perché solo dei lavoratori e dei loro bisogni dobbiamo preoccuparci...». Ma fin qui, la «cislizzazione del governo» pare più che altro un teorema. I fatti, dove stanno i fatti che lo giustificano, il teorema? Circola una voce nel palazzone cigiellino di corso d'Italia, e Agostino Megale, leader dei tessili, la racconta così: «Sì, sento dire che è stato proprio D'Antoni a proporre a Rosy Bindi, ministro post-democristiano, la famigerata idea di aumentare il contributo sanitario per i pensionati. Io non so se l'ha fatto davvero, ma so che i nostri timori sulla linea della Cisl, che già prima delle elezioni rischiava di mettere a repentaglio l'unità sindacale, si stanno rivelando fondati...». «L'ha fatto, l'ha fatto - aggiun- ge un'altra voce che preferisce rimanere anonima, questa volta dal palazzone Uil di via Lucullo -. D'Antoni a metà giugno ha mandato la sua fidata Lia Ghisani, esponente della segreteria della Cisl, all'Eur dalla Bindi, a portargli bell'e pronto il pacchetto delle misure sulla sanità. E lei l'ha preso in blocco così com'è, e l'ha mandato a Prodi...». Ma gira un altro gossip, che cigiellini e uillini portano a conforto del teorema, e riguarda proprio l'ultima vicenda, quella del tetto d'inflazione al 2,5%: «Non è un mistero - ripete da giorni Giorgio Benvenuto, ex leader della Uil e ora presidente della Commissione finanze della Camera che D'Antoni ha premuto su Palazzo Chigi, per tener fermo il tetto del 2,5%, e non lasciarlo al 3, come chiedevano la Cgil e la Uil...». Vero o falso? Chissà. Ma in fondo, il problema forse non è poi neanche quello di verificare quanto queste voci corrispondano alla verità. Il fatto certo, sul quale coincidono le analisi in casa Cgil e in casa Uil, è che tra la Cisl e un bel pezzo di governo c'è una forte identità culturale, di matrice cattolica, che in qualche caso si traduce anche, per dirla con Gramsci, in una «egemonia» politica. C'è un asse centrista - è la vecchia tesi di Larizza - che al governo passa per ministri come Tiziano Treu e la stessa Bindi, a Palazzo Chigi arriva dritto al sottosegretario alla presidenza del Consiglio Enrico Micheli e quindi allo stesso Prodi. E' chiaro che, su questo asse, D'Antoni si inserisce agevolmente. «E il bello - conclude il cigiellino Megale - è che mentre si muove in tandem col governo, in pubblico continua a rilanciare l'unità sindacale. Bene, il congresso della settimana prossima servirà anche per far piazza pulita di queste ambiguità...». Sergio il Cinese, intanto, continua a scrivere. E chissà che a Rimini, la settimana prossima, non ci sia un sassolino anche per l'«altro» Sergio... Massimo Giannini Il segretario generale della Uil Pietro Larizza

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