Coiro, 4 ore al Csm per difendersi

Saranno sentiti anche i pm di Mani pulite Greco, Colombo e Boccassini Il procuratore di Roma: dai colleghi di Milano mi aspettavo più disponibilità Coirò, 4 ore al Csm per difendersi // suo «avvocato» era Caselli ROMA. Quattro ore di interrogatorio e Michele Coirò lascia il Palazzo dei Marescialli con qualche speranza in più di aver convinto il Csm che il suo posto è quello di procuratore di Roma, e che lì deve restare. Il numero di coloro che, fino a ieri, erano convinti che si dovesse arrivare al trasferimento d'ufficio per «incompatibilità ambientale» sembra diminuito dopo l'audizione di ieri pomeriggio conclusa da un'«arringa» del procuratore di Palermo Gian Carlo Caselli con la quale 1'«avvocato difensore» di Coirò ha chiesto l'archiviazione della pratica. ((Avviata giustamente - ha detto Caselli ai consiglieri -, ma che adesso non può che chiudersi con l'archiviazione». L'inchiesta però continua. Martedì prossimo la prima commissione del Csm ascolterà il sostituto procuratore milanese Francesco Greco (su richiesta dall'altro pm romano sotto accusa, Misiani) e poi deciderà se interrogare altri protagonisti di questa vicenda: dai pm milanesi Boccassini e Colombo al generale dei carabinieri Federici, al colonnello Cataldi. Coirò comunque non ha chiesto al Csm di compiere ulteriori accertamenti; per lui bastano le risposte date a tutte le domande dei consiglieri sui due «capi d'accusa»: la richiesta fatta un anno fa, con l'ex capo dei gip romani Squillante, al generale Federici di trasferire l'allora maggiore Cataldi, e le presunte «pressioni» al pm milanese Greco per sapere se era il pool di Mani Pulite a intercettare Squillante, dopo il ritrovamento della microspia in un bar frequentato dall'ex giudice. Il punto cruciale dell'inclùesta è proprio la visita a Federici, visto che Coirò - che aveva i suoi motivi per far allontanare Cataldi, ribaditi anche ieri - s'è presentato in compagnia di un magistrato che nel frattempo è stato arrestato per corruzione in un'inchiesta dove compaiono anche atti d'indagine svolti dall'ufficiale dei carabinieri. Perché quella compagnia? C'era per caso una concorrenza di interessi con Squillante? Coirò ha risposto con fermezza: niente di tutto questo, lui di quel carabiniere non si fidava per questioni vecchie e nuove che non avevano a che fare con quelle dell'ex capo dei gip. Non ultime, ha ripetuto, le presunte pressioni che Cataldi avrebbe fatto su un'indagata per i «fondi neri» del Sisde, Rosa Maria Sorrentino, per farle fare «nomi eccellenti» come quelli del pm romano Vinci, dell'ex capo della polizia Parisi e dell'ex ministro dell'Interno Mancino. Una storia vecchia, già venuta fuori nel '93 senza alcun seguito. Quando Squillante seppe che Coirò voleva andare da Federici, s'è difeso il procuratore, chiese di accompagnarlo, e lui non aveva in quel momento motivo per rifiutare. A questo punto, per dirla con un consigliere, il Csm si trova davanti ad un «bivio interpretativo»: se Coirò è credibile, allora non si può procedere ulteriormente contro di lui; se non lo è, la questione resta aperta. Coirò avrebbe anche spiegato al Consiglio, davanti ad alcune contestazioni su un suo interrogatorio fatto ai pm di Pervg'a proprio sull'incontro con Federici, che contraddizioni in realtà non ci sono, come si capirebbe se ci fosse stata la video-registrazione di quell'interrogatorio. Sull'altro «capo d'accusa», le presunte pressioni sul pm Greco, Coirò ha spiegato che non di questo si trattava, bensì di una lamentela per il comportamento del procuratore milanese Borrelli. Io - ha spiegato - mi sono sentito offeso per non essere stato avvisato di quell'inchiesta, perché le regole e le buone abitudini avrebbero richiesto un diverso atteggiamento nei miei confronti da parte di Borrelli. Tutto qui: niente pressioni, nessun tentativo di carpire notizie. Adesso la commissione del Csm dovrà decidere che fare, e l'orientamento sulla conclusione di questa vicenda è ancora confuso: nessuno se la sente di fare previsioni. C'è chi vorrebbe chiudere subito, chi ritiene che si debba andare avanti. Con Coirò che, convinto della propria innocenza, non sembra aver desistito dall'intenzione di dimettersi se la commissione non decidesse di archiviare il caso. Una «spada di Damocle» che pesa sul Consiglio e sui giochi fra le correnti della magistratura, in un clima pesante che a tratti s'è respirato anche ieri nella sala del Csm intitolata a Vittorio Bachelet. Dove ad ascoltare l'autodifesa di Coirò non c'erano solo i sei componenti la commissione, ma quasi l'intero Consiglio. Giovanni Bianconi Saranno sentiti anche i pm di Mani pulite Greco, Colombo e Boccassini Il procuratore di Palermo Caselli (sopra) «difensore» di Coirò (a sinistra)

Luoghi citati: Milano, Roma