Ma così va in tilt il calcio-industria una favola che contraddice tanta seriosità del pallone solenne e opulento
Ma così va in tilt il calcio-industria Una favola che contraddice tanta seriosità del pallone solenne e opulento Ma così va in tilt il calcio-industria IL grande calcio italiano di Lega, quello ipermanageriale, aperto a programmi industrializzanti, a visioni programmatiche, ad ampi respiri economici, celebra (patisce) l'arrivo in serie B della squadra di Castel di Sangro, paese d'Abruzzo, poco più di cinquemila abitanti, celebre nel mondo dei gourmets per le sue trote di freddissimo fiume. Applausi, commozione, dichiarazioni di benvenuto a bordo per la squadretta. La favola, supportata poi dalie vicende rocambolesche che hanno accompagnato la promozione a spese del titolatissimo e - al confronto - metropolitano Ascoli, c'è tutta, bella rotonda. Mille persone allo stadio, in proporzione Torino dovrebe mandarne quasi duecentomila. Stesso campionato di Toro, Bari, Genoa, Padova. E sempre a proposito di Torino, si discute se il capoluogo piemontese possa reggere due squadre in A: il che, fatte le proporzioni, sareb- be come discutere se Castel di Sangro abbia o no diritto ad una compagine di calciotappo. Però ogni favola ha il suo rovescio: si sussurra che a Biancaneve i sette nani bastavano appena per fare certe cosacce, si deve ammettere che la presenza di un centro così piccolo in un mondo che si presume così grande è una brutta botta alla concezione, che si vuole or¬ mai dogmatica, di un calcio-industria dove non sono (non dovrebbero essere) ammesse le improvvisazioni, non hanno cittadinanza i miracoli, e dove le emozioni povere, non da show-business, non devono (non dovrebbero) avere cittadinanza, in quanto tremendi lussi da poveri, i peggiori - si sa - lussi che ci siano. Il Castel di Sangro in serie B é, diciamolo, imbarazzante. Contraddice, umilia tanta seriosità del calcio solenne, ricco, opulento. Va da sé che miracoli come il suo fanno piacere, ci vogliono, debbono essere tifati in fase di realizzazione, ma al tempo stesso devono poi comportare una sorta di riserva, di limitazione. Noi siamo i primi ad amare il calcio poetico, il calcio dei piccoli che battono i grandi, ma al tempo stesso dobbiamo chiederci come si possono accettare certe poesie senzt almeno dire che sono rimpicciolimenti. Chiaro che ospitiamo in noi controsenso, bivalenza, persino doppiezza. Ma non ci pare proprio che ci sia di meglio o d'altro da fare. Se domani uno scala la parete di un edificio applaudiamo ammirati, ma vogliamo che ogni edificio abbia capaci e magari lussuosi ascensori, ben programmati da efficienti computer. Gian Paolo Ormezzano LE ALTRE PICCOLE CITTA' DIVENTATE GRANDI Anche nel basket e nel volley ci sono stati piccoli centri che sono giunti a battersi al più alto livello. Nel basket l'esempio più celebre è quello di Cantù (36 mila abitanti, provincia di Como), vincitrice di 3 scudetti e addirittura 2 Coppe Campioni (oltre ad altri 10 trofei in ambito europeo e intercontinentale), ma in serie A ci sono anche Montecatini (20 mila) e Fabriano (28 mila). Nel volley Montichiari (17 mila abitanti, provincia di Brescia), oltre a militare in A1 da nove anni, ha vinto due volte la Coppa Coppe, mentre Falconara (30 mila abitanti, a due passi da Ancona) si è aggiudicata la Coppa Cev.
Persone citate: Gian Paolo Ormezzano
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