E l'Era dei PRETI in TV di Simonetta Robiony

LA STAMPA Storie fìtte di sacerdoti e di suore in onda alla Mediaset E Capitani gira sette puntate su un religioso da strada E l'Era dei PRETI ROMA. Botta di clericalismo sulle reti Fininvest, oggi non più Biscione ma Mediaset che è più chic e si può perfino collocare in borsa. Sarà l'avvento del Giubileo prossimo-venturo? Mah. Non più di un mese fa è andato in onda «Padre papà», con Maria Grazia Cucinotta donna del prete Antonio Sabato jr. In autunno, poi, sarà la volta delle suore, tante suore, nelle sei puntate sei tutte da ridere di «Dio vede e provvede» con Angela Finocchiaro, prostituta nascosta in un convento, alla quale, in sogno, capita perfino di sposare il boss pentito Remo Girone, mentre il sacerdote rock Fiorello, dopo il fatidico sì, espolde in una delle sue demenziali cantate. E per la primavera prossima sono in arrivo le sette puntate firmate da Giorgio Capitani di «Un prete da strada», commedia di vita e altro, con Massimo Dapporto nei panni di un sacerdote sospeso tra esegesi biblica e tragedie carcerarie. Dapporto è stato l'eroe protagonista vestendo i panni di un medico di «Amico mio», unico caso di sceneggiato riproposto il giorno dopo a furor di Auditel. Giorgio Capitani è l'autore di film tv come «E non se ne vogliono andare» con la coppia Turi Ferro-Virna Lisi, «Un cane sciolto» con Sergio Castellitto nel ruolo del magistrato scomodo, e infine «11 maresciallo Rocca», sedici milioni di spettatori incollati al video nell'ultima puntata e a Capitani la tessera di socio benemerito dell'Arma dei carabinieri. Un successo annunciato, questo di «Un prète da strada», anche se le riprese non sono ancora cominciate, il cast non è chiuso e i sopralluoghi sono tuttora in corso. Giorgio Capitani, a settembre cinquarit'anni di regia, è un signore garbato e colto, capace di mettere nelle sue commedie leggere garbo e cultura. Riflette. Ma come si costruisce a tavolino un film-tv che fa impennare gli indici d'ascolto? «Un successo è sempre una sopresa. E poi se la sconfitta nasce orfana, la vittoria è figlia di cento padri. Sono una serie di circostanze a trasformare un buon film televisivo in ima caso da collocare nella piccola storia della televisione». Anche lei è convinto che la prima cosa sia il copione? «Sì, solo che, a differenza degli americani, non credo alle storie. E' già stato raccontato tutto, ormai. E poi se uno ha proprio voglia di raccontare qualcosa, niente è mèglio che scrivere un libro. Io ne avevo in mente una di navi e di mari, nessuno ci voleva fare sopra un film, ne ho fatto un libro, "La fine dell'avventura", e me l'hanno pure pubblicato. No, non c'è storia per quanto forte che sia capace di catturare l'attenzione della gente». Allora cosa conta in un copione? «Per me rimportante è il carattere del protagonista». Perché, come deve essere? «Deve esser tormentato da un conflitto interiore. Sempre. Se no, non regge. Questo mio prete, per esempio, è imo studioso di testi sacri, uno che ha trovato serenità e ritmo nelle stanze ombrose e mute della biblioteca vaticana ma che all'improvviso, senza una ragione plausibile, quasi a dispetto, viene spedito in una parrocchia popolare a ricoprire il ruolo di cappellano delle carceri. E lo fa contro voglia». Niente eroismi, quindi? «Gli eroismi non piacciono al pubblico. Il pubblico ha bisogno di umanità. Ce l'aveva, umanità. Credo che questo prete ce l'avrà. E poi Massimo Dapporto è un attore con una interiorità: sono sicuro che sarà capace di esprimere quella voglia di essere qua e di essere pure altrove che sta dentro tanti di noi». Girare per la tv è diverso che girare per il cinema? «Per me è uguale. Solo che la televisione ha gratificato di più il mio ego regalandomi la popolarità». Come ci è arrivato? «Per caso. Avevo già fatto tante co- se al cinema ma sentivo che stavo diventando ripetitivo. Mi hanno proposto di lavorare in tv e ho accettato». Ripetersi l'annoia? «Soffro di claustrofobia creativa. Il bello del nostro mestiere è cambiare. Una volta occuparsi di un magistrato, una volta di un maresciallo dei carabinieri, un'altra volta di un prete. Per questo penso che non girerò mai il seguito di "Rocca": non mi incuriosisce. E la curiosità è il sale per non invecchiare». Non la stanca la prospettiva di cominciare adesso, col caldo, a Viterbo, le riprese di sette puntate? «Cerco di pensarci. Cerco di ricordarmi perché ho voluto fare questo mestiere». Chi l'ha spinta? «Mia nonna. Quando ho visto "La grande illusione" di Renoir sono uscito annunciando che avrei fatto il regista. E continuo». Simonetta Robiony LA STAMPA a Mediaset da strada ei I ii hi Fiorello A destra: Giorgio Capitani, regista di tanti successi

Luoghi citati: Roma, Viterbo