Germania la ricerca dell'armonia perduta

Germania, la ricerca dell'armonia perduta Tra scioperi e rivendicazioni, scricchiola il sogno di un socialismo di mercato, protetto e benestante Germania, la ricerca dell'armonia perduta Dal miracolo di Adenauer alla crisi dello Stato sociale RKOENIGSWINTER ER't«Bcr"~ntm~mivmnloalloggio a Bonn, sono finito a cercarmene uno nel collinoso e boschivo quartiere residenziale di Konigswinter che, col suo nome elegiaco, «inverno dei re», sovrasta l'ormai vecchia e traballante capitale federale della Germania riunificata. Il Reno, nascosto dalla verzura della collina resa lussureggiante dall'umidità estiva, non lo si vede ma lo si sente nell'aria che sa di rugiada e di febbre. L'albergo, sprofondato dentro il bosco, si chiama Petersberg: una vasta costruzione giallina, elegante e austera nel verde, misto di reggia discreta e di abbazia solitaria. Camminando per i saloni e gli scaloni marmorei, m'imbatto in una specie di serra, un minuscolo giardino d'inverno protetto da lastre di cristallo, quasi un casuale mausoleo naturale. In un angolo, fra rampicanti e timidi fiori di montagna, intravedo un busto storico: il volto ascetico, color verderame, di Konrad Adenauer, fissato con discrezione sulla cima di una stele di pietra non molto alta. L'inattesa serra alberghiera mi riporta subito alla memoria un'altra serra più burocratica, dove, ancora vegeto, il vecchissimo Adenauer s'era intrattenuto in colloquio con me sulla fine degli Anni 60. Rivedo l'ambiente m cui mi ricevette pochi mesi prima della morte. Ordine e serenità si combinavano armoniosamente in un clima rarefatto, da acquario; la temperatura regolata al centigrado, né troppo calda né troppo fredda, la qualità dell'aria, non inquinata dal fumo, continuamente depurata da un apparecchio gorgogliante in un angolo, era trasparentissima. In quell'atmosfera per l'appunto da serra, da museo di statue di cera, si prolungava il miracolo di una vitalità biologica che stava battendo tutti i primati nella tradizione degli illustri longevi tedeschi, da Goethe a Thomas Mann. Il lucido vegliardo, conservato come una reliquia nella tersa bacheca del suo ufficio al Bundeshaus, era già da qualche anno fuori servizio; aveva già svolto il suo molo titanico. Osservarlo era per me altrettanto interessante che ascoltarlo. Appariva abbigliato con il decoro ligneo di un alto funzionario della pubblica amministrazione guglielmina. La giacca nera tirata giù dritta, senza una piega, quasi inamidata; il colletto della camicia bianca con punte ravvicinate e dura. Da quell'invòlucro anacronistico, da quel¬ :x;!,nw;ù lb d-'m -•. . • srfc l'uniforme borghese di Beante sopravvissuto ai tempi imperiali prorompeva con forza, come da un guscio costrittivo, una piccola testa tutt'altro che impiegatizia. Un teschietto marroncino di mummia, più cartilagine che carne, che sembrava imbalsamato tutto con minutissime foglie di tabacco, animato però da una singolare autonomia vitale: prensile, scattante, sornione, sempre pronto a lanciare attraverso la maschera rugosa un lampo di sarcasmo. Considerava cosa ben fatta e duratura la mezza e ricca Germania messa in piedi da lui e da Erhard: la parola Wiederyeinigung, «riunificazione», allora quasi proibita, gli procurava un certo fastidio soltanto sentirla pronunciare. Così, perfino nel suo aspetto esteriore, intonato al conservatorismo patriarcale, Adenauer appariva privo di legami con quattro generazioni politiche tedesche: la generazione liberale del Wunder e del Wachstum (miracolo e crescita) nata sotto di lui; la comunista che allignava nell'altra Germania al di là dell'Elba; la nazionalsocialista nettamente rifiutata; la weimariana certamente da lui osservata con distacco e molta ironia. Credo che per capire meglio quello che accade nella Germania d'oggi, questo malessere diffuso, questa crisi strisciante, questa incrinatura di un sistema che dopo mezzo secolo non regge più per eccesso d'armonia e di perfezione, bisogna risalire al paradosso rappresentato nella vicenda della rinascita tedesca dal fatto che essa sia stata creata e guidata da un grande personaggio d'altri tempi. Uno dei maggiori paradossi fu appunto nella contraddizione tra l'educazione storica dell'uomo e la sua missione politica: tra una psicologia autoritaria e un compito liberale. Uomo d'ordine, di religione, di famiglia, formatosi nell'oculata pratica amministrativa delle istituzioni municipali della Germania guglielmina, Adenauer è stato un rappresentante classico della tradizione chiamato a modellare dal nulla la Germania meno tradizionale che la storia tedesca abbia mai conosciuto. Non a caso un certo democratismo perfezionistico, rigido, quasi bloccato nei suoi contrappesi inalterabili, un democratismo insomma temperato da armonie e nostalgie autoritarie,' troppo oleografico, troppo refrattario al conflitto, à rimasto per cinquant'anni annidato come un virus silente e accagliente nei meccanismi del dinamico liberalismo sociale tedesco. Forse i malori che oggi affliggono l'organismo germanico sono dovuti al logoramento di tale arcaica colla di fondo, fino a ieri tenacemente e intimamente mescolata alla stabilità democratica del Paese più ricco e più solido d'Europa. La genesi dello strano e origi- naie impasto tedesco fra ammortizzatori conservatori e creatività liberale, che poi doveva sfociare in una sorta di socialismo benestante e protetto, fu insieme adenaueriana e socialdemocratica. Tutto cominciò, o ricominciò, dopo la tabula rasa della seconda guerra, in questa fertile regione renana, estremo occidente germanico. Fu nell'albergo Petersberg di Konigswinter, trasformato, in quartier generale dagli alti commissari alleati, che u 22 novembre 1949 un oscuro ex sindaco di Colonia, il.dottor Konrad Adenauer, già settantenne, firmò, assieme ai vincitori il «Petersberg Agreement». Era l'atto di battesimo e di semisovranità della neonata Repubblica federale tedesca. Esattamente dieci anni dopo, nel novembre 1959, si compiva a pochi chilometri da qui, nel sobborgo residenziale' di Bad-Godesberg, la seconda importante fase del decollo della Germania federale nella modernità occidentale e democratica: il famoso congresso in cui la socialdemocrazia, «credo della filosofia classica tedesca», ripudiava Marx ed Engels optando per l'economia di mercato. Fra l'atto di Petersberg e il gran rifiuto di Bad Godesberg, nei dieci anni decisivi fra il '49 e il '59, prendeva forma quel mo¬ dello renano di crescita e di sviluppo, chiamato poi estensivamente «Modellò Germania», che ora dopo la riunificazione scricchiola all'improvviso e viene messo in discussione da tutti. Con impeto preoccupato dagli epigoni democristiani di Adenauer, capeggiati dal cancelliere Kohl, detto «cavolo» oppure «coltello» dagli avversari che contestano lo Sparpaket, il pacchétto dei tagli allo Stato sociale proposto dal suo governo al Parlamento. Con giravolte frenanti e fallimentari dalla Spd di Oskar Lafontaine, il quale sostiene la tesi, difficilmente sostenibile, che lo Stato sociale si trova sull'orlo del fallimento proprio perché antisociale, incline a proteggere i ricchi contro i poveri, a inventare misure economiche punitive a tutto svantaggio dei cittadini deboli. Al seguito dei socialdemocratici e dei potentissimi sindacati, che rappresentano insieme l'ariete e lo zoccolo duro dell'opposizione tedesca, si notano le capriole acrobatiche del pragmatico e spregiudicato leader dei Verdi, Joschka Fischer. Il quale fa il cerchiobottista e oscilla di qua e di là. Dice che il modello economico tedesco andrebbe rifondato dalle radici, ma non spiega come. In realtà Fischer, dando un colpo a destra e uno a sinistra, si prepara con astuzia alla grande prova elettorale del 1998; si parla addirittura della possibilità di un «patto» fra i Verdi e i democristiani di Kohl: un eccezionale salto della quaglia a destra, dettato dalla congiuntura, sopra la testa dei socialdemocratici e dei liberali, attualmente membri della coalizione governativa. Quanto ai postcomunismi della Pds, che contano poco nell'occidente germanico, essi puntano le loro carte sul crescente e alienante scontento degli Ossisi i «cittadini di seconda classe» della ex Germania di Pankow. I militanti della Pds nei Lànder dell'Est non criticano i fallimenti e i cedimenti del- lo Stato sociale in quanto tale; attaccano il «Modello Germania» nel suo complesso, sostenendo che sarebbe stato imposto con la forza e con l'inganno alla Germania Orientale sempre più misera e depredata. Spicca nel panorama, che polemiche e scioperi mai visti rendono ogni giorno più lacerato e drammatico, il thatcherismo non tanto occulto della giovanissima dirigenza quasi yuppie dei liberali della Fdp. Il vero Tony Blair tedesco è oggi il trentenne segretario del partito liberale, Guido Westerwelle, che da posizioni progressiste sembra deciso a cavalcare con energia la tigre delle riforme e della destrutturazione dello Stato sociale. Le secche parole d'ordine, i duri inviti alla razionalità economica e sociale, che ho potuto ascoltare e leggere al recente congresso liberale di Karlsruhe, esibiscono un linguaggio finora sconosciuto alla moderazione armonica del modello tedesco. «38 autorità amministrano 155 prestazioni sociali. Ne basterebbe una». «La società di oggi è giunta alla sua fine "ì al suo principio». «Dobbiamo privatizzare lo Stato, il più grosso imprenditore della Germania». «Contro il lavoro nero, l'evasione fiscale, la fuga dei capitali, lo Stato può fare soltanto una cosa. Può e deve fare di meno». Da queste sentenze radicali, pronunciate al conclave di un partito ritenuto di sinistra borghese, si può arguire quanta Europa, quanta Francia, quanta Spagna, perfino quanta Italia siano di colpo penetrate nel più dispendioso e munifico Welfare State del Continente. Tutto da rifare, quel che fu fatto nei primi gloriosi anni del «miracolo» fra Konigswinter e Bad Godesberg? Tutto da rivedere e da rifondare? La Grande Germania, con la caterva dei suoi problemi improvvisamente implosi, dà per ora l'impressione di arrancare lungo tre contrastanti-linee di marcia. Primo: rimescolare in profondità lo Stato sociale più riuscito del mondo senza distruggerlo. Secondo: trovare, nel corso del rimescolio, un compromesso nazionale più durevole fra la preoccupazione dei cittadini dell'Ovest e là depressione dei cittadini dell'Est. Terzo: combattere é placare il morbo atavico dei tedeschi, l'ansia, l'orrore dell'incertezza, la paura del futuro, morbo che ha segnato tutta la loro storia tramata alternativamente di violente avventure e di grandi pavidità. (1-C0Y**loa) Anche i liberali tradizionalmente progressisti stanno sposando un thatcherismo senza pudori Un miscuglio di Francia, Spagna e Italia è entrato nel Welfare State del colosso economico I «cittadini di seconda classe» dell'Est si sentono traditi Kohl deve affrontare il morbo atavico del suo popolo: l'orrore per l'incertezza VIAGGIO NELL'ANSIA TEDESCA In aito un famoso ritratto di Goethe fotografato nel museo di Francoforte da Gianni Berengo-Gardin Qui sopra Adenauer con de Gaulle e a dèstra Kohl eJoschka Fischer. Sotto, una scena dell'Oktoberfest