«Abbiamo l'Aids toccateci please»

19 Arte-shock in mostra a Londra «Abbiamo l'Aids toccateci, please» LONDRA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Su un tavolino bianco, bene allineate, alcune provette di sangue. Sangue contaminato dall'Hiv, il virus dell'Aids. Di fronte, su un divano nero, un giovanotto con lunghi capelli biondi sorride al fotografo, mentre una ragazza gli s'inginocchia accanto. Sono entrambi nudi; e il sangue nelle provette è loro. Sono malati di Aids, ma il male non ha ancora piegato il loro vigore. David Hearndon, californiano, uno dei cinque che si alternano sul sofà, addita un cartello che dice: «Non abbiate paura di Tony Kaye. Per piacere toccate». Perché questa non è una delle mille iniziative della Sanità per sensibilizzare il pubblico sui pericoli dell'Aids. E' una mostra d'arte. E Tony Kaye è il controverso pubblicitario che l'ha ideata e allestita: l'enfant terrible degli spot televisivi, dopo essersi fatto bloccare l'anno scorso una pubblicità per la Guinness con due gay che si baciano e un'altra per la Michelin di tipo sado-maso. Ciò che Kaye si propone, in quella che era una macelleria dei mercati di Smithfield convertita in salone d'esposizioni, è di sfidare - con quel che definisce «espressionismo documentario concettuale» - le paure popolari legate all'Aids, in particolare il contatto fisico con i malati. «L'idea spiega - mi è venuta in una galleria d'arte, davanti a un cartello che diceva: "Si prega di non toccare". Ho pensato di capovolgere quella situazione con una mostra all'inse¬ gna del: "Per piacere toccate". M'è subito venuto in mente l'Aids, quindi i malati privati di quel piacere che è essere abbracciati». Non sembra avere dubbi che la sua sia arte. Osserva che anche i paesaggi di Constable non erano considerati arte, semplicemente perché non vi compariva la figura umana. «La mia - afferma - è arte con un messaggio sociale e con una risonanza che proviene dall'interazione con i malati». E poi ci sono nobili precedenti. E' ormai artista riconosciuto, campione della «installation art», quel Damien Hirst che ha esplorato gli atteggiamenti del pubblico su vita e morte attraverso le carcasse di animali immerse in grandi vasche di vetro. E poi Bill Viola, «artista video» americano, non ha intrattenuto il pubblico della Tate Gallery con un video di sua madre morente? Il titolo ufficiale della mostra, che rimarrà aperta tre settimane, è «Don't Be Scared», non abbiate paura. L'esperienza artistica consiste proprio nel parlare con i malati, nel toccarli. «Quando mi tolgo l'accappatoio resto seduto qui con la mia malattia», dice David Hearndon, malato da tre anni: «E questo scuote davvero il pubblico. Gli uomini tendono a non avvicinarsi, le donne al più si mettono a parlare». Inibizioni? Nessuna, si direbbe: «Da quando sono sieropositivo sono stato costretto ad affrontare le mie paure», afferma Glenn Gayford, un altro dei «quadri» di Kaye: «Questa è stata soltanto una nuova sfida. Forse a qualcuno servirà di lezione». [f. gal.] Un'immagine della mostra «Don't Be Scared» (non abbiate paura) ideata e allestita a Londra dal pubblicitario Tony Kaye.

Luoghi citati: Londra