Il credo di Super Antonio impronta tedesca nel suo rigore

Il credo di Super Antonio Il credo di Super Antonio Impronta tedesca nel suo rigore 1 «7-1 IAROMA NTON10 Fazio il Tedesco, soprattutto per la grande autonomia che ha dimostrato nel gelare un'altra volta - pur pressato dagli allarmi di Visco su presunti «collassi finanziari», o dagli aspri richiami del leader confindustriale Giorgio Fossa - le attese di tutti su un prossimo ribasso dei tassi... In effetti, pensare che il governatore chiuso nel suo ufficio di Via Nazionale se ne preoccupi o ne soffra, di queste pressioni, sarebbe un grande errore. Rivangare in questo caso la ricorrente e ormai un po' trita iconografia - che lo vuole tormentato, come il San Sebastiano trafitto dalle frecce che troneggia alle spalle della sua scrivania - sarebbe fuorviante. «Io faccio il mio mestiere - ripete in tutta tranquillità da mesi, fin da quando fu trascinato nelle polemiche col governo Dini sulla manovrina - gli altri dicano e pensino quel che vogliono...». Più corretto, quindi, è immaginare il governatore come pure capita di vederlo spesso, a fine serata: seduto sul suo divano crema, in maniche di camicia e con l'avana acceso, a leggere tranquillo documenti, a compulsare grafici e tabelle. Perchè l'uomo di Alvito, quieto paesino del frusinate, è così: trasmette sempre l'impressione di sereno e fermo equilibrio. E' l'Antonio Virtuoso, quello imbevuto di fede cristiana, di passione per Jacques Maritain, per gli Scolastici, per Tommaso D'Aquino, che fa di lui un originale «monetarista con l'anima sociale»: che cita Duns Scoto per ragionare di teoria del giusto prezzo, si rifa a Diogneto per ricordare che «le scelte verso le quali indirizzare l'attività di produzione sono etiche prinina che politiche». E si ispira alla Remm novarum per applicare sempre, anche nei suoi interventi sull'economia, quella «visione del bene comune che si piega anche sulla ne cessità e sui fini più umili e terreni, che ci spinge alla ricerca di ciò che è bene in ogni occasione, nonostante le infedeltà, i fallimenti, i ritorni indietro, a livello personale e sociale...». E poi è l'Antonio forgia to da «esercizi spirituali» un po' di versi, ma altrettanto formativi, fatti per decenni li a Palazzo Koch, a lavorare sui grafici e i modelli econometrici con una dedizione quasi monastica, e che spingevano Carli a ricordare spesso, nelle sue memorie, «il giovane Fazio, appe na tornato dal Mit e incaricato da Baffi, fin dal 1963, di studiare un primo schema di base monetaria» 10 stesso «dottor Fazio, giovane economista» che nel 1968 diede a Carli «manforte nella battaglia contro i programmatori», o che nel 1974 già «lavorava alacremente all'elaborazione del Credito totale interno»... Ma al Virtuoso, cresciuto con la religione dello spirito e quella del lavoro, si sovrappone poi Antonio 11 Salvatore. Quello che dall'analisi dei fatti economici fa implicita niente discendere un'inappellabile «condanna politica» delia nostra passata partitocrazia, e l'esigenza di un pronto, mai tardivo ravvedi mento. E' il Fazio che, in pubblico e in privato, ripete che «la vera malattia del nostro Paese è la cultura dell'inflazione, quel ritenere che, attraverso di essa, si possano alla, fine risolvere i problemi, i conflitti nella distribuzione del reddito». Una malattia che ha spinto i governanti degli Anni 70 e 80, a guardare al taglio dei tassi di interesse come ad una «scorciatoia», per rinviare sempre al futuro il risanamento strutturale dei conti pubblici. Un sistema che Fazio detestava in quegli anni, e non accetta neanche oggi, perchè «un malato non si può curare somministrandogli un po' di droga: lì per lì si metterebbe a correre, ma fatti pochi passi ricadrebbe, per non riprendersi più...». Ecco perchè, Antonio il Salvatore, agli occhi di qualche politico e di molti industriali, finisce poi col diventare fatalmente Antonio lo Spietato, Antonio il Cattivo. E' il Fazio che ieri, coerente con la linea che si è dato, li delude tutti confermando sui tassi la sua strategia di attesa. Attesa sui contenuti del Documento di programmazione, che il governatore si aspetta, per oggi, severo ed ambizioso, dopo una manovrina un po' inferiore a quanto si aspettava e «minata» da una misura che pare non averlo esaltato, quella sui depositi bancari. Attesa sui dati definitivi dell'inflazione di giugno, e sull'aumento dei prezzi dell'anno prossimo, che dovrà essere inferiore al 3%, grazie ad una politica di bilancio e dei redditi («di tutti i redditi», come ha precisato) con le quali la politica monetaria procederà «in unità di intenti». E qui, tra le righe, pare cogliersi un doppio messaggio del governatore. Il primo a Prodi, perchè con quella «unità di intenti» gli fa intendere in che misura Via Nazionale abbia a cuore e sposi la linea draconiana del ministro ed ex governatore Ciampi, per esempio sul Dpef, e lo invita quindi a non fare scherzi, a non farsi impaniare tra le colazioni con Bertinotti, i pranzi di maggioranza e le cene veltroniane. Il secondo alle imprese, perchè con quella sottolineatura, «di tutti i redditi», conferma ancora che la moderazione dovrà esserci nelle politiche di prezzo e nei profitti, e non più a danno dei salari, che hanno già pagato il giusto tributo. Ecco allora come, proprio in virtù di questo percorso culturale e politico, alla fine il vero e nuovo volto di Antonio diventa quello del Tedesco. Perchè - giusta o sbagliata che sia la sua linea riaffermata ieri - Fazio avvicina sempre più la Banca d'Italia al modello Bundesbank. Pur con tutte le differenze che restano, non solo storiche, ma soprattutto di ordine costituzionale. Personaggi come Karl Otto Poehl, Helmut Schlesinger e l'attuale governatore Hans Tietmeyer hanno infatti fondato sull'autonomia dall'esecutivo, dalla potente Confindustria tedesca e dall'altrettanto potente sindacato del modello «renano» la grande forza e indiscussa autorevolezza di cui gode la «Buba». Ed hanno fatto della stabilità monetaria e della lotta all'inflazione la «cifra politica» della banca centrale. Antonio il Tedesco, oggi, segue dunque quella traccia. Forte dell'esperienza del suo predecessore, Ciampi, e dell'eredità spirituale di Guido Carli, che proprio nei giorni in cui si accingeva a lasciare la Banca d'Italia, nel 1975, s'era convinto di una grande verità, che sarebbe stata tale per gli anni a venire, e che, forse, lo ó in parte ancora oggi: «La classe politica - osservava - reagisce soltanto quando la restrizione creditizia colpisce impietosamente l'attività economica, e quando si levano alte le grida...». Carli - grande Mefistofele della storia patria, rigorista, liberista ma anche ministro del Tesoro del governo Andreotti - s'illuminava di queste intuizioni, benché da quella stessa «classe politica» finisse per farsi contaminare, per condividerne le sorti. Fazio, giusto una settimana fa, ha ricordato la lezione del «maestro». Ma a certe sue debolezze, come ha dimostrato ieri, non cederà mai. E questa, indipendentemente da chi ha ragione e da come finirà il braccio di ferro sui tassi, è comunque una garanzia per il Paese. Massimo Giannini Al governo contesta la tassa sui depositi «L'inflazione è la vera malattia di questo nostro Paese» ntonio o rigore «L'inflazione è la vera malattia di questo nostro Paese» I«l | Nella foto grande il governatore Antonio Fazio A fianco Giorgio Fossa, presidente Confindustria e (sotto) Giuliano Amato, presidente dell'Antitrust |

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