Padre-padrone del Pasok i fan gli gridavano: sei Dio di Mimmo Candito

Padre-padrone del Pasok 1 fan gli gridavano: Padre-padrone del Pasok 1 fan gli gridavano: DAL CARCERE AL POTERE ORA che Papandreu scompare di scena, ma non ci sono sipari da tragedia che calino su questa morte greca, diventa facile liquidarlo come un vecchio statista insenilito dalle grazie debordanti di Dimitra. Però la vita di Andreas Papandreu ha ben altro passato da offrire alla nostra memoria comune, e merita assai più rispetto del suo patetico tramonto: fu un leader trascinante, l'ultimo anzi dei grandi in un Paese che, tentato sempre da una lenta deriva verso Oriente, era abituato a vivere il confronto politico come uno scontro di giganti, una teomachìa dove soltanto uomini superiori sono abilitati a battersi. E lui, una sera di qualche anno fa che aveva appena chiuso un comizio in lina piazza di Salonicco schiacciata di folla, e si tirava indietro dal balcone per farsi intervistare da me che lo seguivo fin da Atene, e cera chi lo abbracciava felice e lo chiamava «0 Theòs», che significa Iddìo, lui si prendeva l'abbraccio e il titolo con sereno distacco. Come un tributo dovuto. Era un uomo orgoglioso', Papandreu, orgoglioso e superbo come chi sa di valere molto e sa che gli altri valgono assai meno. Arrivava a essere perfino indisponente, in questa sua presunzione che nemmeno gli anni riuscivano ad acquietare. Ma ha avuto una vita intensa, forse non sempre facile e però certamente aiutata sempre da una buona nascita e dalla buona sorte che questo, inevitabilmente, comporta. Se n'era scappato in America, poco più che un ragazzo, al tempo della dittatura di Metaxas, e lì aveva studiato con profitto l'Economia fino a diventarne uno dei più apprezzati scienziati della Costa orientale. Dicevano che era «una testa d'uovo», la giovane intellighenzia rampante dell'era di Kennedy, e s'era schierato con la New Left, quel mondo che fece navigare la politica degli Anni Sessanta lungo le sponde felici dell'utopia, più con Xeynes, però, e anche Leary che non con Marx 0 Engels. Ogni incontro con lui era un mezzo scontro, puntualizzava, precisava sempre; doveva farti sapere che lui era più bravo, più acuto, più intelligente. Probabilmente lo era davvero, e comunque il mondo politico greco non aveva grandi caratteri da opporgli, se si esclude l'altro grande vecchio, Costantino Karamanlis. 1 due si odiavano a morte, perché si sapevano uguali, stessa albagia, stesso orgoglio incommensurabile, stesso disprezzo degli altri, anche se uno era schierato a destra (al centro, forse, e comunque gli anni di Parigi lo avevano raddolcito) e l'altro a sinistra (ma dall'esilio lui aveva portato, se mai, più amarezza e più rabbia). Karamanlis riportò ad Atene la democrazia dalla pagliacciata tragica dei colonnelli, a lui toccò di imporle poi l'«allaghì», il cambio che dava finalmente alla Grecia - per la prima volta dall'indipendenza - un governo di sinistra. Le definizioni rischiano sempre grosso, ma era il suo stesso movimento politico, il Pasók, a definirsi socialista. Papandreu fu comunque e soprattutto un uomo tentato dal populismo, all'interno di un sistema di governo dove le mediazioni della politica si disperdevano nella concezione autocratica del potere. Al tempo del golpe dei colonnelli, nel '67, Andreas era ministro nel governo centrista guidato dal padre, il vecchio Gheorghios Papandreu; finì in carcere per otto mesi, prima di essere espulso, e mai perdonò agli Stati Uniti il cupo coinvolgimento di Washington in tutte le storie sporche della Grecia di quegli anni, dai colonnelli all'altra oscura manovra di Cipro. Ogni trattativa con lui del Dipartimento di Stato si fece un mercato impossibile, e la faccenda delle basi americane nel Peloponneso faceva impazzire gli uomini di Washington. Doveva fargliela pagare, e cercava sempre di riuscirci (anche se poi era scena, più che sostanza). L'antiamericanismo diventò comunque una costante della vita politica ellenica, e bruciando le bandiere americane erano morti anche i ragazzi del Politecnico che nel '73 spianarono la strada al ritorno della democrazia. Il progetto di Papandreu era di fare della Grecia una sorta di piattaforma aperta verso il Levante, un'ultima terra d'Europa dove le memorie dell'Occidente si stemperassero fino a saper cogliere integralmente lo spirito delle civiltà che camminavano sulla riva opposta dell'Egeo. Forse non usò mai la parola «neutralità», e alla fine la Grecia se ne stette buona buona dentro la Nato; però i suoi piani erano molto più ambiziosi della Realpolitik che gli toccava accettare, e allora scaricava la sua delusione in un aspro confronto a distanza con i turclù, il nemico che aveva sconfitto per sempre il sogno risorgimentale della «Grande Idea» panellenica, i dominatori della Grecia per quattro secoli e poi i loro avversari nella guerra che finì con la «katastrofé» del '22. Aveva memoria lunga, Papandreu, e sapeva anche come arringare la folla fino a stordirla di passione. Il suo socialismo terzomondista ebbe a ravvedersi con il tempo, e con le pesanti evidenze che il rapporto di forze nel Mediterraneo imponeva a un piccolo Paese di frontiera. Le cose che tentò di applicare - almeno nel suo primo governo, quello dell'81, quando la Grecia impazzì di gioia per un'«allaghi» che arrivò senza guerra civile - lui comunque le aveva già scritte anche nei libri, quando faceva il professore a Berkeley e non il capopopolo a Piazza Sintagma (uno lo tradusse anche in italiano, era più di vent'anni fa); il più celebre fu «Transition to Socialism: Problems and Strategy for the Greek Movement». Al tempo del suo secondo governo, quattro anni dopo, il libro però era già stato ritirato dalla circolazione; ma intanto Papandreu aveva dato alla Grecia cose che questa mai aveva avuto: un sistema sanitario na- zionale, la scala mobile, l'eguaglianza di diritti per la donna, il divorzio, la scala mobile. Forse tutto questo non era ancora socialismo, non più di quanto lo sia stato comunque il governo di Mitterrand o quello di Gonzàlez. Forse era soltanto quel processo inevitabile di modernizzazione verso il quale le società dell'Europa meridionale si sono avviate nella loro transizione dai fascismi nazionali (la Grecia, come l'Italia dopo Mussolini, come il Portogallo dopo Salazar, come la Spagna dopo Franco). Resta comunque che la Grecia oggi è Europa anche grazie a lui, al suo orgoglio, ai suoi sogni politici, alla sua storia di uomo del proprio tempo, un tempo malato di drammatiche contraddizioni. Tra il '74 e il 75, il vento della democrazia spazzò via dalle terre del Sud del continente gli ultimi epigoni delle dittature nazionaliste. Oggi, a vent'anni di distanza, di quei personaggi ai quali si deve il ritorno della libertà come cultura del nostro vissuto quotidiano, Andreas Papandreu è il primo a morire. Rendiamogli memoria grata; i Balcani di Sarajevo sono il fantasma che accompagnerà l'angoscia del nostro tempo a venire. Mimmo Candito Nella foto grande a destra Andreas Papandreu. Sotto, il primo ministro greco Simitis. Accanto a destra Costantino Karamanlis e Papandreu durante un incontro con Mitterrand