BELLOCCHIO E liberaci dal padre

BELLOCCHIO Incontro con il regista che gira «Il principe di Homburg», da Heinrich von Kleist: amore, morte e potere BELLOCCHIO E liberaci dal padre NROMA EL nuovo film che sta girando, Marco Bellocchio vede come il ritratto d'un eroe romantico, come un esempio dello scontro mortale tra padre e figlio, tra autorità e libertà, Il principe di Homburg, l'opera teatrale cruciale di Heinrich von Kleist, l'ultimo suo dramma, il più bello e perfetto. Lo scrittore tedesco lo completò a trentaquattro anni, nel giugno 1811, e ne mandò il manoscritto in omaggio alla principessa Marianna, discendente dell'eroe della tragedia, sperando compensi e vantaggi che non arrivarono. La delusione si sommò ad altre angosce, politiche (l'alleanza del re di Prussia con Napoleone), famigliari (il disprezzo dei suoi), artistiche. Qualche mese dopo, la sera del 20 novembre 1811, insieme con l'amica Henriette Vogel, Kleist si fece portare in carrozza sulla riva del Wannsee, vicino a Berlino. Scesero in una locanda, cenarono allegramente, bevvero il caffè, poi si ritirarono nelle loro stanze a scrivere lettere e dormire. La mattina dopo pagarono il conto, consegnarono le lettere perché venissero spedite, fecero colazione, camminarono sino alle vicine rive del laghetto. Nella ricostruzione di Italo Alighiero Chiusano: «Si odono due colpi di pistola. Vengono trovati morti l'uno accanto all'altra. Kleist ha sparato a Henriette dritto al cuore, poi ha ucciso se stesso tirandosi una pallottola in bocca. Vengono sepolti sul posto». Dovevano passare dieci anni prima che II principe di Homburg venisse stampato, andasse in scena a Vienna e a Dresda, dando inizio alla gloria postuma di Kleist. Nella sintesi (ancora di Chiusano) è il dramma del giovane principe che sconfigge il nemico svedese nella battaglia di Fahrbellin nel 1675, attaccandolo nonostante l'ordine contrario del suo sovrano, il Grande Elettore del Brandeburgo; per quella disobbedienza il sovrano lo fa processare e condannare a morte; il principe, preso da repentino terrore, chiede pietà; il sovrano lascia che sia lui stesso a decidere la propria sorte; quando il principe accetta la necessità dell'obbedienza e si dichiara pronto a morire, il sovrano non soltanto lo perdona, ma gli dà in sposa la propria nipote Natalia che si era battuta per la vita di lui. Tra Sutri, Cinecittà e la Bulgaria, Marco Bellocchio gira un film di ventenni: il protagonista Andrea Di Stefano ha ventitré anni e Barbora Bobulova, attrice slovacca che interpreta Natalia, ne ha ventidue; ha ventidue anni pure il produttore Giorgio Bellocchio, figlio del regista, mentre coproduttore è l'Istituto Luce. A cinquantotto anni, pure Bellocchio pare un ragazzo per sempre, pronto ogni giorno a ricominciare la vita: ha una nuova compagna e una figlia di sei mesi, non ha perduto la passione e la curiosità senza stanchezze, i dubbi e l'amore per l'avventura intellettuale della giovinezza. Perché ha scelto «Il principe di Homburg»? «Può sembrare un'opera fuori da ogni interesse d'attualità, ma è un percorso dell'anima, un discorso di identità, di confronto con l'autorità, di conflitto sovrano-principe e quindi padre-figlio. Io mi sono sempre battuto, e mi batterò sino alla morte, perché ogni uomo si liberi del padre e si separi dal padre, naturalmente senza uccisioni materiali e senza conservare un odio che non consente l'autonomia: la mia visione del dramma di Kleist è perciò particolare, personale. Il principe ha un rapporto speciale con la realtà visibile e invisibile, è un sonnambulo, è un idealista che lotta per grandi fini, la vittoria sul campo di battaglia, la patria, l'amore della principessa. Quando il sovrano lo condanna, volendo rispettare alla lettera la legge e rendendone assoluta l'applicazione delle formule, lo uccide nell'anima. L'immagine interna del principe si frantuma, la sua identità viene meno, è accecato dal terrore, si ribella, dimostra fragi- lità, vuole vivere ed esprime tutto questo con i modi della viltà. Il lieto fine del dramma (con il principe a cui viene risparmiata la vita, restituita la dignità sociale, data in moglie la principessa amata) per me non è una vittoria ma una sconfitta: ha riconosciuto giusta la propria morte, ha accettato la legge del padre, ha chinato la testa, s'è integrato, e soltanto per questo viene perdonato». Vede un legame tra «Il principe di Homburg» e il destino, il suicidio di Kleist? «Vedo contraddizioni, misteri. Forse è proprio un'opera come questa, dall'apparente lieto fine, a esprimere il desiderio profondo di Kleist di fare un estremo tentativo di rapporto con la vita e con il mondo, di rivendicare la propria qualità di artista. Vedo personalmente un gran fascino nel sonnambulismo del personaggio, uno stato di sonno e insieme di veglia, una condizione doppia che a me interessa: è appassionante lavorare sull'invisibile, sull'inconscio, su una materia non logica. Vedo il testo di Kleist come diviso in due: prima lo splendido eroe che, disarmato dal sovrano, si spezza; poi la seconda parte è come la rappresentazione disperata d'un ripudio di sé, d'u¬ na rinuncia, d'una sottomissione». Il film è fedele o infedele al testo? «Il testo è ambientato nel Seicento durante la guerra dei Trent'anni, in Germania, nel Brandeburgo, vicino a Potsdam. Il film è collocato invece all'inizio dell'Ottocento, nel tempo in cui Kleist scrisse II principe di Homburg: per stabilire un rapporto diretto con il Romanticismo, per tentare uno stile visuale alla maniera di certi quadri di David. Il luogo resta abbastanza indefinito, anche se permangono il contesto militare, la rigidità delle uniformi e delle gerarchie. Ho apportato al testo alcuni tagli, riduzioni soprattutto delle parti che incorniciano la figura e la vicenda dell'eroe: anche la macchina da presa è tendenzialmente ravvicinata al personaggio. E' un film molto notturno: il racconto di un'anima...». Non è la prima volta che lei gira un film da un testo teatrale: è una predilezione, una comodità, una pausa? «Sicuramente non sono lavori che ho fatto tanto per lavorare, in attesa di tempi migliori, né per facilità né con l'idea che fossero bene accetti alle televisioni: io cerco sempre provocazioni personali forti, quei testi mi hanno affascinato per ragioni che ri¬ guardano la mia vita, la mia esperienza. Nel Gabbiano di Cechov c'è il contatto con il mondo famigliare, provinciale, il legame con la madre e con la campagna. In Enrico IV di Pirandello c'è un personaggio che ha capito la banalità, la violenza del mondo, e decide di separarsene usando la maschera della follia; c'è un discorso sulla incomunicabilità e sulla quasi-impossibilità dei rapporti umani. Nel Principe di Homburg, come ho detto, ci sono l'idea romantica che cerca di muoversi nel mondo dell'inconscio, il conflitto con il sovranopadre». Adesso si moltiplicano ovunque film tratti da romanzi ottocenteschi. In Italia, i Taviani hanno affrontato Goethe con «Le affinità elettive», lei affronta Kleist con «Il principe di Homburg». Si è chiesto come mai, perché? «Me lo sono chiesto e non ho trovato risposte. Non saprei dire perché si facciano tanti film in costume, e certo la frequentazione della cultura tedesca alta non appartiene alla tradizione italiana. I film miei sono scommesse senz'altro bizzarre, mai fatti commerciali. Anche se La marchesa von 0..., film ricavato da Eric Rohmer dal racconto di Kleist, è stato un gran successo intemazionale, Kleist rimane uno di quegli autori assolutamente geniali e originali che non hanno però una comunicazione popolare, e da II principe di Homburg esiste già un film italiano diretto nel 1984 da Gabriele Lavia, che aveva messo in scena e recitato il testo a teatro: io non sono mosso dalla logica né dall'opportunità, le mie sono ragioni del cuore, dell'animo, del sentimento». Lietta Tornabuoni «Dov'è l'attualità? E' nel conflitto fra il sovrano e l'erede, in un lungo percorso dell'anima» Dal Goethe dei fratelli Taviani al ritratto dell'eroe romantico, il grande ritomo del film in costume ^^^^^^^^ Qui accanto. Marco Bellocchio con Andrea Di Stefano. Nella foto grande: Barbora Bobulova. A destra, dall'alto: la Bobulova con Toni BertoreHi, e l'attrice con Di Stefano