Il «compagno» è un fantasma

Le allegorie politiche di Pizzinato Le allegorie politiche di Pizzinato Il «compagno» è un fantasma N—TI PASSARIANO ON credo proprio che Sanguineti, parlando in Elogio dell'anarchia al convegno I torinese del 23 maggio di «realismo allegorico» come forma di un «progetto d'arte» che «può farsi figura di un progetto di società», avesse nella mente e negli occhi i sette metri quadrati di Un fantasma percorre l'Europa di Pizzinato. Le sue radici e amori culturali, esplicitamente richiamati, sono sul versante di Dada e Surrealismo «al servizio della rivoluzione», quindi ben lontani in forma e spirito da questo clamoroso, avvampante comizio pittorico che forma trittico con Terra non guerra e Bracciante ucciso (bicicletta a terra, siepe di pugni chiusi; la Vanoni che canta Fo e Carpi) ed è lo snodo centrale della vastissima antologica, fino al 28 luglio, nella Villa Manin. Sta di fatto che quel concetto di realismo allegorico, quell'idea di progetto di arte come progetto di società si incarnano nel modo migliore in questa grande tela, nella sua generosa retorica che dava forma alla poesia di Rafael Alberti («Un fantasma percorre l'Europa, il mondo. Noi lo chiamiamo compagno») con un linguaggio futuristacostruttivista che lo stesso autore dichiarava debitore di Majakovskij. Ma proprio per questo coraggio libertario dell'allegoria, per questa visualizzazione dell'ideologia attraverso modelli visivi «forti», non regressivi - il montaggio delle immagini di Eisenstein, il realismo rivoluzionario dell'unico pittore «realista» sovietico di grande respiro, Dejneka - il gran quadro di Pizzinato alla Biennale del 1950 salvava le ragioni della pittura, la qualità rivoluzionaria dell'immediato dopoguerra nel Fronte Nuovo, nei confronti della greve ortodossia togliattiana e zhdanoviana dell'Occupazione delle terre di Guttuso, nella seconda versione dopo i fulmini di Togliatti contro l'arte «antipopolare». Marco Goldin, curatore della mostra e autore della poderosa monografia-catalogo Electa, reca l'impronta generazionale nel rivendicare, con piena ragione e giustizia, la qualità di valori pittorici ed emozionali di Pizzinato a confronto con la minorità di fortuna critica rispetto agli altri maestri paralleli - innanzitutto gli altri due moschettieri veneziani, Vedova e Santomaso -, mettendo in sottordine l'annoso dibattito sul realismo. E certo, i quarant'anni di attesa ricordati da Luigi Berlinguer la notte della vittoria dell'Ulivo pesano, eccome. Probabilmente oggi quel trittico, apparizione violenta e anarchica dopo il salotto napoleonico in memoria della firma di Campoformi- «Amanti» (part olare) del 1972 do, parla ancora a gran voce a Cossutta, ma credo sussurri a Veltroni solo nostalgie arcaiche, vecchi graffiti di Botteghe Oscure. Ma la pittura vive, dà ragione a Pizzinato rispetto al Guttuso di quegli anni «sdraiato sulla linea». La completezza della mostra ne offre ampia ragione, con il goduto amore di espressione pittorica ricca e calorosa degli Anni 30, fra delicatezze chiariste, omaggi a De Pisis, arrossamenti romani, fino alla drammatizzazione della crisi espressionista dei primi Anni 40, con una magmatica urgenza che impasta Picasso con Rouault e gli espressionisti tedeschi, primi segni dell'incontro con Vedova. Si affaccia in mostra (non nella monografia) la testimonianza del Partigiano torturato, datato (certo a posteriori) 1943, che la memoria torinese collega alla vittoria «scandalosa» nel Premio Torino del 1947. Subito dopo, le cupezze espressionistiche-neopicassiane, comuni ai «compagni di strada» del Fronte Nuovo delle Arti, lasciano il campo in Pizzinato - unico parallelo, a Roma, Turcato - alla stupenda stagione di fendenti angolari e circolari di dominante rossa e gialla, poi anche verde cupo e azzurro, fra neofuturismo appena riscoperto versante Balla, proprio come Turcato - e costruttivismo protosovietico, di fabbrica e cantiere navale. Questa esperienza salverà l'essenziale struttura di valori pittorici, la pulsazione espressiva anche negli Anni 50 realisti. E' la forza strutturale a conferire la dignità dell'antico ai cartoni per gli affreschi nel Palazzo della Provincia di Parma, con i vecchi compagni che portavano al pittore quarantenne le fotografie di Picelli, il difensore dell'Oltretorrente di Parma nel 1922 contro le squadracce di Balbo. Nei primi Anni 60, sarà ancora la pittura, recuperata come emozione naturale, a far uscire Pizzinato, uomo di profondi istinti e passioni, dal dramma della scomparsa della prima moglie Zaira: lui stesso ha voluto come introduzione della mostra tre dipinti della serie II giardino di Zaira del 1963. Da allora ad oggi, è tutta una lunga riflessione di pittura liberata, nello stesso tempo ridente e drammatica, aerea e serrata come un dinamismo di macchina e di cantiere, sulle strutture a fendenti degli ultimi Anni 40. La natura, i gabbiani, il mare, i boschi di Abramtsevo volano alti e lontani dai Comitati Centrali. Tuttavia, periodicamente negli anni, il compagno Pizzinato canta ancora i suoi canti rossi, sventola i suoi Ottobri; fantasmi per davvero, che ormai vivono solo nella sua pittura. Marco Rosei «Amanti» (particolare) del 1972

Luoghi citati: Europa, Parma, Roma, Torino