GUARDIANO DEL BENE

GUARDIANO DEL BENE GUARDIANO DEL BENE Il puma di Anna Maria Or tese ALONSO E I VISIONARI Anna Maria Ortese Adelphi pp. 246 L 28.000 ALONSO E I VISIONARI Anna Maria Ortese Adelphi pp. 246 L 28.000 SCO dalla lettura immersa, senza respiro, di Alonso e i visionari, il romanzo di Anna Maria Ortese, e continuo a esserne trascinato, emotivamente e mentalmente. L'effetto è dovuto in parte a mia tecnica da romanzo poliziesco in cui la raccolta e la derifrazione degli indizi, l'approssimazione alla scoperta del colpevole, vengono sottoposte a uno spiazzamento incessante: proprio perché l'inchiesta ha per oggetto, più che i nudi fatti, condensabili in poche cartelle, i comportamenti psicologici e morali, una realtà che, di per sé intricata, tende a mutare in corso d'opera. Ma più persuade la passione profonda e limpida, la dedizione reverente alla propria verità, che brucia le tenui scorie dell'inverosimiglianza. Cosa contano, d'altra parte, certe disattenzioni «tecniche» (per esempio quel rovente epistolario centellinato giorno dopo giorno anziché letto d'un fiato) per chi si ripromette di scalare «l'altezza vertiginosa del reale»? Per chi si mette alla scuola del trascendentalista Emerson (non c'è realtà materiale che non sia simbolo di una realta spirituale! o di Edgar Allan Poe, della sua «fedeltà ali uivisibile»? na. Attraverso gli scambi epistolari, antagonisti! i e indagatori, con scono a rivestire di parole emozioni segrete, pensieri nascosti, esperienze inafferrabili. A me piace piuttosto considerarli prove tecniche di linguaggio. Si, ho l'impressione che Voltolini con questi brani si proponga qui di dare un'immagine verbale (un volto di parole) a denominazioni astratte (vedi a pag. 61: Teatro); lì di provare la tenuta di certe espressioni ingolfate da un eccesso di vocali e consonanti uguali («Se come so sei l'aviatore se come sei semplicemente al centro dell'aria non so se sai che tutti ci siamo chiesti... cosa si può e cosa non si può tentare»); qui ancora di sviluppare lunghe e articolate sequenze senza l'aiuto della punteggiatura; lì di verificare quanta forza ancora rimanga all'uso classico della metafora («Come una nave, al varo, discende lungo un percorso inclinato... e ad un tratto, con lo scafo nell'acqua, galleggiando si libera da quel percorso... così la luce, accesa negli ospedali... al tramonto prende una sua consistenza bianca... indifferente al mondo esterno...») ecc. ecc. Più in genere questi pezzi hanno l'aspetto di modelli che l'autore offre a chi vuole imparare a scrivere (non insegna Voltolini nella scuola di Baricco?) o, chissà, di semplici giuochi retorici per cui per ozio lui (Voltolini) si abbandona. Comunque, qualunque sia la loro origine o destinazione prevista confesso che mi paiono privi di leggerezza, di quell'humor ludico che in genere caratterizza gli abbozzi, gli schizzi e insomma le prove cui ci si applica liberi da troppe responsabilità. Con una eccezione tuttavia con la quale ho molto consentito: è Precedente 2 di pag. 31 dove, come scrive l'autore, «il linguaggio si appallottola in una composizione soprattutto per fare rumore. Segnala così la sua presenza, come quando entriamo in un negozio deserto e diamo un colpo di tosse per fare capire che ci siamo». Angelo Guglielmi Alonso e i visionari, come accadeva in altre prove della Ortese («L'iguana», «Il cardillo innamorato») è la storia di un animale e già colpisce, in chi sicuramente ama le bestie come creature fraterne, l'assenza di infatuazioni sdolcinate. Alonso è un piccolo puma raccolto in un deserto dell'Arizona e portato in Italia. Adorato dal piccolo Decio, è avversato dal padre, il professor Decimo. Questi, che professa mi superbo nichilismo, capisce di essersi portato in casa uri nemico. La goffa e brutta bestiola fa vacillare con la sua mitezza, con la sua inesauribile dolcezza, l'impalcatura concettuale del filosofo, gli porta via i figli: lo stesso Decio, che muore travolto da un'auto al rientro nella vita civile, e Julio, avviato non senza turbamenti sulla strada della perdizione. Con la sua sola presenza richiama violentemente alla memoria la separazione originaria dal Padre, la rivolta contro una legge di armonica, pacifica corrispondenza tra le forme vitali, impedisce che sia cancellata quell'antica, imbarazzante ferita Iviene in mente l'assassinio del padre che fonda la storia dell'uomo, ipotizzato con altre intenzioni dal Freud di «Totem e tabù»). Per questo il puma deve essere oltraggiato, maltrattato e alla fine soppresso. A seguirne la sorte e conservarne il ricordo è un collega americano di Decimo, il professor Op, compagno dell'avventuroso viaggio in Arizo¬ na. Attraverso gli scambi epistolari, antagonisti! i e indagatori, con Decimo, attraverso le conversazioni con la signora Winter, che lo ospita nella sua casa dell'entroterra ligure e che si fa narratrice in prima persona. Ma è lo stesso Alonso che si impone con la sua umile, misteriosa autorità. Ricompare inattesamente a riaprire il gioco, pa^sa per almeno due volte attraverso il ciclo di passione, morte e resurrezione. Forse è lui a lambire l'acqua della ciotola che la signora Winter deporrà ogni giorno, come dono votivo, nello scantinato. C'è un dramma torbido al centro del romanzo. Julio, educato dal padre al disprezzo dell'uomo, diventa terrorista, progetta ed esegue massacri. Troverà la morte, ammazzato o suicida, alla presenza della bestia che ha tormentato e amato (questa specie di consapevole feuilleton, che conserva l'eco degli «anni di piombo», non è del tutto risolto, ma vale come un segnale di guardia contro efferatezze estreme). E sarà appunto la riapertura del caso criminale a far deflagrare il fantastico della realtà; quando il professor Op (che è diminutivo di Opfering, offerta) coinvolto nell'inchiesta a causa delle sue assidue frequentazioni, renderà la sua ultima testimonianza ad onore del puma. Prima di morire, scrive mia lettera allucinata al presidente Lincoln, uno dei padri fondatori dell'America, per denunciare la cultura ottimistica ed espansionistica, a "Alonso e i visionari»: una goffa bestiola trovata ne II'. ìrizonafa vacillare con la sua mitezza un superbo nichilista unpregnata di egoismo e utilitarismo," cli'é rende infelice l'Umanità. Il tema alto e vero del romanzo è «l'anormalità del bene», la ferocia che lo ostacola, la sua indistruttibilità. Il puma, in cui una religiosità naturale, vagamente animistica, appare maculata di reminiscenze cristiane, sta lì a ricordare che «lo sgarbo agli dei genera sventura» e non può essere rimosso da utopie sostitutive, non può essere placato neanche dai più folgoranti successi materiali. Anna Maria Ortese, al termine del suo catturante gioco di specchi, del suo percorso compassionevole nel buio e nel dolore delle coscienze, ci predispone con trattenuto, oracolare lirismo all'attesa e all'ascolto del puma: «La vita... non è mai nelle nostre stanze, ma altrove. Così, chi cercasse il Cucciolo, scruti, la notte, nel silenzio del mondo: non lo chiami, se non sottovoce, ma sempre abbia cura di rinnovare l'acqua della sua ciotola triste. Non visto, verrà». Lorenzo Mondo MINORE : SE LA TV INGANNA IL CUORE IL DOMINIO DEL CUORE Renato Minore Mondadori pp. 189 L 30.000 IL DOMINIO DEL CUORE Renato Minore Mondadori pp. 189 L 30.000 ON un titolo che può far pensare alla rappresentazione piena e un poco abbandonata delle ragioni del cuore, dei sentimenti, delie loro vicende, 7/ dominio del cuore di Renato Minore è, invece, esattamente l'opposto: romanzo in cui ben poco accade, e il cuore, se ci ha qualche parte ogni tanto, in realta si affaccia nella pagina attraverso ironie, situazioni un poco dissacratorie, interventi che non ci si aspetterebbe di trovarvi, in ambienti e in situazioni che del sentimento e dell'anima sono l'obiettiva e radicale negazione: gli studi televisivi, la preparazione di mia trasmissione dedicata a uno scrittore un poco umbratile, scontroso, polemico, beffardo, da poco scomparso. A negazione del titolo e a dissipare ogni sospetto che troppo del cuore si parli, anzi, per capovolgere il significato patetico di un libro fortunatissimo di questi ultimi tempi, le prime scene del romanzo descrivono uno studio cinematografico dove si sta girando un film pornografico, che, a sua volta, con un bel gioco di specchi, è ripreso, naturalmente per singole e sfumate inquadrature, da un operatore televisivo in funzione di una trasmissione nella quale si vuole parlare degli attori erotici, per mostrarli nella loro quotidiana verità umana al di là della finzione filmica. Naturalmente, l'inganno supremo è quello di fingere che la televisione possa rendere la realta umana delle persone. La rappresentazione della finzione delle finzioni che è la televisione infatti è l'argomento del romanzo, e di quegli squarci che si aprono, a tratti, nella sua sicurezza assoluta, e che lasciano venire fuori le anime e la vita. L'occasione è data dalla trasmissione che un potente dirigente televisivo, Arconte, prepara con alcuni suoi collaboratori, il regista Gattone, l'assistente Luana, l'intellettuale isolato e scontento Cortese, in¬ tomo allo scrittore Zefiro, morto pochi anni prima. Il romanzo via via racconta la preparazione della trasmissione: l'autorità un poco sbrigativa ed efficiente di Arconte, che ama sentenziare sui pregi e sui valori della televisione, ma non senza qualche ammicco di intelligenza; lo scrupolo di ricercatrice di documenti su Zefiro che anima Luana, amante di Gattone, ma attratta dalla discrezione di Cortese; l'ottusità del regista, succubo di ogni potere, dentro e fuori la televisione, e amatore inesauribile e sbrigativo; la vana difesa delle ragioni dell'arte e del pudore della vita da parte di Cortese. Intorno gravitano, illuminati da una luce spesso acre di satira, figure come il Maestro dei Maestri, illustre regista cinematografico e amico di Zefiro; il professore Amareno, definito come «esperto ottimizzatore di programmi»; il fedele e mediocre impiegato Borghini, sempre trafelato al seguito di Arconte; e qualche altra figura ancora, raccolta qua e là durante la preparazione del programma. Ma il motivo profondo del romanzo consiste nell'indagine, che si svolge a poco a poco seguendo la preparazione del programma, intorno a Zefiro, e le conseguenze che su ciascuno dei personaggi le notizie e le rivelazioni che vengono fuori sullo scrittore e anche le immagini di repertorio che vengono scovate negli archivi, provocano, segnandoli. Così, Luana ritrova, attraverso Zefiro e gli spezzoni di servizi e documentari che ricerca per la trasmissione, la figura del padre da poco morto, e si riappacifica con il ricordo di lui, avvicinandosi, contemporaneamente, a Cortese e abbandonando il rozzo Gattone. Cortese è fin dall'inizio colui che cerca davvero di cogliere, anche al di fuori delle esigenze della trasmissione, la figura di Zefiro: lo scrittore solitario, ironico, mi poco beffardo per difesa di un'interiorità disperata, che lo porta a essere perpetuamente scontento di quanto scrive e degli stessi progetti che prepara, ma poi non porta a termine; ed è segno di questa disperazione anche l'accettazione dei compromessi con il cinema e con la televisione. Il fatto è che Zefiro ha vissuto fino in fondo la tragedia del figlio malato, rimasto a una condizione infantile, quasi incapace di comunicare col mondo. E' il segreto non soltanto della vita, ma anche della scrittura di Zefiro, quello che la televisione non vorrà tacere, ma vorrà ridurre a lacrime e falsi pudori di dire e non dire. Arconte subordinerà tutto alle regole del gioco televisivo, anche la morte del padre, famoso e gigionesco poeta dialettale di spiriti populisti, incantatore di folle, abile manovratore di passioni politiche per il proprio successo. Gattone resta rozzo e incapace di capire; il Maestro dei Maestri un narcisista che a sé condiziona i ricordi di Zefiro, col quale ha collaborato per alcuni film. Cortese e Luana soltanto riescono a capire e a rinnovare il rapporto fra letteratura e vita che Zefiro aveva additato, senza riuscu-e ad attuarlo, quando aveva tentato di scrivere un romanzo su Carlo Michelstaedter, che si uccide per disperazione della parola di fronte alla vita, come, invece, Zefiro non fa, resistendo alla tentazione per amore della moglie e del figlio. Nell'ultimo capitolo Cortese e Luana vanno a trovare, nell'istituto in cui vive, il figlio di Zefiro; e lo colgono mentre sta assistendo a un film di Buster Keaton. La risata piena, totale, del tutto umana dell'uomo davanti alle vicende del film è l'estrema lezione dell'arte che si fa vita perfino in clù sembra soltanto vegetare. E anche Cortese e Luana, attraverso la lezione di Zefiro, giungono a reinventarsi l'esistenza, i sentimenti, se stessi, l'anima. E' il grande significato del romanzo di Minore, così esattamente diviso fra chi si salva dalla corruzione dei mezzi di comunicazione di massa e chi, invece, vi rimane irrimediabilmente invischiato. Oltre l'apparenza ironica, Il dominio del cuore è un'opera di riflessione e di moralità: in verità molto alta, esemplare anche nella scrittura lucida, sapiente, perfettamente altalenante fra gioco e tragedia. Giorgio Bàrberi Squarotti

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