Sono 2800: veterani dell'Afghanistan, emigrati, studenti la fabbrica dei soldati del terrore di Aldo Cazzullo

Sono 2800: veterani dell'Afghanistan, emigrati, studenti la fabbrica dei soldati del terrore Sono 2800: veterani dell'Afghanistan, emigrati, studenti SONO duemilaottocento. Sono i diseredati dell'Islam. Figli di poveri. Veterani della guerra afghana, mandati a combattere dal re con la benedizione di Washington e la promessa mai mantenuta di un futuro da eroi. Emigrati dai vicoli di Medina, del Cairo o di Sana'a, inseguendo gli ultimi petrodollari. I pochi che hanno studiato hanno frequentato l'università islamica Muhammad bin Saud, dove si legge il Corano tutto il giorno e la storia comincia con Maometto. Sono ossessionati dall'«ird», l'onore, considerano le donne «avvocati del vizio», re Fahd un «traditore» e i businessmen americani «invasori impuri». Soprattutto, odiano i soldati blu, i marines, gli yankee, agenti del «piano demoniaco» ordito contro la nazione musulmana. Sono gli ultra islamici, il terrore della monarchia saudita e dell'Occidente. C'è una piazza, nel centro antico di Riad, che tutti chiamano Chop Square, la Piazza del Taglio. Qui la mannaia del boia ha giustiziato 86 uomini nel '93 (59 l'anno dopo), e molti di più ne ha mutilati. Tanti erano criminali comuni. Ma l'imputazione più frequente è «traffico d'armi» e «attività sovversive». Il principe Nayef, ministro degli Interni, li aveva avvertiti: «Ogni mano che si tenderà per turbare la sicurezza del popolo e della nazione saudita sarà mozzata». E non era una metafora. Com'è potuto sorgere e prosperare il terrorismo integralista nella terra dov'è nato Maometto e l'Islam? Nel Paese dove la «sharia» è legge dello Stato e il re ha rinunciato nell'86 al titolo di Sua Maestà per adottare quello di Custode delle Due Sacre Moschee? Se c'è una chiave per risolvere il rebus saudita, va cercata nella Guerra del Golfo. E' questa l'intuizione di Judith Miller, grande inviata in Medio Oriente del «New York Times», che ha appena pubblicato negli Usa da Simon &• Schuster «God Has Ninety-Nine Names», «I 99 nomi di Dio», un saggio fondamentale su religione e integralismi. Non che la mala pianta dell'eversione fondamentalista abbia attecchito di recente nel deserto saudita. Negli Anni 60 quasi tutti i docenti dell'università di Medina erano Fratelli Musulmani egiziani sfuggiti alla persecuzione di Nasser. Fu allora che il governo di Riad ordinò la prima retata: centinaia di ultra finirono in carcere. Ma il controllo della corona sul pensiero religioso e sull'insegnamento restava ferreo. Soprattutto, resisteva il contratto sociale che legava monarca e sudditi: al primo spetta il monopolio del- la politica (e del petrolio), al secondo un tenore di vita senza pari nei Paesi arabi: cure mediche gratuite, libero accesso al credito, salari indicizzati al tasso d'inflazione, persino uno stipendio di 270 dollari al mese (400 mila lire) per gli studenti. Ora quel patto si è spezzato. E la ragione è evidente. Negli Anni 70 i sauditi erano sei milioni. Oggi sono 12 milioni, e il 48% ha meno di 15 anni. Il reddito procapite si è dimezzato, ed è ora inferiore a quello israeliano. La monarchia ha stretto i cordoni della borsa, ma non ha allargato quelli della politica. I sauditi continuano a contare poco, ma non ricevono più molto. I predicatori islamici cominciano a trovare terreno fertile per seminare il malcon- tento e la rivolta. Il tradizionale vincolo che lega il re al Consiglio degli ulema, una sorta di Conferenza episcopale saudita, si è allentato. Poi sono arrivati i 600 mila soldati di Bush. E l'«invasore» è stato il mastice che ha saldato protesta sociale e rivolta religiosa. Re Fahd si è mosso con intelligenza. Prima ha cercato il consenso dell'autorità religiosa, nominando muftì, capo della comunità islamica, lo sceicco cieco Bin Baz, l'uomo che dalle moschee predicava contro l'Occidente e il «nemico sionista». Poi ha usato la forza. Nel '93 ha fatto arrestare 400 «dissidenti». Nel carcere del re sono finiti anche i punti di riferimento spirituali del terrore: lo sceicco Safar al-Hawaii, titolare della cattedra di studi islamici all'università Umm al-Qura di La Mecca, e lo sceicco Salman alAudah, detto il Khomeini d'Arabia. Allora gli ultra sono corsi alle armi. I loro capi hanno reclutato i soldati del terrore tra i ragazzi della «generazione petrolio», che non ha conosciuto la miseria, come i loro padri, ma solo la disillusione. Tra i veterani dell'Afghanistan, pronti a una nuova Jihad. E in quel crogiolo di risentimenti e di tensioni che è l'emigrazione musulmana: milioni di egiziani, yemeniti, maghrebini, palestinesi arrivati a Riad in cerca dei dividendi del petrolio e relegati ai margini della società. I terroristi avevano già una sponda politica: El Tourabi, il leader religioso del Sudan, e gli ayatollah iraniani, fedeli nemici della monarchia saudita, nel nome di Khomeini e del suo slogan «l'Islam non conosce re». Avevano anche generosi finanziatori, in grado di garantire sotto forma di «fondi di carità», secondo le stime più preoccupate, quasi un miliardo di dollari l'anno. Se cercavano un bersaglio, l'hanno trovato: i soldati blu. Aldo Cazzullo Un miliardo di dollari di finanziamenti all'anno Alleati a Teheran e Khartoum E come bersaglio i soldati blu SSg