Valentino, attore mediocre ma imbattibile latin lover, in una mostra a 70 anni dalla morte Rodolfo, sguardi d'Amore

Valentino, attore mediocre ma imbattibile latin lover, in una mostra a 70 anni dalla morte Valentino, attore mediocre ma imbattibile latin lover, in una mostra a 70 anni dalla morte Rodolfo, sguardi d'Amore Un seduttore a ritmo di tango "7T1UAND0 Rodolfo ValentiI I no muore a New York il I 1 23 agosto 1926 all'età di 1 I trentun'anni, l'America V I è come se si fermasse di \i colpo, come se all'improvviso gli americani, d'ogni età e d'ogni ceto sociale, si sentissero improvvisamente orfani, privi di una divinità che avevano idolatrato. Fu un lutto nazionale, un'orgia di sconforto che non s'era mai vista prima, né si vide in seguito. Come scrisse John Dos Passos in una pagina famosa: «Mentre egli giaceva solennemente in una bara coperto di un drappo d'oro, decine di migliaia di uomini, di donne e di bambini gremivano le vie all'esterno. A centinaia vi furono calpestati, ebbero i piedi schiacciati dai cavalli della polizia. Nella pioggia e nel sudore i poliziotti persero la testa. Masse pigiate si gettarono sotto gli sfollagente e gli zoccoli levati dei cavalli. La cappella funeraria venne denudata, uomini e donne lottarono per un fiore, un brano di tappezzeria, un frammento del vetro rotto della finestra. Si sfondarono vetrine. Macchine ferme vennero rovesciate e frantumate». Un lutto inatteso Questo lutto inatteso può apparire oggi - che si celebrano i settant'anni dalla morte di Rodolfo Valentino - spropositato, del tutto incomprensibile. Come incomprensibile può sembrare, oggi, U fascino dell'attore, la sua forza di seduzione, il carattere irresistibile dei suoi personaggi. E non si comprendono gli eccessi descritti da Dos Passos, se non fosse richiamandosi agli stereotipi di cui il popolo americano è o èra vittima: la sua ingenuità fanciullesca, il suo .sentimento primitivo, la sua infatuazione improvvisa, il lasciarsi andare alle più esagerate manifestazioni d'affetto. Anche perché, a ben guardare, Valentino non fu poi quell'attore straordinario che parve ai più allora; ma certamente fu una presenza schermica, un vero divo che seppe imporsi per quel non so che di impalpabile, inafferrabile, ineffabile che costituisce appunto il fascino della star. Come scrisse Edgar Morin, parlando del divismo e della sua evoluzione: «All'eroe dell'avventura s'affianca quello dell'amore, giovane uomo fatale dai lineamenti femminei e dallo sguardo ardente. Chi compie la sintesi perfetta fra questi due archetipi è Rodolfo Valentino: sceicco arabo, patrizio romano, aviatore, dio che muore, rinasce e si trasforma come Osiride, Attis e Dioniso, eroe di gesta innumerevoli, rimane anzitutto l'idolo romantico». Quest'idolo romantico, al secolo Rodolfo Alfonso Raffaello Guglielmi, figlio di un ex ufficiale dì cavalleria, nacque il 6 maggio 1895 a Castellaneta in provincia di Taranto. Come molti italiani suoi coetanei, dopo aver tentato diverse strade e un soggiorno a Parigi che lo portò nel mondo dei cabaret e degli apaches, tentò la fortuna in America, dove arrivò il 23 dicembre 1913, a diciott'anni. E' lui stesso a ricordare: «Io giunsi in America povero, senza amici, sconosciuto e senza un soldo. Non sapevo cosa avrei fatto. Non sapevo che cosa ne sarebbe stato di me [...] Ma io volevo più della mera fortuna. Le mie ambizioni si slanciavano ben al di sopra della terra e si fissavano sulle immemorabili stelle. Io volevo la Fama. Io volevo L'Amore». Fama e amore che egli conquistò a poco a poco, di film in film, attraverso un lavoro di coinvolgimento progressivo del pubblico, non solo femminile, servendosi di quei mezzi di seduzione che lo schermo cinematografico ingigantiva. A partire dal 1918, quando giunse a Hollywood dopo una breve carriera di ballerino, i personaggi che interpretò divennero sempre più intensi (d'una intensità non già psicologica o drammatica, ma eminentemente «visiva»), sino ad arrivare, nel 1921, al successo strepitoso dei Quattro cava¬ lieri dell'Apocalisse di Rex Ingram, dal romanzo di Blasco Ibaiiez, in cui ballava il tango argentino: una scena famosa che divenne l'emblema stesso dell'arte di Valentino, il concentrato del suo stile. Uno stile che il produttore Adolf Zukor riassumeva così: «In realtà, la sua recitazione consisteva sostanzialmente nello sbarrare i suoi occhi grandi, quasi misteriosi, sino a far venire in luce gran parte del bianco, nel contrarre le labbra della sua bocca larga e sensuale, per mettere in mostra lo scintillio dei denti, e nel dilatare le narici». Rodolfo Valentino era cosciente, probabilmente, dei suoi limiti d'attore, ma proprio questi impacci d'interpretazione gli consentivano di mettersi in mostra come immagine sensuale, prototipo del latin lover, seduttore imbattibile. Il personaggio di Julio Desnoyers nei Quattro cavalieri non fu che il primo di una breve serie di seduttori, e il film fu il primo di una breve serie di grandissimi successi. Nel 1921 ci fu ancora l'Ahmed Ben Hassan dello Sceicco di George Melford, nel 1922 il Juan Gallardo di Sangue e arena di Fred Niblo, nel 1925 il Vladimir Dubrovsky dell'Aquila nera di Clarence Brown. Eroi romantici ma schematici Personaggi a una sola dimensione, schematici e spesso stereotipati, ma carichi di una forza interna che gli veniva dal volto e dal corpo di Valentino, da quella sua capacità di stare sullo schermo come su un palcoscenico. Una volta disse: «Io non so niente di tecnica della recitazione. Ma ho un innato senso del ritmo che mi guida. Ci sono accenti nei miei movimenti, proprio come vi sono accenti in musica, ed io, durante una grande scena drammatica, avverto lo slancio in avanti dell'emozione, come se lo udissi in una composizione musicale». Forse questo ritmo interiore e l'accento musicale fanno della presenza di Rodolfo Valentino sullo schermo qualcosa di diverso da quella di altri divi famosi. I suoi movimenti, che oggi possono sembrare esagerati e forse ridicoli, compongono una sorta di danze "inematografica che rimane tale, perfetta nella sua unicità (come la danza di un Fred Astaire), nelle più diverse situazioni drammatiche. Perché è lui a condurre il gioco delle immagini ed è lui a imporsi, probabilmente ancor oggi, come il divo hollywoodiano per eccellenza. Gianni Rondolino «Io non so niente di recitazione, ma ho un innato senso del ritmo-, nelle scene drammatiche avverto lo slancio dell'emozione» Fu sceicco, aviatore, patrizio romano: ai suoi funerali pianse tutta l'America Per Rodolfo Valentino il grande successo arrivò con il film «I quattro cavalieri dell'Apocalisse» dove ballava un appassionato tango

Luoghi citati: America, Hollywood, New York, Parigi, Taranto