MIRACOLO A NORD-EST

MIRACOLO A NORD-EST MIRACOLO A NORD-EST Scarpe, sedie, vini, jeans e confessionali insonorizzati: gli imprenditori veneti, una miniera di lavoro e di soldi ARE soldi, per fare soldi, per fare soldi: se esistono altre prospettive, chiedo scusa, non le ho viste». La doppia reiterazione con cui si apriva nel 1962 il reportage di Giorgio Bocca tra i calzaturieri di Vigevano protagonisti del primo Miracolo all'italiana, è divenuta citazione classica, quasi obbligata, nel genere del reportage giornalistico insieme sociale, politico, di costume così raro eppure così ricercato nel nostro Paese. «Schei, schei, schei», scrive allora sulla prima pagina della sua splendida inchiesta dentro il Nord-Est arricchito e arrabbiato Gian Antonio Stella, inviato di razza del Corriere della sera. E appena voltata pagina, eccola tornare, la doppia reiterazione: «Lavoro, lavoro, lavoro. Non c'è forse posto al mondo dove oggi si sgobbi come nel cosiddetto Triveneto». Mica finisce qui. «Lavoro e soldi, lavoro e soldi, lavoro e soldi» (pag. 56); «Sgobbare, sgobbare, sgobba- «SCHEI» Dal boom alla rivolta Il mitico Nordest Gian Antonio Stella Baldini & Castoldi pp. 286. L 26.000 A destra, la moneta della Lega Nord Qui sotto Giannola Nonino «Schei», un avvincente (e complice) reportage di Gian Antonio Stella, un viaggio alle radici di una gioiosa ricchezza e delle sue drammatiche, esplosive contraddizioni re» (pag. 98). E ancora potremmo proseguire, ma ormai s'è capito: la stupefatta triplicazione dei concetti non si configura solo come un esplicito e doveroso omaggio al capostipite del reportage all'italiana Bocca (autore peraltro di una introduzione al libro che suona un po' come benedizione al discepolo), ma si rivela infine - questa triplicazione - stringente necessità descrittiva di fronte a un fenomeno sociale che è per l'appunto di moltiplicazione, esasperazione, talvolta ossessione. Non so davvero se potranno riuscire simpatici a chi legge, i veneti descritti da Stella, né mi sentirei di sottoscrivere la definizione del «capitalismo più Lello» qui rivendicata da Giorgio Lago. Ma di certo sbaglierebbe chi li avvertisse come alieni, questi abitanti del Nord-Est, quando invece sono così tipicamente italiani, identici ai calzaturieri di Vigevano o ai mobilieri brianzoli raccontati da Bocca trent'anni fa, ma anche ai conciatori marchigiani o agli orafi valenzani cui nessun libro ancora è stato dedicato. Cos'hanno in comune? Una speciale fantasia nel concepire prodotti e assetti produttivi. Ma i prodotti, prima di tutto. Ciò che rende davvero avvincente il libro di Stella, infatti, è la sua particolare curiosità cronistica nei confronti di una precisa figura sociale: l'imprenditore, miniera italica di racconti avventurosi senza paragone d'interesse possibile se non forse nelle plaghe più insanguinate del Sud. Si sente che Stella gode a raccontarvela questi imprenditori veneti. Il Paolo Lion della Genuflex che fabbrica confessionali insonorizzati o dotati di aria condizionata. Il René Fernando Caovilla, scarparo del Brenta che ghigna al bar del paese dopo aver battezzato le sue calzature da export «Arte bizantina» o «Complicità a Venezia». Il Sandro Lovato, maggior produttore di sedie al mondo, che confida al cronista cosa fa quando si sente giù di corda: «Chiudo gli occhi e mi concentro sul culo degli europei: trecento milioni di culi. Che hanno bisogno, mediamente, di posarsi ogni giorno su otto sedie: in cucina, al bar, in sala da pranzo, in ufficio... Fanno due miliardi e mezzo di sedie con una vita media di dieci anni». Schei dunque è una miniera di racconti individuali ciascuno di per sé più interessante, nella sua apparente ordinaria quotidianità, di molte notizie che riempiono le prime pagine dei giornali. Parlano gli imprenditori, nel libro, non i dipendenti di cui pure viene evocata continuamente la straordinaria alacrità: quasi che alle spalle del racconto si consumasse, come nella realtà, una selezione naturale in seguito alla quale solo una parte degli ex operai, mettendosi in proprio, potrà accedere infine allo status di personaggio. Tutta veneta, poi, è la complicità che Stella instaura con le creature del suo reportage: ce lo vediamo mentre sorseggia prosecco con Renzo Rosso nell'osteria aziendale della Diesel, colosso mondiale dei jeans; emozionarsi assaggiando la grappa di Giannola e Benito Nonino in quel di Percoto; mentre, a pag. 48, addirittura esclama «l'Amarone e il Soave, che Dio li benedica». Dev' essere, Stella, uno di quei veneti che ancora si commuovono se nel corso di un viaggio oltreoceano gli capita d'imbattersi in un Ceolin emigrato negli anni della grande miseria. Ma è proprio questo il punto di forza della ricerca: perfino la complicità instaurata con il territorio che si vuole esplorare nelle sue contraddizioni esplosive (ambientali, culturali, infrastrutturali) e nei limiti evidenti di uno sviluppo che insieme alla ricchezza ha riprodotto disagio e violenza, perfino tale complicità diventa giornalismo, senso di realtà. Per una volta non è necessario chiedere al giornalista una risposta sugli sbocchi politici del ma- VIA CE' UN VIRUS: SERVE IL MEDICO lessere triveneto, anche se nel libro si trovano ovviamente tutti i protagonisti della cronaca di questi giorni, dai leghisti a Cacciari all'antifisco Padovan. Più utile è accoglierne, insieme al piacere del racconto, l'indicazione di metodo: a partire dalla vivacità inusitata del tessuto sociale si può tornare a fare del giornalismo niente affatto periferico o minimalista. Gian Antonio Stella è anche un cronista della politica romana: credo si possa dire che non eserciterebbe altrettanto bene quest'ultimo mestiere senza il retroterra di esperienza sul campo che gli consente di guardare ai Palazzi dall'esterno. Ci sono delle fasi nella vita del Paese in cui la vicenda politica pare concentrarsi tutta dentro il conflitto di vertice, altre in cui per capire il riassetto dei poteri bisogna saper leggere ciò che accade fuori e intorno. Forse il libro di Stella, con quella sua terribile copertina kitsch sbriluccicante d'oro, vien bene a ricordarcelo. Gad Lerner SCHEI» è la storia di una fuga dalla schiavitù alla libertà, una fuga solitaria perché tutti hanno interesse a catturarti e portarti indietro: i vecchi padroni ti rivogliono per impiccarti, i cacciatori di taglie ti inseguono per incassare. Schei è la storia della società veneta dalla miseria alla ricchezza: da ultimi a primi del mondo. Gli ultimi erano schiavi, nel senso letterale: a ricoprire i posti liberati dagli schiavi, i fazenderos americani chiamavano i veneti. I veneti han corso per mezzo secolo per non morire: non avevano un progetto di famiglia, di società, di costituzione, di religione, niente. Sapevano solo che se si fermavano era finita. Non si fermavano neanche se perdevano figli, moglie, parenti, lingua, prete, fede, paesaggio. Ora sono arrivati. Stanno bene. Hanno tutto. Tranne quel che hanno perso correndo. PROFEZIE DA GADDA ANOVENTA DANEE, schei, palanche, insomma soldi, danaro, business. La letteratura registra e fa profezie. Cominciare con Gadda e con i cartoni corrosivi della media borghesia meneghina agli inizi del secolo {L'Adalgisa) o la società dell'ipocrisia nel romanzo centrale La cognizione del dolore: le ville della Brianza come baluardi dell'onorabilità borghese, simboli degradati del prestigio economico e sociale. Da integrare con Le meraviglie d'Italia (Garzanti o Einaudi). Proseguire con Lucio Mastronardi e la sua trilogia vigevanese. Il calzolaio, Il maestro, Il meridionale di Vigevano (Einaudi). Il microcosmo neocapitalistico degli Anni Sessanta, dove la corsa al denaro rende grottesca ogni azione. Andando più a Est, consigliabile La vita eterna di Ferdinando Camon (nei Romanzi della pianura, Garzanti). Una «favola» vera più istruttiva di una parabola evangelica. Altra parabola nei Sillabari di Parise, voce Povertà (Oscar Mondadori). Di rigore infiammarsi all'«inno patriottico» di Noventa (Giacomo Ca' Zorzi da Noventa di Piave) in Versi e poesie a cura di Franco Manfriani, presso Marsilio. S'intitola Soldi, soldi. La corsa al danaro - ubriacatura nazionale - con l'ultima fiondata allo sport più amato dagli italiani a trazione Millionaire: «Fioi de troie, i vostri fioi, / Gavarà il vostro destin». Giovanni Tesio IN PADANIA NOI SCRITTORI SENZA LINGUA Ltife ISTITUZIONE di un'eventuale PaJ dama fa venire i brividi se pensia/ mo alla desolante mancanza di cultura che sembrerebbe connotare . un'operazione del genere. Noi poveJ ri scrittori saremmo costretti a usatA re una lingua straniera, l'italiano. Confesso la mia grande riluttanza a scrivere in dialetto bergamasco (forse avrà i suoi incanti). Ma una lingua esiste allorché sia sostenuta da una letteratura, e finora dei dialetti padani non si sente parlare granché. Lasciamo da parte ovviamente il Porta, e anche il Friuli la cui lingua vanta una letteratura; e allora cosa ci resta? Nel Friuli-Venezia Giulia ci sono stati Giotti e Marin, ma il loro «dialetto» era una lingua nel senso che attribuiamo al dialetto un pensiero corto e limitato e alla lingua l'autentica espressione dell'uomo e delle società umane. Il cambiamento di una comunità avviene se sorretto da una cultura. La Lega di Bossi non ha proprio nulla da offrirci. Allorché vediamo Maroni andare a Trieste, culla della Mitteleuropa dove nel 1915 i facchini del porto parlavano tre lingue, nonché città italianissima, e proclamare: voi siete Padania, proviamo un senso di orrore. Questo piccolo provinciale lombardo che è stato addirittura niinistro degli Interni nella Repubblica Italiana simboleggia ciò che può rivelarsi la Lega. Una confraternita che pratica il razzismo più pericoloso: il razzismo dell'ignoranza. Sergio Maldini La corsa ha avuto tre tappe: l'inferno da cui sono scappati, il paradiso dove si trovano, il posto dove andranno domani. Gian Antonio Stella racconta la seconda tappa, o per meglio dire le vede tutte e tre dalla seconda; la seconda (il paradiso, il miracolo) è la più felice. E riverbera la felicità sulle altre due. E' bello ricordare l'inferno, ora che ne sei fuori. E' bello pensare che si può far tutto, compreso spaccare Stato e nazione: siamo pieni di «schei», «fin che ghe n'è viva il re, se non ghe n'è più in mona anca lu». E' la conclusione del libro. Logica, perché suppone che la «catastrofe» (la rottura dello Stato) sia possibile a tre condizioni: che il boom finisca; che per vendetta il Nord-Est si butti nella rivolta fiscale: che per punizione lo Stato mandi i carabinieri. A quel punto si sai ri chi può. Finché non arriva la catastrofe, dura il miracolo. Il miracolo ha i suoi santi. Stella li descrive: la loro biografia è la manifestazione della «grazia», in senso luterano, vinci dunque Dio è con te. Vinci con facilità, con abbondanza. Stravinci. Perché ti puoi servire di un popolo eccezionale che non ha l'uguale sulla terra: meglio dei tedeschi, meglio dei giapponesi. Il popolo veneto. Il miracolo è frutto di un «ethnos». Perché il miracolo ha un prezzo: il veneto lo paga, gli altri no. Si sente continuamente nel libro il confronto Nord-Sud. Raramente dichiarato, sempre latente. Il successo viene dalla combinazione tra un perfetto animale da lavoro (l'uomo veneto), una tana su misura (la famiglia-azienda), l'habitat ideale (il distretto industriale). Nella visione del nordestino, il veneto produce come un pazzo, il meridionale aspetta che una parte del profitto gli entri in casa col vento dello Stato. Nell'inconscio del Nord, la Questione Settentrionale-Meridionale è una sola, è sta tutta qui. Per avere un miracolo, basta che il miracolante faccia gesti semplicissimi: per fare sedie in Europa basta contare i sederi degli europei, per vendere polli pronti per lo spiedo basta mventare la ghigliottina che li decapita a cento alla volta. La storia veneta di Stella è mia storia gioiosa. Perché Stella è nato col boom in corso, e sente la prima tappa (la fuga dell'inferno) come mitica, l'ultima tappa (la possibile ricaduta nell'inferno) come leggendaria: non resta che il paradiso, il miracolo in atto. Perciò questo è mi romanzo dirompente, divertente, trionfante. Allegro. Di un'allegria leggermente smodata, come di chi balla e si ubriaca per non sentire la malattia che la lunga corsa gli ha lasciato nelle vene. E la malattia sta nel disprezzo di tutto ciò che non produce, religione, sentimento, cultura, natura: più cresce la ricchezza più cala la scuola, si ritirano i figli dalle superiori, dimmuiscono i laureati. Stella trova chi giustifica questo metodo; se tuo figlio può lavorare e guadagnare, tu lo mandi a scuola, sei un coglione. Tutto è calibrato sul denaro. Morte, sesso, malattia, vacanze, nascite, divorzio, matrimonio. Quanto costa, conviene o no. E' un sistema pazzoide, e da questa poderosa ricostruzione di Stella si esce con la convinzione che il sistema non può salvarsi dall'interno. Non più. Il virus lo ha infettato dappertutto e non gli dà tregua. Aspettare che il paziente reagisca vuol dire aspettare che la malattia abbia vinto. E' il medico che deve intervenne. Ferdinando Camon l\ Guide LE VIE DEL MONDO viaggi d'autore e La nuova collana di letterarie del touring fer conoscere mondo attraverso {ili ocelli e la voce dei più autorevoli viaggiatori di tutti i tempi rossinii titoli: Rajaslhan Persia Shanghai Praga Ogni 2 mesi nelle migliori librerie IMI Toiiring Club Italiano