Sotto un diluvio di schegge di Gabriele Romagnoli

Sotto un diluvio di schegge Sotto un diluvio di schegge ■ Lo scoppio sventra migliaia di finestre L'INCUBO SULLA CITTA' OMANCHESTER UANDO il gioco sarà finito, la gioia e la delusione saranno ricordi scaduti, il mondo assomiglierà a quell'incubo triste che è adesso il centro di Manchester. E' sabato pomeriggio, dovrebbe esserci la vita, dentro: gente che assalta lo shopping center e conquista sporte di. cose, ragazzi inglesi in festa per là wttoria sulla Scozia, tifosi tedéschi in giro aspettando la partita, con-la Russia. Non c'è niente. Un inondo senza voce e anima, abitato soltanto dalla paura. Due chilometri quadrati recintati da una striscia di plastica bianca e blu. All'interno, palazzi vuoti e feriti: il centro commerciale, la chiesa cattolica} ijiegozi, la stazione, il municipio. Strade lastricate da schegge di vetro che brillano nella luce del pomeriggio. Elicotteri che ti fanno alzare lo sguardo, sirene che ti fanno girare il capo. Cerchi un segno di vita, ma gli unici che trovi sono figure di uomini vestiti di nero con casacche gialle fosforescenti che entrano ed escono dai buchi della città fantasma per cercare altre bombe, per dirci se può finire la paura e ricominciare il gioco. Eravamo venuti per raccontare la felicità di uomini azzurri che mettono la palla in rete, a cercare di trasmettervi la magica emozione dell'orchestra del tifo arancione, vi spediamo un'altra cartolina nera. Saluti da Manchester, con dolore. Il gioco finisce alle dieci di sabato 15 giugno, settantesimo compleanno della regina d'Inghilterra. Una voce con accento irlandese telefona alla redazione di Manchester di Sky Tv e annuncia: «Abbiamo parcheggiato in centro un veicolo con una bomba a bordo». Aggiunge il codice che permette alla polizia di capire che la minaccia è autentica e la firma è inequivocabile: Ira. Dalla televisione l'allarme viene rilanciato alla polizia. Venti minuti e scatta l'emergenza. Il sovrintendente Peter Harris conduce duecento agenti nella zona a rischio. L'ordine è: svuotare il centro, velocemente, ma senza creare panico. Il tempo a disposizione è poco, pochissimo, sempre meno. Un'ora, forse qualche minuto in meno. Gli altoparlanti dei centri commerciali smettono di diffondere musichette e offerte speciali e invi- tano a raggiungere l'uscita «senza fretta, ma subito, è un'emergenza, dobbiamo chiudere». Ci sono due ragazzi italiani, da Marks & Spencer. Uno si chiama Costantino Zuccarini, ha trent'anni e giocava nella Roma, sei anni con Di Livio, poi quello ha la maglia dell'Italia agli Europei e questo è venuto a fare il tifo. L'altro si chiama Fabio Prosdomo, ha ventisette anni e giocava nella Lazio. Sentono l'annuncio, ma non capiscono l'inglese. Poi arrivano le sirene antincendio, vedono le serrande abbassarsi, intuiscono che c'è pericolo, escono. Uomini in divisa mettono transenne ovunque, la folla viene spinta fuori dal centro. Costantino e Fabio si accodano, ma non sanno dove andare, via da qui, comunque, via dal pericolo. Raggiungono la stazione. Dall'atrio vedono i furgoni della polizia scaricare uomini armati di strani strumenti. Sono gli artificieri con i metal detector. Vettura per vettura, in cerca di un suono rivelatore, un bip che salvi Manchester. La caccia è cominciata. Il tempo, agli sgoccioli. Peter Harris ascolta il campanile della chiesa di Manchester che batte le undici e si dispera. Decine di persone sono accalcate nella stazione, altre decine nello spiazzo oltre Albert Square, ma centinaia sono ancora dentro il cerchio della morte, chiuse nello spogliatoio di un negozio con una gonna nuova da provare, al tavolo di un pub con una birra da finire. C'è una donna all'ottavo mese di gravidanza che sta cercando di lasciare la zona a rischio, ma cammina lenta, con il peso della vita dentro di sé e le lancette dell'orologio la sorpassano facilmente, avanti: le undici e un quarto. Gli artificieri sono davanti all'Arndale Center, il più grande centro commerciale di Manchester, il formicaio del sabato. Puntano un grosso furgone parcheggiato all'angolo. Stanno per avvicinarsi. Dovrebbe esserci ancora tempo, ancora la pietà di qualche minuto. Invece no. Ore 11 e 17: nel furgone esplode la bomba. Il boato viaggia fino a tre chilometri di distanza. La colonna di fumo nero che si alza resterà visibile a lungo da qualsiasi punto di Manchester. Nell'atrio della Victoria Station Costantino e Fabio, in fila per avere un biglietto per Chester, sentono lo scoppio, guardano su e vedono la cupola di vetro andare in pezzi, ancora un attimo per assicurarsi che il cielo sia rimasto integro, poi giù la testa, le mani sopra, per proteggersi dal temporale di schegge. Lungo Cross Street la donna con la vita dentro viene presa in braccio dal soffio dell'esplosione, sollevata dalla terra, strappata per un istante a un doppio futuro e risbattuta sull'asfalto. Su di lei, una caritatevole pioggia di vetro che non le fa altro male, la lascia lì, ferita, ma ancora viva e con il suo piccolo che ha ancora tutto davanti a sé. Altrove, nelle strade che si stavano vuotando, uomini, donne e bambini vengono sgambettati nella loro corsa, percossi dal selciato e graffiati dai vetri. Accorrono le ambulanze. Brian Johnson coordina il lavoro dei soccorsi. Una bambina con il braccio rotto: «Al North Manchester Hospital». Una donna con il volto coperto di sangue e una lesione profonda nel collo: «AU'Hope Hospital», l'ospedale della speranza. I feriti sembrano una cinquantina. Allertati tre ospedali. Poi diventano più di duecento. E gli ospedali sei. Dopo le prime cure, raccontano ai cronisti. Un uomo con il collo fasciato: «Ho sentito il boato e ho capito subito che era una bomba, poi c'è stata questa pioggia bianca di vetri che mi ha tagliato». Una donna con la figlia che ancora piange: «Credevamo di essere fuori pericolo quando è arrivata la botta, tremava tutto, ho perso la mano della mia bimba, ho pensato: adesso non ci rivediamo più». Un'ora dopo lo scoppio, il centro è il regno del silenzio. Gli artificieri lo battono centimetro per centimetro. Si diffonde la minaccia di altre due bombe, ma non ha fondamento. Viene neutralizzato un pacco sospetto, ma è un falso allarme. Peter Harris e Brian Johnson dicono: «Resteremo qui fino a notte», a presidiare il deserto. Fanno il bilancio della giornata: «Duecentoventisei feriti», «But we were lucky», siamo stati fortunati. «Sì, fortunati, era una bomba preparata per la strage, se non avessimo spinto la gente lontano saremmo qui a contare decine di morti». Invece, ce ne andiamo mettendo in bilancio anche un bambino eh nascerà. Fuori dal centro di .Manchester ci saluta un cartel.one della Nike dove due calciatori si guardano storto e la scritta dice: «L'amicizia finisce nel giugno '96». Gabriele Romagnoli Gli altoparlanti: «Uscite tutti, avete pochi minuti per mettervi in salvo» Il boato, le grida, l'urlo delle sirene. Poi la colonna di fumo nero sul centro

Persone citate: Albert Square, Brian Johnson, Cross, Di Livio, Fabio Prosdomo, Marks, Peter Harris