« I boss contattarono Andreotti » Unpentito calabrese: Cosa nostra chiese di proteggere un suo uomo di A. R.
« « I boss contattarono Andreotti » Un pentito calabrese: Cosa nostra chiese di proteggere un suo uomo PALERMO DAL NOSTRO CORRISPONDENTE «Così nel 1977 la 'ndrangheta fece un altro favore al senatore Andreotti». E' il racconto del pentito calabrese Antonio Mammoliti, figlio del boss Francesco, ieri nell'aula della V sezione del tribunale di Palermo. L'imputato, il sette volte presidente del Consiglio, è assente. Mammoliti spiega che alcuni mafiosi siciliani raccomandarono ai loro amici calabresi il petroliere Francesco Nardini, che nella zona di Palmi era stato preso di mira dal racket delle estorsioni. Un giorno - aggiunge il pentito - i palermitani andarono a trovare Giuseppe Piromalli, il capo della 'ndrangheta, e gli dissero che Nardini era persona di Andreotti («socio o amico»). Gli precisarono che l'uomo politico stava a cuore a Stefano Bontade in quel tempo assoluto capo di Cosa nostra a Palermo. E quando la notizia dell'assenso di Piromalli alla tranquillità del petroliere fu portata a Palermo dallo stesso Antonio Mammoliti, ricevendolo nella sua villa assieme a vari «amici», Bontade esclamò: «Abbiamo fatto un altro favore al presidente Andreotti». Dopo questo racconto il pentito è apparso piuttosto insicuro quando è stato chiamato a rispondere alle domande dell'avvocato Gioacchino Sbacchi, uno dei difensori del senatore a vita. Mammoliti ha anche riconosciuto di essere stato lui dopo il pentimento a «offrire» informazioni su Andreotti e Mancini. Chi teme, però, che il processo per mafia a Giulio Andreotti diventi un gran calderone, anche con inattesi flash-back, non va tanto lontano dalla verità. Ieri in aula si è parlato addirittura dell'omicidio di Gaspare Pisciotta. Un caffè alla stricnina uccise nel carcere dell'Ucciardone la mattina del 9 febbraio 1954 il cugino e luogotenente che aveva tradito il bandito Turiddu Giuliano. Si dis se che era stata la mafia a elimi¬ nare Pisciotta, per ottenerne il silenzio su un bel po' di crimini a cominciare dalla strage di Portella delle Ginestre il 1° maggio 1947 (11 morti e 52 feriti). La mafia - si disse ancora - aveva anche fatto «un favore» allo Stato perché Pisciotta un giorno o l'altro avrebbe potuto rivelare chissà quanti retroscena sul complotto che precedette l'assassinio di Giuliano nella torrida estate siciliana del 1950. E Andreotti, allora giovane collaboratore di De Gasperi, che ruolo ebbe? Nessuno, a giudicare da quel che è emerso ieri dalla deposizione di Mammoliti. Il pentito ha dichiarato di aver appreso («da ragazzo») che Pisciotta fu ucciso da calabresi perché all'Ucciardone, nel braccio in cui era la cella dell'ex bandito, gli altri reclusi siciliani non avevano facile accesso. Così la mafia - lo racconta Mammoliti - chiese alla 'ndrangheta di occuparsene e fu Antonino Barca a versare nel caffè la dose letale di veleno. Il pentito ha aggiunto che Barca fu aiutato da un certo Giunta e da Francesco Furci, calabresi anche loro, e che complici nella preparazione del delitto furono pure i siciliani Gaspare Parente e i fratelli Genovese. «Queste cose Barca le confidò a mio padre», ha chiarito Mammoliti, che quando l'anno scorso cominciò a collaborare con la Dia, la direzione investigativa antimafia, insinuò che sia Andreotti sia Giacomo Mancini erano al corrente di parecchie cose su mafia e 'ndrangheta. Il colonnello Angelo Pellegrini, dirigente della Dia in Calabria, interrogato successivamente (lo sarà ancora oggi) ha affermato che il petroliere Nardini, allora presidente della camera di commercio di Reggio Calabria, era nella sfera della corrente andreottiana e che era di Viterbo, nel centro pulsante laziale dell'impero elettorale di Andreotti. L'industriale denunciò di avere ricevuto telefonate minatorie tra l'agosto 1977 e il gennaio seguente, [a. r.]
Luoghi citati: Calabria, Palermo, Palmi, Reggio Calabria, Viterbo
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