La vendetta del poliglotta

la vendetta del poliglotta la vendetta del poliglotta /nuovi leader conoscono 2o3 lingue IL CASO TRADUTTORI ADDIO FIRENZE UE parole in tedesco a Helmut Kob], una battuta in francese a Chirac e un saluto in inglese a Major. Davanti ai fotografi per la consueta «foto di famiglia», circondato da capi di Stato e di governo, Prodi sprizza cordialità e soddisfazione in tutte le lingue. Che rivoluzione! Per decenni i politici italiani sono stati derisi ed emarginati in Europa perché non riuscivano a esprimersi in lingue diverse dalla loro. Oggi la situazione è capovolta. Prodi, Dini, Azeglio Ciampi, Fassino: la delegazione italiana al vertice di Firenze sembrava una sede mobile della Berlitz. L'inversione di tendenza era cominciata con Amato, per poi proseguire con Azeglio Ciampi e Dini. Ora la squadra di Prodi vuole addirittura primeggiare. Una domanda in inglese? Noproblem. Una in francese? Mais oui- Una in spagnolo? Por cierto. Una in tedesco? Ja, ja. Ormai non c'è occasione in cui i nostri leader si tirino indietro, per la delizia dei giornalisti stranieri. E quando possono puntano le telecamere della Bbc e della Cnn, cercano con lo sguardo i cronisti della P.euter e della France Presse. E se gli capita d'incrociare un inviato dell'Economist, esclamano con fare ammiccante: «Ahha... The Economist...». Romano Prodi conosce bene l'inglese, parla un ruvido ma efficace francese e capisce anche il tedesco. Lamberto Dini parla un ottimo inglese con accento toscano, spesso punteggiato da espressioni idiomatiche (business as usuai, think positive ecc.). Carlo Azeglio Ciampi è il più bravo di tutti: parla bene inglese e francese, e in più conosce la lingua di Helmut Kohl. Piero Fassino ha un inglese un po' scolastico, è vero, ma in compenso parla un buon francese. Còme abbiamo scoperto ieri in conferenza stampa quando un giornalista francofono gli ha chiesto se poteva fare la sua domanda in francese. «Oui, oui», ha risposto il sottosegretario agli Esteri con delega per l'Europa. «Je comprend le frangais», capisco il francese. Tutto questo può sembrare un miglioramento puramente di facciata, ma non lo è. Perché la facilità con cui i leader italiani si esprimono nelle varie lingue permette di giocare al meglio la partita diplomatica. Specie in un vertice dove molto si risolve in brevi incontri appartati e scambi a tu per tu. Nel suo piccolo, poi, la conoscenza delle lingue contribuisce a migliorare l'immagine del Paese. «E' la prima volta che vengo a un vertice in cui non sento parlare dei guai e dei pasticci dell'Italia», commenta Robert Graham, corrispondente del Financial Times. Alla fine, lo sfoggio di multilin- guismo da parte dei nostri leader ha finito per contagiare anche il sindaco di Firenze, Mario Primicerio, che venerdì sera, a Palazzo Vecchio, ha insistito per fare il saluto ai capi di Stato e di governo in inglese. Ma l'uso dell'inglese invece dell'italiano in un evento ufficiale ha sorpreso alcuni ospiti. A cominciare da Jacques Chirac, che seduto in prima fila davanti al sindaco, appariva piuttosto contrariato da questuo eccessivo della langue d'Aibión. A quel punto Dino Frescobaldi, giornalista, portavoce del Comune e discendente di quell'altro Dino Frescobaldi - il poeta e stilnovista che mise in salvo i primi canti della Divina Commedia - ha avuto l'unica reazione possibile: «Certo, a Firenze sarebbe più opportuno parlare la lingua di Dante», la. d. r.l

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