«Ancora boiardi in pasto al volgo» di Roy Medvedev

«E' la sindrome di Rasputin: anche in democrazia i conti si saldano a corte» Lo storico ex dissidente Roy Medvedev «Ancora boiardi in pasto al volgo» Cm MOSCA ERA una volta, in un periodo di torbidi, uno Zar buono, circondato da cortigiani malvagi. La gente, senza pane, mormorava, ma non era colpa dello Zar. Dietro tutto complottavano i boiardi infedeli, gente che tramava per avere denaro e potere. Poi lo Zar capì e li cacciò. Adesso al suo fianco c'è un nuovo principe-consigliere giovane e buono. Tornerà presto l'abbondanza. Viva lo Zar. E' una sfortuna che la Storia non abbia un cestino brucia-rifiuti. Perché se così fosse i russi non avrebbero dovuto ascoltare ieri, per l'ennesima volta, questa favola. Ieri, come ai tempi di Grichka l'Incantatore. Marxismo o antimarxismo, Nicola, Stalin o Eltsin, è sempre il complotto ad avere il privilegio di legittimare il potere in Russia. Le elezioni, i partiti, i Parlamenti, i Soviet servono ad assopire i sospetti; i conti si saldano tra pochi cortigiani, in guerre combattute in stanze remote. La politica si piega, perfino nell'era della tv, agli attributi cosmici del mistero. E' la sindrome di Rasputin, come una debolezza algebrica che sta nella formula stessa del potere. Forse che nel Cremlino dei Korzhakov, delle anime dannate cacciate da Eltsin, non sono di moda gli oroscopi, la magia nera, l'occulto? Perché per sopravvivere ai complotti c'è bisogno di specialisti, di illuminati che vedano l'invisibile. Insomma di piccoli diavoli come il vecchio Rasputin. Nella sua quieta dacia alla periferia dei tumulti di Mosca, Roy Medvedev, l'uomo che si è battuto in anni lontani contro la cancellazione della Storia incompiuta, supremo delitto staliniano, sta ultimando il suo libro: «Dove va la Russia, la difficile strada del socialismo in Urss», che sarà pubblicato dall'americana Università di Columbia. Al libro mancano due capitoli, Medvedev aspetta di colmarli con la materia sulfurea di questi giorni. Ma sa che per scriverli, anche questa volta, dovrà risalire antiche cicatrici spirituali della storia russa. «Da noi c'è un proverbio: lo Zar è buono e i boiardi sono cattivi. Quando a Mosca la gente minacciava una sommossa e subito inferocita marciava sul Cremlino, gli Zar lo gettavano i corpi dei boiardi, dei Korzhakov più odiati. Vedendoli la folla si placava e tornava a casa soddisfatta. Restava salvo il principio che lo Zar non può sbagliare perché comanda in nome di Dio e deve sempre avere ragione». Usando nuovi feticci verbali è stato il sistema comunista ad applicare sulla Russia un elettrochoc di ondulazioni grigie fatte di complotti: «E' la regola eterna di un potere autoritario: eliminare periodicamente chi esercita troppa influenza e comincia a pensare di aver diritto ad una parte di quel potere. Così agiva Stalin, così agiva Kruscev, così agiva persino Breznev, anche se era più debole degli altri due. Stalin ha cambiato tre, quattro volte la sua squadra, i segretari, i capi del Kgb; Zhukov era ministro della Difesa e poi è fi¬ nito in esilio a Odessa. Ricordate Breznev? Il suo entourage sembrava un albergo. Di tutti i membri del Politburo solo Suslov riuscì a conservare il posto fino alla fine». Eltsin, secondo lo storico, è un discepolo zelante del modello russo di un potere che modifica il pro¬ prio carattere in cerchi concentrici: al centro è esercitato con le congiure usate per potare, con scaltra regia, le ambizioni troppo avide dei cortigiani. Alla periferia c'è il margine opaco della «democrazia», un giocattolo innocuo: «Questo è il terzo cambiamento to¬ tale dello staff di Eltsin. Quando ha conquistato il potere con lui c'erano solo democratici. Tutti spariti, dimenticati. Poi è stata la volta della gente come Kozirev, come Shakrai. Gli hanno scritto i programmi, inventato una filosofia politica. Ma hanno esagerato. Mi hanno raccontato che alcuni di loro, pubblicamente, al Cremlino ormai urlavano insulti in faccia a Eltsin completamente ubriaco. Un peccato capitale, ma non il solo. Anche la loro politica, quella delle privatizzazioni, era impopolare e rischiava di travolgere il capo con i gregari. Allora è venuto il momento dei Korzhakov, dei Graciov, degli uomini della Sicurezza. Hanno assicurato a Eltsin il controllo della parte autoritaria, ma hanno cominciato a comportarsi come se a loro fosse tutto lecito. Uno come Graciov si faceva costruire ville, convocava conferenze stampa, cacciava dall'esercito chi non gli andava a genio. La gente si chiedeva: ma chi comanda? Eltsin allora ha preparato il colpo con cura e, al momento giusto, ha colpito. Ci vuole un Eltsin nuovo e quindi anche una squadra tutta nuova». Come ai tempi del monolito comunista, negli anni del Grande Silenzio, per capire il futuro a Mosca si tornano a scrutare i piccoli segni, a battere labili tracce; nasce, paradossalmente, in un momento in cui tutto anche qui sembra plateale, pubblico, politica-spettacolo, una cremlinologia che nulla ha da invidiare a quella dei tempi di Breznev. La democrazia, così, sembra avviata a restare una figura appena abbozzata e repentinamente incompiuta. Ma c'è, secondo Medvedev, un fatto nuovo: è la gigantesca esplosione, in questi anni, della parola libera, che è nello stesso tempo un rifiuto della menzogna. La faida tra i cortigiani non annega in ovattati silenzi, deve piegarsi a conferenze stampa, giustificarsi, deve in qualche modo esibirsi: «La speranza della Russia è questa. In attesa che si formino veri partiti, che ora restano strutture deboli, anemiche, la democrazia è nella stampa indipendente, a dispetto di alcune leve di controllo e d'influenza. Il potere autoritario ora deve usare metodi più sofisticati. E forse un giorno a salvare gli Zar non basteranno più le teste dei boiardi». Domenico Quirico «E' la sindrome di Rasputin: anche in democrazia i conti si saldano a corte» E' sempre stato così Ai tempi degli zar come di Stalin, di Kruscev e Breznev Rasputin: si ripete a Mosca l'ascesa e il sacrifìcio dei «piccoli diavoli» Roy Medvedev: sta scrivendo in un libro cui mancano due capitoli la storia di queste giornate