«Aleksandr è un vero duro non farà Ia fine di Rutskoi» di Domenico Quirico

«Aleksandr è un vero duro non fora Io fine di Rutskoi» «Aleksandr è un vero duro non fora Io fine di Rutskoi» L'ONORE Lff MOSCA m ACCADEMIA dello Stato Maggiore «Michail Frunze» è un monolito; una muraglia impenetrabile, geometrica, senza ombre. Nulla qui ricorda l'esercito stracciato, clochard che dopo aver perso la guerra fredda «senza sparare un colpo» affonda nei debiti, vende carriarmati e anime, si copre di ruggine e di vergogna perfino in una piccola guerra coloniale tra le montagne cecene. Gli ufficiali-allievi sciamano impettiti sotto la pioggia, ben protetti dalle falde larghe dei loro cappelli, imbracciando la 24 ore. A Frunze si continua a cuocere il pane dell'apparato militare-industriale, allenato a combattere ma anche ad amministrare, a fare i conti, a gestire scenari. Bramini che nel disastro dell'Urss e poi della Russia sono scivolati da un'identità all'altra ben protetti dall'armatura professionale che libera l'individuo dalle sue angosce. Sono i colleghi di Lebed, il possibile Bonaparte delTermidono eltsiniano, alcuni di quelli con cui abbiamo parlato si sono laureati e hanno combattuto con lui. Non tutti lo amano (anche se alla moglie di un maggiore frullano le palpebre quando, fremente, confessa di aver votato per lui). Ma tutti detestano i politici e lo strano insieme di carnevale e violenza che è diventata la Russia di oggiQuesta élite ha sotto di se una massa di 2 milioni di uomini delusi, affamati, rancorosi. I politici adesso li contano solo come voti e li usano per le sfilate frettolosamente restaurate con le vecchie bandiere. Ma attenzione perché le liturgiche obbedienze di un tempo non ci sono più, il codice del silenzio verso i superiori, i generali con troppe medaglie e troppi soldi, è infranto. E alla lunga nessun esercito può obbedire a chi disprezza. Come questo tenente massiccio che spara verità come raffiche di mitra: «Io non ho nostalgie, non so che farmene della nostalgia. Ma una volta, quando eravamo l'Urss, l'esercito era una cosa potente, organizzata, era più facile trovare un posto nella società. Tutto era ben prevedibile, segnato, ordinato. Adesso mi sono laureato tre giorni fa alla fine dei corsi e ancora non si sa chi firmerà i diplomi perché il ministro della Difesa non c'è, licenziato, cacciato, scomparso. E' un caos. Tutti quelli che sono vicini al potere in Russia sono macchiati dalla corruzione. Anche l'esercito è corrotto, ma anche qui i ladri sono ai vertici. Allora penso che dobbiamo dare battaglia, usare tutto il nostro apparato della forza. E usare metodi crudeli, sì, crudeli, quelli che ho visto applicare nel Caucaso dove la gente ha paura del castigo e non è indifferente come a Mosca, dove quando vedono uno aggredito per strada tirano dritto». Il maggiore sornione, i baffetti biondi ben curati, punta su Lebed: «Ho fatto l'Accademia qui a Frunze con lui e vi dico che non riusciranno a prenderlo in giro, non farà la fine di Rutskoi. Lebed ha visto il sangue, ha fatto la guerra vera, non è legato a mafie, gruppi di potere, bande di politici che guardano il mondo solo dalle finestre del Cremlino. Non ha avuto il tempo di corrompersi. Ha tutto quello che serve a un Presidente oggi: volontà di ferro, capacità di prevedere il futuro, grinta, disciplina». Ma se Lebed è una cartina al tornasole, allora i colori non sono tutti uguali. C'è chi è prudente, o addirittura ostile. Ma anche questi ufficiali non approdano alla disillusione e al cinismo; pensano piuttosto che l'esercito dovrebbe tenersi fuori dalla politica, non togliersi l'uniforme e le medaglie come ha fatto Lebed, essere pronto a giocare intatte le sue carte. Sono quelli che non vogliono avere nulla a che fare con il secondo esercito di Russia, quello del ministero dell'Interno e del nuovo Kgb, i pretoriani che Eltsin ama e paga senza avarizia per combattere eventuali, nuove guerre interne. Lo spiega un colonnello: «La carriera di Lebed è già finita. Vedrete che nei corridoi del Cremlino lo faranno a pezzi, lo metteranno in un angolo e lo lasceranno lì inerte e im¬ potente. Non basta la buona volontà, decisive sono le condizioni in cui devi operare, come in battaglia. L'esercito è in crisi, c'è una divisione tra ufficiali e truppe. E' come nella società, la colpa è dei soldi che non ci sono, della miseria. 1 giornali dicono che siamo dei nostalgici. Sciocchezze. Sappiamo riflettore, non dimentichiamo che cosa era anche il passato. Il presidente che vorrei? Uno che ragioni, intelligente, capace di prendere decisioni valide per tutta la società. Se non ha la divisa, pazienza». L'Accademia aeronautica Zhukovsky è mi capriccio uscito dalla fantasia di orafi settecenteschi, un palazzo dove si rifugiò Napoleone per guardare Mosca in fiamme. Da questi saloni è uscito Gagarin e la rabbia di questi due capitani: «Quella di Lebed è una poltrona scomoda, puoi far carriera ma anche bruciarti in fretta. Una cosa è certa, non diventerà una replica di Rutskoi. Quello che odiamo è questa nuova Russia di banditi che hanno fatto fortuna. Forse in un Paese come il nostro non c'era altro modo clic questo per diventare ricchi, neppure se uno è un genio dell'imprenditoria. Quando li vediamo passare ci prudono le mani, ci viene voglia di sparare». Il generale Michail Titov, ex vicecomandante dello stato maggiore del Patto di Varsavia, non porta più uniformi, adesso combatte battaglie alla Duma sotto le bandiere del nazionalismo neocomunista. «L'esercito come monolito non esiste più, ci sono solo dei resti male armati, male addestrati, mal equipaggiati, senza cibo. Per rimetterlo in piedi ci occorreranno almeno dieci anni. La colpa è di Gorbaciov e di Eltsin e dei generali che loro hanno messo al comando, che non sapevano guidare neppure una parata ma erano bravi ad arricchirsi, ad accumulare milioni. Hanno fatto un grosso piacere agli americani che glielo avevano chiesto. Mi risponda: un politico che in America avesse fatto quello che ha fatto Eltsin non l'avrebbero forse fucilato?». Il generale Titov ha poche speranze: «Golpe, insurrezione? E' impossibile perché l'esercito russo è stato modellato per 70 anni sulla fedeltà ferrea e totale ai dirigenti. E' un'inerzia, una sorta di pilota automatico. Lo sappiamo bene, siamo noi comunisti che l'abbiamo forgiato così». Domenico Quirico All'Accademia dello Stato Maggiore russo dove si forma l'elite militare: «Dobbiamo battere la corruzione, anche con la forza» Un drappello di militari russi marcia davanti al Cremlino

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