MOSCA l'arcipelago Solzenicyn

Nelle «tane» dove lo scrittore, tornato in patria, cerca di ricostruire i modi di vivere e di lavorare dell'esilio Nelle «tane» dove lo scrittore, tornato in patria, cerca di ricostruire i modi di vivere e di lavorare dell'esilio MOSCA l'arcipelago Solzenicyn EMOSCA ER uno strano gioco di circostanze, al quale non è estranea la sua molto particolare struttura psicologica, Aleksandr Solzenicyn trova oggi un frammento almeno della compiutezza alla quale aspira nella storia e nella vita della grande diaspora russa. All'epoca, quando fisicamente, in virtù di una collocazione geografica - frutto, per altro, dell'esilio totalmente forzato ne faceva parte, tutti i suoi pensieri e il suo appassionato amore erano rivolti verso la madrepatria; oggi egli richiama alla mente di chi lo osservi con vera attenzione la definizione, una volta in voga nell'Urss, di «emigrato interno». Emigrato era allora, ufficialmente, un termine ingiurioso; per l'opposizione clandestina (molto più numerosa di quanto ancora oggi si pensi) si trattava di patenti di nobiltà. Oggi entrambi i significati della definizione si sono in gran parte persi. Aleksandr Solzenicyn, innamorato una volta del suo Paese come della vera donna dei suoi sogni, la bella dama di Aleksandr Blok, sembra, sia pure inconsciamente, ritrovarne le sembianze nell'immagine evanescente della Russia in esilio piuttosto che nella realtà odierna di una terra vulcanica e minata allo stesso tempo. Una tale lettura della solitudine e della sofferenza dei primi anni dopo il drammatico ritorno in patria (attraverso gli spazi immensi appartenenti, fino a pochissimo tempo prima, all'universo concentrazionario del Gulag) è oggi confermata dalla sistemazione definitiva di quella sezione del suo grande laboratorio creativo che è il Museo-centro dell'emigrazione russa, inaugurato lo scorso dicembre nel cuore della vecchia Mosca e al quale egli ha appena solennemente donato tutti i grandiosi archivi storici raccolti nel corso dei 20 anni di esilio e che servono di documentazione e illustrazione a ciò che, tutto sommato, più lo appassiona, lo «arde e l'innamora»: lo scavare in profondità nella genesi della rivoluzione russa. Storicamente sarebbe più corretto dire le due rivoluzioni, quella democratica e quella bolscevica, ma nella visione di Solzenicyn i due eventi si fondono in un unico tragico processo. Per chi conosceva la logistica del vivere solzeniciano in esilio, balza agli occhi il fatto di una riproduzione, frammentata ma per molti versi in facsimile, che è stata gradualmente costruita sul suolo patrio. Nel Vermont, dove per la prima volta nella sua vita Solzenicyn aveva trovato la realtà di una casa propria, tutto era concentrato in uno spazio geografico ristretto due edifici immediatamente attaccati uno all'altro - in mezzo all'immensità solitaria e in un certo qual modo alienante dei boschi. Per sfuggire l'alienazione c'era l'ancora della cappella all'interno stesso del laboratorio. Intorno a essa si snodava il lavoro nelle sue varie fasi: stesura e correzione dei testi, preceduta da lunghi studi e letture, ricerca storica, raccolta di documenti e archivi che solo a lui gli ultimi rimasti (allora ancora abbastanza numerosi) della grande emigrazione postrivoluzionaria erano disposti ad affidare; infine, la vita quotidiana, individuale e familiare, in termini e tempi strettamente misurati. Nella Russia terremotata che egli ha, dopo il suo ritorno, invano tentato di ricomporre secondo un suo sogno, la concentrazione fisico-geografica si è rivelata impossibile. La grande casa di campagna costruita su un terreno preso in affitto (com'è noto, fino a oggi ancora la terra in Russia non può essere oggetto di compravendita) alle autorità comunali in una delle periferie più civili della capitale, TroitseLykovo, una volta residenza estiva di molti personaggi potenti del regime, si è rivelata, a costruzione ultimata, per i tre quarti inabitabile: impossibile da riscaldare in modo adeguato persino l'ino alla temperatura necessaria per lo scrittore stesso, che dopo gli anni di Lager sopporta male il calore al di sopra dei 16-17 gradi. Per giunta l'edificio (che doveva riprodurre la grande casa-laboratorio del Vermont) è umido a tal punto da rendere impossibile la conservazione, nei grandi ambienti seminterrati sempre secondo il modello del Vermont - dei grandiosi materiali di archivio e di una vastissima biblioteca. Così la casa in mezzo al verde moscovita è rimasta come luogo di abitazione e riposo, di fuga dalla città che lo scrittore non ha mai saputo integrare nella sua vita, di meditazione solitaria ben protetta dagli attacchi del mondo esterno. A proteggerlo da tali intrusioni c'è sempre la fedelissima moglie e collaboratrice e l'incantevole suocera, personificazione, fino al limite umanamente concepibile, della gentilezza e della generosità di cuore. A esse si aggiungono collaboratori (sempre pochissimi) discreti e rispettosi, appartenenti a quel mondo russo che non ha dimenticato e non ignora quanto Solzenicyn ha cercato di fare per il suo Paese. Questo mondo è meno numeroso di quanto si sarebbe potuto pensare, ma continua a esistere e forse è vicino il momento in cui inizierà ad allargarsi. Occorre che il terremoto si piacili. C'è, poi, un appartamento del tutto cittadino, in un grande palazzo centrale che di recente è passato attraverso lo sconquasso di una ricostruzione da capo a fondo, e Solzenicyn, trovandosi a doverci vivere mentre l'oasi di Troitse-Lykovo era semplicemente sommersa dall'acqua all'interno degli ambienti (da allora qualcosa è stato fatto per moderare il disastro), ha sopportato rumore e disordine con una pazienza che ha sbalordito i suoi prossimi. Il lavoro letterario si articola tra questi due luoghi. Il palazzo cittadino è abitato in gran parte da rappresentanti della nomenklatwa odierna, e lo scrittore sopporta anche questo, soprattutto grazie alla vena di umorismo tipicamente meridionale rii cui è riccamente dotato. Infine il laboratorio strettamente personale si estende all'antico appartamento nella via che portava allora il nome di Gorky (oggi è tornata a chiamarsi Tverskaya), dove Aleksandr Solzenicyn venne arrestato, nel 1974, per essere trasportato verso un destino ignoto e imprevedibile, poi snodatosi nelle tappe successive della prigione, della fulminea espulsione in Germania, del breve soggiorno in Svizzera e infine dei 18 anni trascorsi nell'eremo della Nuova Inghilterra. Questo spazioso vecchio appartamento, in un edificio mal ridotto in ottemperanza con la media quasi invariabile moscovita, apparteneva una volta alla dolce signora che diventò la suocera dello scrittore, a risarcimento dei danni e delle sofferenze subite dalla sua famiglia. Suo padre era un notabile del partito dichiarato poi nemico del popolo ed eliminato fisicamente per errore, poi riabilitato post mortem in epoca kruscioviana. In quest'appartamento la futura moglie di Aleksandr Solzenicyn dedicava tutto il suo tempo libero dal lavoro universitario di matematico alla ricopiatura, su una vecchia macchina da scrivere, di testi di autori vietati: un'occupazione frequente, all'epoca, fra le giovani donne dell'intellighentzia. E così fu che si conobbero: lo scrittore si rivolse a lei, su consiglio di amici, per chiederle di ricopiare alcuni suoi scritti. Dopo l'espulsione del 1974 l'appartamento fu naturalmente confiscato e vennero ad abitarlo alcune famiglie onorate della fiducia del regime, per quanto se ne sa soprattutto agenti della polizia politica. Le autorità municipali di Mosca dopo il ritorno in Russia dei Solzenicyn acconsentirono (a dire il vero dopo parecchie battaglie) a restituire l'appartamento alla famiglia, trovando altri alloggi per i suoi abitanti. Oggi la vecchia casa spaziosa e un po' balorda è utiliz- zata da Solzenicyn come ufficio editoriale e redazionale per il lavoro inerente alla pubblicazione e alla distribuzione delle sue opere. E' questo l'unico aspetto della logistica moscovita che non preesisteva in America, in quanto là erano gli editori e gli agenti letterari a curare compiti del genere. Ma in Russia le strutture statali sovietiche sono crollate, per ora senza trovare una sostituzione adeguata, per cui ciascuno fa perse. Nell'ex via Gorky lavora anche la sezione moscovita della Fondazione creata da Solzenicyn per aiutare i prigionieri di coscienza e le loro famiglie, ma questo ò più il dominio di Natalia che di Aleksandr. Egli si è preso, però, un angolo della casa per ricevere i numerosi visitatori, alcuni ufficiali, ma la maggior parte sconosciuti, gente semplice e modesta, che vengono a esporgli i loro guai e i loro innumerevoli problemi, reali o immaginari, chiedendo aiuto. Nel Vermont questo fenomeno era presente, ma unicamente per corrispondenza. In Russia, Solzenicyn trova tempo e pazienza per ricevere la sua gente: vede in questo un suo dovere umano, ma anche un modo di scavare nella vita quotidiana prezioso per uno scrittore. Gli immensi e davvero preziosissimi archivi storici hanno invece finalmente trovato la loro sistemazione nella palazzina (un hotel particulier del secolo scorso, messo a disposizione dal Comune di Moscai del Museo-centro dell'emigrazione. E' cominciato l'importantissimo lavoro di classificazione e catalogazione, di cui si occupano alcuni impiegati e parecchi volontari; Solzenicyn si è riservato un suo posto di lavoro a un piano alto della palazzina. Negli ultimi tempi era tornato a scrivere «di fantasia», ma ora che il tesoro degli archivi è di nuovo accessibile, si può prevedere che il suo interesse si rivolgerà nuovamente, e alla luce di quanto vede e osserva oggi, verso il «nodo storico» della rivoluzione, e i cammini che vi hanno condotto (sulle conseguenze egli ritiene di avere già detto tutto). Inoltre da questi tesori eh documentazione storica inedita e sconosciuta al mondo, Aleksandr e Natalia selezionano regolarmente quanto sembra loro degno di pubblicazione in antologie, monografie, volumi di memorie; così sono nate già due collane (di storia moderna russa e quella che viene chiamata la Biblioteca memoriale), con non meno di una decina di pubblicazioni al loro attivo. E il lavoro continua. Tutto proteso, nei tempi lunghi e malinconici dell'esilio, verso la realtà russa che conosceva fin troppo bene, oggi Solzenicyn sembra sempre più vedere la chiave per decifrare il mistero del tornado comunista sul suo Paese nei racconti, più o meno ingenui, nella vita quotidiana e nei grandi tragici silenzi del continente, così a lungo sommerso, che fu la Russia in esilio. Il lavoro instancabile dei suoi laboratori sembra oggi diretto soprattutto al ricongiungimento dei due pezzi dell'Atlantide russa, poiché anche nella profondità nascosta della metropoli viveva «l'emigrazione interna», impermeabile alla violenza e alla volgarità del totalitarismo. Irina Alberti Per il lavoro letterario un museo nel verde e un alloggio in centro E nella vecchia casa della suocera l'ufficio redazionale e editoriale Sistemati anche gli immensi e preziosissimi archivi storici Ma a chi osservi con attenzione appare come un «emigrato interno» km ■ Aleksandr Solzenicyn in una caricatura di David Levin Sistemati anche gli immensi e preziosissimi archivi storici Ma a chi osservi con attenzione appare come un «emigrato interno» Aleksandr Solzenicyn in una caricatura di David Levin