Due donne e un bimbo in fugo dall'odio del re

Clandestina dal Marocco a Parigi la famiglia del generale Oufkir, che attentò contro Hassan Clandestina dal Marocco a Parigi la famiglia del generale Oufkir, che attentò contro Hassan Due donne e un bimbo in fugo dall'odio del re INTRIGHI ALLA CORTE LA fuga dal Marocco, e dopo una settimana l'approdo a Parigi di Marie Inan Oufkir, del suo figlio adottivo Michel, di 3 anni, della cugina Achoura sono ima «grana» per Chirac e un tuffo nel passato per i vecchi cronisti del mondo arabo-africano. Oufkir è un nome fatale nella storia del Marocco moderno. Evoca un personaggio che non è banale definirò «romanzesco»: potrebbe averlo descritto Graham Greene. Intingendo, però, la penna nel calamaio senza fondo d'una saga orientale: fosca epperò fascinosa. Degli infiniti capitoli che la compongono, cercheremo di riassumere i principali. 10 di luglio del 1971. Sua maestà Hassan II del Marocco apre la residenza di Skirat per una gran festa. D'improvviso nel patio della villa gremito di invitati eccellenti e non (c'erano pure il camiciaio romano del re e il suo saito calabrese), tra buffet colmi di caviale, aragoste e altre delicatezze, irrompe un gruppo di cadetti. Centocinquanta morti, una strage. Ma Hassan II, quando si vede puntato addosso il mitra da un sergente che lo dichiara in arresto, gli dice gelido: «Inginocchiati, fellone, davanti al tuo sovrano. Io sono il tuo re, Emir al Muuminim, mi devi ohbedienza». E quello, caduto in ginocchio, bacia, vinto, la mano di Hassan. L'episodio mi venne raccontato dall'amico Amedeo Guillet, allora ambasciatore a Rabat, il «Lawrence d'Arabia italiano», che era fra gli ospiti-vip. In quel preciso momento irrompe sulla scena il generale Mohammed Oufkir. Non è in uniforme ma ratto sveste la i/ellabia e indossa la tuta mimetica d'un colonnello (che rimane in mutande). Armato soltanto della sua autorità, corre verso gli insorti e quelli s'arrendono. Sempre Amedeo mi spiegò, allora, chi mai fosse questo Oufkir. Decisamente un fegataccio. Alto, forte, il volto alla Boris Karloff (nella «Maschera di cera») perché deturpato dai lanciafiamme du i-ante una battaglia nel Riff quando egli militava nei ranghi francesi. Giovine ufficiale, q\iel berbero intelligente e crudele, combatte liPour la France» in Italia e in Indocina e fa parte della forza di repressione francese durante la lotta di liberazione in Marocco Combatte coi francesi ma aiuta «libelli» e grazie ad un doppiogiuoco da manuale, il giorno in cui re Maometto V toma dall'esilio nella sua patria avviata all'indipendenza, l'eroe di Montecassi no balza sulla limousine del miti co padre di Hassan II e, agitando il revolver, scaccia la turba felice che stava per travolgere il sovra no. Da quel giorno, Oufkir diventa l'uomo del destino. Nel 1951, quando Hassan II ascende al trono, è un momento drammatico. Il re deve decidere se dare al Marocco una monar chia costituzionale di tipo parlamentare come suggeriva il saggio Mehedi Ben Barka che era stato suo professore di matematica pri ma di diventare leader della sini st.ra moderata, ovvero scegliere la strada della monarchia autoritaria, assoluta, nella logica dell'an tico makhzen. Oufkir non ha dubbi: interpellato per primo dal giovine sovrano «gli dice e gli dimostra» che il popolo non è maturo per una monarchia all'occidentale. La saga continua. Ben Barka si rifugia a Ginevra. Ma Oufkir gli mette alle costole un giovine e bel capitano della Siìreté, Ahmed Dlimi. Finché un giorno Ben Barka viene «misteriosamente» rapito e scompare nel nulla. I vecchi farmacisti di Casa raccontano che fu Oufkir, con l'aiuto del Deuxième Bureau francese e «grazie al crudele attivismo di Dlimi» a rapire, sui Campi Elisi, Ben Barka, a torturarlo, lasciando al suo «promettente aiutante» l'incarico di finirlo e di dissolverlo nell'acido (alla mafiosa). Dlimi viene arrestato ma si difende sfoggiando un eccellente francese, sciorinando un serie impressionante di alibi. Dopo 8 mesi di carcere viene assolto mentre Oufkir viene condannato, in contumacia, all'ergastolo. Un mattino dell'agosto del 1972, alcuni caccia si levano in volo dalla base di Kenitra mentre il Boeing di Hassan II rientra dall'Europa. Sembra che vogliano scortarlo fino all'aeroporto di Rabat, invece aprono il fuoco contro l'aereo reale. Ma il Boeing, crivellato di colpi e con due motori fuori uso, riesce egualmente ad atterrare. In grazia della sua etema baraka, il re si salva. Accanto a lui è Dlimi, il braccio destro di Oufkir che, nel frattempo, è diventato ministro della Difesa, in effetti il «numero 2» del Marocco. Pochi giorni dopo i giornalisti di tutto il mondo vengono convocati a Rabat, nel palazzo degli ospiti. Sarà quella una conferenza stampa allucinante, di certo fra le più drammatiche ch'io ricordi. Imperturbabile, inguauiato in un fresco di lana color antracite, Hassan II comunica ai cronisti che il generale Mohamed Oufkir, «convocato a palazzo per rendere conto dei fatti incresciosi accaduti in Marocco nel volgere di un anno» (due attentati al sovrano), ha «scelto di uccidersi» nell'anti¬ camera reale. Ritiratosi il re tra le urla bianche dei suoi eunuchi, i giornalisti assalgono di domande l'alto, elegante, sorridente colonnello Dlimi. E' vero che nell'anticamera reale è stato lei, colonnello, ad accogliere il suo patron, il suicida generale Oufkir? Mais oui, non è un mistero». E' vero che lei, colonnello, gli ha detto, al suicida, che i congiurati avevano confessato d'essere stati subornati da Oufkir? «Non ho fatto in tempo a dirglielo, tutto s'è svolto con una rapidità terribile». «Tutto»: Oufkir, estratta la pistola d'ordinanza, s'era sparato tre colpi «per esser sicuro d'uccidersi». Così disse, sorridendo coi suoi denti bianchi da faina, il bellissimo, altissimo, elegantissimo colonnello Dlimi e nessuno dei giornalisti, ancorché vecchie vol¬ pi d'Arabia, ebbe il coraggio di domandargli se fosse vero ch'era stato proprio lui, Dlimi, ad ammazzare il suo patron con una raffica di mitraglietta. Da quel giorno torrido d'agosto, la stella di Dlimi scala prepotente il cielo più alto del Marocco. Promosso generale dell'esercito (un raro onore) dopo la «marcia verde» nel Sahara, lo stratega della guerra del Polisario, lui, Dlimi, diventa «l'uomo del re», la sua ombra costante. Ma il 25 di gennaio del 1983 Dlimi muore. In circostanze strane, banali all'apparenza: dopo essere stato a colloquio col «suo re» a Marrakesh, durante due ore, sulla via del ritorno la sua vettura viene investita da un'autocisterna. Dlimi muore a 52 anni, sprofondando nel mistero. Ora si vuole che la figlia di Oufkir «evasa ro- cambolescamente» sappia, e molto. C'è da dubitarne. Forse qualcosina saprà sua madre, rimasta in Marocco. Ma c'è da giurare che non parlerà mai. Subito dopo la morte tragica del potentissimo marito, lei e i suoi bambini vennero «cancellati civilmente». La moglie, i figli del «berbero traditore» sono innocenti ma c'è una legge crudele, antica assai, per la quale essi debbono pagare un delitto non loro. E c'è nella storia del re un «giardino segreto» dove egli è padrone della vita del suo popolo. Ma il Marocco è alla vigilia di quello che Le Monde chiama «lo choc dell'apertura al mercato europeo», sicché appare difficile che Hassan II, monarca moderno e modernista, promotore del multipartitismo, reggitore d'un Paese dove l'Islam radicale segna il passo e la comunità ebrea non ha subito persecuzioni, lui che a Casablanca ha «legittimato» Israele, possa voler convivere ancora a lungo con l'assolutismo del monarca «di diritto divino». Il re ripete spesso: «Preferisco essere tradito piuttosto che tradire un'amicizia». E siccome il suo più grande amico è lui stesso, è chiaro che non lo tradirà mai. Per non tradire se stesso, sua indistruttibile maestà Hassan II dovrà continuare a muoversi con la consueta abilità nell'infido stagno del mondo arabo-africano. Dovrà soprattutto uscire dalla solitudine del potere assoluto per camminare, come esorta il Corano, in mezzo al suo popolo. Possibilmente senza scorta. Igor Man Per una legge antica e crudele i parenti del traditore devono pagare il delitto Prigionieri dal 72, quando l'uomo più potente del regno dopo il sovrano tentò di abbattere l'aereo di Sua Maestà Ufficialmente «scelse di suicidarsi» nell'anticamera reale, convocato a Palazzo per rendere conto del suo gesto Il generale Oufkir scorta Hassan II (alle sue spalle sul cavallo) durante una cerimonia del Ramadan a Rabat nel gennaio 1966 Condannato in contumacia a Parigi per l'assassinio di Ben Barka Mohamed Oufkir con re Hassan II. Sotto, un'auto crivellata di colpi all'aeroporto di Rabat, dopo il fallito attentato contro il re