Ganci alla moglie: ho ucciso tuo padre

Palermo: ora la coppia vive con i figli in un rifugio segreto e l'ex sicario confessa nuovi orrori Palermo: ora la coppia vive con i figli in un rifugio segreto e l'ex sicario confessa nuovi orrori Ganci alla moglie: ho ucciso tuo padre Solo dopo il perdono della donna, il killer si è pentito PALERMO DAL NOSTRO INVIATO E' durat.0 parecchi giorni il travaglio che ha portato Calogero Ganci, ormai ex uomo d'onore della «famiglia» della Noce, ad abbandonare Cosa Nostra. Era ossessionato dalle prospettive di futuro dei figli: lui in carcere, la moglie Isabella sola, i bambini senza avvenire. Eppure non era facile compiere quel passo. Sì, c'era il problema di dover diventare un infame, anche se ormai i pentiti sono a migliaia e le critiche risultano più sopportabili. No, c'era un tarlo nella testa di Calogero Ganci. Una punta di trapano che gli trapassava il cervello. Come avrebbe fatto a confessare di aver ucciso anche il padre della moglie, della sua amata Isabella? Ogni volta che raggiungeva la determinazione di chiamare il magistrato, dal subconscio riemergeva l'enorme peso invano nascosto. Fino al giorno in cui decise: parlo, ma prima voglio vedere Isabella. Se non le parlo non se ne fa nulla. Voglio chiederle perdono, e se l'ottengo lei verrà con me. Isabella fu portata con tutte le cautele, i due parlarono a lungo. Calogero confessò alla moglie di essere stato tra i killer di Vincenzo Anselmo, il suocero, rapito ed ucciso col sistema della «lupara bianca». Si aspettava che Isabella lo ripudiasse e invece la donna capì e perdonò. Così Calogero divenne pentito, era il 7 giugno. La polizia ebbe appena il tempo di «isolare» Isabella dai familiari e di trovarle un rifugio segreto. Ma la «manovra» non sfuggì ugualmente alla famiglia che immediatamente pubblicizzò la notizia. Ecco perché è finita così presto sui giornali. Nell'ambiente si sapeva che Ganci aveva ucciso il suocero. Carmelo Mutoli - anch'egli pentito dopo essere stato compare di nozze di Vincenzo Anselmo, la vittima, lo aveva annotato persino nel li • bro «Mafioso per caso», una vera e propria «Saga dei Ganci», uscito per le edizioni Kaos e scritto dal giornalista Pino Nicotri. Si sapeva anche il movente dell'omicidio - ironia della sorte - riconducibile ad un altro penti¬ mento, quello di Salvatore fratello di Vincenzo. Mutoli raccontò tutto perfettamente, ma allora l'infame era lui e i Ganci, ma soprattutto gli Anselmo, preferirono credere a Calogero che, naturalmente, negava. Una volta tolto il coperchio della pentola a pressione, Calogeri Ganci si è lasciato andare, confessando un fiume di orrori. Dichiarazioni brevi e stringate che devono essere ancora sviluppate con date, nomi e particolari. Un racconto frenetico, raccolto in poche pagine che rappresentano una sorta di dichiarazione di intenti, sui quali Ganci dovrà dilungarsi coi magistrati interessati ai singoli casi. La cadenza è quella del diario. STOGI. «Ho preso parte alle stragi di Capaci e di via D'Amelio». Ganci aveva il compito di segnalare l'arrivo di Giovanni Falcone da Roma, quel pomeriggio del 23 maggio del 1992. E lui - all'epoca macellaio - diligentemente, quando vede la scorta del giudice muoversi verso punta Raisi, comunica: «La carne è arrivata». Racconta anche la strage che costò, nel 1983, la vita al giudice Rocco Chinnici: «C'erano Paolo Anselmo, Nino Madonia e Giovanni Brusca. Proprio lui portò la 126 celeste piena di esplosivo in via Pipitone Federico». E sull'agguato algenerale Dalla Chiesa: «C'era un commando formato da due auto e una moto: Pino Greco arrivò in ritardo, ma volle lo stesso scaricare la sua pistola sul cadavere del prefetto». OMICIDI. Dice di aver fatto parte del gruppo di fuoco che ha insanguinato la Sicilia, dal 1980 in poi: Bontade, Inzerillo, Ferlito, il capitano D'Aleo. Tutta opera della «famiglia» che poteva permettersi pure il lusso di regalare i kalashnikov a Nuvoletta «il napoletano». Volevano pure uccidere Giuseppe Ayala, quando il magistrato abitava nel residence «Marbela». Lo pedinarono ma poi l'operazione «sfumò». ESTORSIONI La «famiglia» non risparmia nessuno: Francesco Spina dovrebbe tenere la documentazione contabile. Tartassato il commerciante Gulì, della Noce. Anche La Fininvest «pagava», a riscuotere ci pensava tal Gaetano Cina. Quando l'hotel Saracen di Capaci fu venduto all'ing. Ponte, questi pagò una tangente di 414 milioni che andarono anche ai Ganci. COMUNICAZIONE. I boss parlano a gesti e comunicano durante i processi. Al dibattimento sull'omicidio del vicequestore Cassare, Riina aveva ordinato l'eliminazione dell'aw. Alberto Polizzi, parte civile. Durante una udienza ne parlarono Giuseppe Lucchese e Nino Madonia, ma non se ne fece niente. Come fanno a comunicare i boss? Soprattutto a gesti, un vero campione della materia è Ciccio Onorato. Ma è possibile fare uscire «bigliettini» all'esterno del carcere. Uno dei sistemi è quello di gettare i messaggi scritti nell'atrio di una sezione dove stanno detenuti non sottoposti al carcere duro (preferibilmente l'ottava, all'Ucciardone) ed aspettare che qualche «bravo ragazzo» li raccolga per recapitarli «a chi di dovere». TRAFFICI. Armi e stupefacenti: Riina coi.imercia droga ma solo fuori Palermo o all'estero. Angelo Simo, in carcere come «ministro dei lavori pubblici» di Totò Riina, dava armi ai Brusca. ((Anche le bombe a mano». [f.LI.] «Ai figli dei boss sono offerte opportunità pari ai coetanei: dipende da loro salvarsi o no» m0j^ «Paragoni col terrorismo? No 111 Gli scopi di Cosa nostra I m J sono tutt'altro che ideali» «I collaboratori hanno fatto capire che la mafia era contro la gente» Sopra: Calogero Ganci, superkiller di Cosa nostra passato adesso nelle fila dei pentiti. Al centro: un'immagine della strage di Capaci nella quale morì Falcone. A sinistra: il procuratore di Caltanissetta Giovanni Tinebra e Totò Riina

Luoghi citati: Caltanissetta, Capaci, Palermo, Roma, Sicilia