La presa di Ceppaloni

BLPALAZZO BLPALAZZO La presa di Ceppaloni ERTO, tra i vari eventi della vita pubblica, «la presa di Ceppaloni», cioè la recente conquista elettorale da parte dell'Ulivo del paese sannita noto per aver dato i natali a Clemente Mastella, può sembrare insignificante. Può sembrare, appunto. E non solo, o non tanto, perché fino all'altroieri quella micro-signoria risultava così fantasticamente e insieme così scientificamente salda da aver reso le elezioni una pura formalità, con i cittadini costretti a scegliere tra la lista del sindaco Mastella (13 seggi) e quella dell'ex ministro socialdemocratico Pacchiano, alleato di Mastella (che si beccava i restanti sette consiglieri comunali). No, oltre ad aver fatto saltare quel congegno di spartizione perfetta, quella specie di mini-democrazia bloccata, l'incruenta espugnazione di «Mastellonia» segnala soprattutto il rischio che si estinguano le piccole patrie della Prima Repubblica, i natii borghi selvaggi di una classe dirigente che a quei piccoli universi baciati dalla fortuna era rimasta attaccatissima, fino alla più totale identificazione in pensieri, parole, opere e omissioni. Con le vittorie dell'Ulivo al Sud, e ancora di più della Lega nell'ex Veneto bianco, si moltiplicano le località esposte al pericolo di tornare nell'anonimato insieme con i loro ras sconfitti o dimenticati. Nell'indifferenza, d'altra parte, con la vittoria del pds, già lo scorso anno s'era spento il mito di «Gaspar City», al secolo Gissi, per almeno tre fertilissimi decenni minuscolo principato abruzzese di don Remo Gaspari. Qui la leggenda del potere simbiotico si colorava di fabbriche e ospedali distribuiti a tutto spiano, ma il «colosso di Gissi» venne pure raffigurato mentre andava a passeggio per il paese in vestaglia; o come una divinità che scendeva dal cielo sul campo sportivo interrompendo la partita di calcio; o addirittura come un satrapo crudele che si divertiva a lanciare per scherzo il suo boxer, a nome Ursus, su I lane I boxe inermi cittadini che però lo votavano lo stesso. Ai giornalisti, in effetti, è sempre piaciuto enfatizzare oltre il necessario questa dimensione capricciosa e feudale del comando. E tuttavia è pure vero che una volta a casa loro, e perciò ritenendosi erroneamente al riparo dalla stampa più occhiuta e molesta, spesso i potenti davano davvero il peggio di sé. La «ceppaloneide» non faceva eccezione. E così, pur non essendo minimamente paragonabile alle magnificenze demitiane di Nusco, che ancora resiste con le sue complicatissime saghe familiari (i vari fratelli, il nipote ribelle, il cugino dissidente) e risonanze perfino letterarie («Cristo s'è fermato a Eboli, ma Ciriaco l'ha preso per mano e gli ha dato una strappo fino a qui»), sulla grandeur mastelliana s'è comunque accumulata una vasta pubblicistica a base di strade (la «Masteìlese», appunto), erogazioni-turbo, piscine a forma di conchiglia, concerti di Baglioni, minuti di tg e crack di Casse rurali donde l'inevitabile «Ceppalonigate». A parziale giustificazione c'è pure da dire che lì Mastella c'era nato, e lì, in fondo, s'è fatto eleggere fino a ieri. Mentre per puro interesse, in quegli stessi anni, Ciarrapico s'atteggiava a reuccio di Fiuggi; o per dissennata civetteria Craxi e i suoi facevano ottenere fondi speciali a Radicofani, patria di Ghino di Tacco, non senza poi acquistare in loco ville e casali. A Montenero di Bisaccia, intanto, chiedono l'aeroporto e il campo da golf. Il ministro Di Pietro per ora fa finta di niente. Filippo Ceciarelli Bili |

Luoghi citati: Ceppaloni, Eboli, Fiuggi, Gissi, Montenero Di Bisaccia, Nusco, Radicofani, Veneto