Bologna perde l'Alba

■Iti Dopo il «divorzio» da Bonaga, il sindaco Vitali: lei rimane una di noi Bologna perde l'Alba La città «orfana» della Panetti ■Iti un amore infranto BOLOGNA DAL NOSTRO INVIATO In quella via, a un passo dalla piazza più grande, lei appariva il sabato per far la spesa con un bel frusciar di gonne corte, e le prime volte il verduriere dava di gomito e il padrone del bar andava sulla soglia con la pancia in bellavista e l'occhio lungo. Poi, si parlavano nella via, come si fa a Bologna, perché qui le strade sono larghe come una cinquecento e non c'è bisogno di urlare: «E' quella dello sgabello», diceva uno. Galagol, Telemontecarlo. Era il '91. Stefano Bonaga aveva una maglietta nera, jeans grigio ferro e gli stivaletti, e aveva quel suo modo di parlare senza fermarsi mai arrotando tutte le erre che trovava. Alba Panetti se lo guardava come un dio. «Oh, com'era alta», dice la Bergonzoni Daniela con il tailleurino bagnato di sudore e il radicchio che spunta dalla borsa. Era alta e poi di sinistra, difendeva le donne e l'aborto, raccontava di suo padre operaio e di quando lei sfilava nei cortei «troschisti». Oggi è sabato, e non c'è più l'Alba a far la spesa in via Clavature. La vita. Bologna vince dappertutto, manda il suo Prodi a far il presidente del Consiglio con un piccolo corteo di ministri e sottosegretari, ritorna in serie A con il calcio, spopola con Tomba, spedisce in giro i taxi di Cotabo con lo stemma «Grazie Bologna», regala tutti gli intellettuali di moda al Paese e a qualcuno adesso gli verrà pure in mente di farci un film su questa città che ogni tanto ammalia l'Italia. Poi perde l'Alba, quella dello sgabello, «le cosce della sinistra», come diceva Storace sbavando un po', o quella che telefonava tutte le sere al 208 del Comune perchè doveva dire una cosa a Stefano, «mi scusi tanto sa», quella che diceva di amare i camionisti e i fichi maturi ma che intanto andava alle feste dei ciechi e passava capodanno con i barboni, quella che ripeteva «Bologna non ti lascerò mai» chiacchierando dal terrazzino di via Clavature, in cima ai tetti e sotto alla luna di metallo. Perde l'AJba che chissà se farà ancora capodanno con il Comune e le feste con Lucio Dalla. «Beh, ci dispiace», dice la Bergonzoni. Anche se Sandro Vitali, il sindaco, si mette quasi a ridere: «Ma no, ma no. Ormai lei è bolognese a tutti gli effetti. Resta una di noi, io con lei mantengo rapporti di grande amicizia». Anche se Gianni Martini, il vicepresidente del Bologna calcio, ci scherza sopra: «Noi non ci preoccupiamo più di tanto. Sopravviveremo, no?» Certo, certo. Sopravvive pure Bonaga, che Martini giura di «non averlo visto neanche soffrire troppo». Meno male. Anzi, gli amici adesso ricordano che l'Alba non era neppure la più bella fra le tante che lui aveva conosciuto: «Ne aveva avute di meglio». Beh, gli amici ci mettono sempre una parola buona. Però, è vero, la più orfana alla fine dev'essere proprio Bologna. Questioni di cuore. O di gambe, non sappiamo. Lei disse così una volta: «A Bologna capita la stessa cosa che ti succede a Parigi. Ti senti bene, ti viene voglia di camminare. E a ogni angolo trovi qualcosa di curioso. Poi qui respiri la normalità e il rispetto. Vorrei vivere qui con mio figlio». Anzi, diceva che quasi quasi voleva farne pure un altro, di figlio: bolognese. E' andata, invece. Prima di chiuder la porta, ha lasciato solo un po' di quelle banalità che tirano fuori tutti i fidan¬ zatini del mondo: «E' stata la storia più importante, dio come si soffre a finirla» e altra roba del genere. Molto poco bolognese. Eh, quando arrivò l'Alba, era un'altra cosa. Il primo a parlarne fu il Resto del Carlino. E Stefano Bonaga telefonò tutto arrabbiato al direttore, Marco Leonelli, e cominciò un sermone, e prese a protestare perché non era corretto quello che era stato fatto, e continuò a ripetere: «Questa è una storia che attiene esclusivamente alla mia sfera privata». Leonelli stava quasi sempre zitto e ogni tanto diceva solo «sì, sì, certo, capisco». Poi alla fine, quando Bonaga si era ben sfogato, gli uscì una voce gioiosa: «Ooh, Stefano. Sei forte, tu sei tutti noi. Continua mo' così, guarda che siamo tutti con te». Ciao. Ciao. L'Alba in fondo era un'assicurazione per tutti. Anche per Sgarbi che le rispondeva dicendo: «Mi saluti Bonaga, che le ha scritto questa lettera». Erano i tempi dell'Alba che diventava intellettuale e di Bonaga che finiva nudo sulle riviste. Come Casini, del Cdu. I due bolognesi finiti sui giornali come mamma li ha fatti. Erano i tempi che lei faceva la spesa in via Clavature, passavano ore al bar Rosa Rosae sotto casa, andavano a mangiare da Rodrigo, o all'osteria della Chiesa con Jimmy Villotti, o a casa di Giuseppe Gazzoni Frascara, quello dell'Idroliti- na, presidente del Bologna calcio. Li vedevano qualche volta allo stadio, o nel parquet del basket con Alfredo Cazzola. Bonaga da ragazzino aveva giocato a pallacanestro. Non era alto ma se la ca- vava e i tifosi scandivano in coro: «Fuori Raga, dentro Bonaga». Non abbiamo capito se era per sfottò. Con lui giocava suo fratello Giorgio, che ha il suo stesso modo di camminare, un po' caratteristico: da cow-boy. Ma meno fortuna (o sfortuna) con i mass media. Anche lui, dicono a Bologna, ebbe un flirt con Valeria Golino. Ma non lo seppe quasi nessuno. Un po' come Renzo Cremonini, altro amico di Bonaga, che uscì, raccontano, con la Candice Bergen e per questo l'abbiamo tanto invidiato, anche se erano in pochi a saperlo. E di Bonaga Stefano, invece, s'era parlato di una storia con la Brigliadori. Nessun paparazzo, allora, e tante smentite. E pure se Massimo Osti, stilista della Cp and Company, altro amico di Stefano, esce con Isabella Ferrari, i fotografi non se ne preoccupano. I paparazzi erano spuntati per l'Alba, tutti insieme. Da subito, quando lei stava all'hotel Touring a Miramare di Rimini con mamma e figlioletto e Jerry Cala cercava inutilmente di scavalcare la terrazza, mentre l'Alba passava il tempo al telefono per parlare con Bonaga. L'avrà colpita con le parole, dicono. Come aveva fatto a Cortina, a casa della Marzotto, quando l'aveva conosciuta. Il fascino dell'intellettuale? Edmondo Berselli, direttore del Mulino, Bonaga lo descrive così: «Un intellettuale di sinistra affascinato da Niklas Luhman, sociologo tedesco esperto di teoria dei sistemi, gran consigliere di Kohl e del Cdu. Per Bonaga il principio di classe è un criterio di stile e non di militanza». Prendetela come volete. Bologna, gli intellettuali se li colloca, ma non ci crede mai più di tanto, questa è la verità. E forse anche gli intellettuali non ci credono più di tanto. Meglio il Bonaga che ammalia le donne, magari. Lei, l'Alba, diceva così: «L'uomo di Bologna è bonaccione e quasi ingenuo nel suo maschilismo latente e mammome». Esagerata. Bonaga se la rideva. E il verduriere dava di gomito. Oggi, c'è chi sta un po' male. Niente di grave. Il bello quando finisce un amore è che ne comincia un altro. L'ha detto la Bergonzoni, la Daniela mentre faceva la spesa. E Bologna è curiosa. Sui muri è apparsa una scritta: «Ale Bonaga». Pierangelo Sapegno «La vedevamo tutti i sabati far la spesa nel centro» «Chissà se verrà ancora per la festa di Capodanno in piazza Maggiore» «Ci dispiace ma soprawiveremo Lui? Non ci sembra che abbia sofferto molto» «La vedevamo tutti i sabati far la spesa nel centro» i<A-:-C;5;S: A destra, una veduta di Bologna, la città dove vive Bonaga. Sotto Alba Panetti e Stefano Bonaga