« Stava studiando da Padrino »
« « Stava studiando da Padrino » Confermato l'arresto del giovane figlio UNA€ARRIERA IN FAMIGLIA GPALERMO IOVANNI Riina rimane in carcere e tutto fa ritenere che non ne uscirà presto. Il gip di Palermo Alfredo Montalto ha tramutato in arresto il suo fermo. E nel convalidare le accuse della Direzione investigativa antimafia, sostenute poi formalmente in procura da Alfonso Sabella, uno dei sostituti di Caselli, il gip è andato giù pesante. Le accuse di omicidio e associazione mafiosa sono suggellate da un primo, lapidario giudizio sul figlio ventenne del capo della mafia siciliana, Totò Rima. I magistrati infatti ritengono che «al di là del personale coinvolgimento di Giovanni Riina nell'esecuzione degli omicidi, non vi è dubbio che, già adesso, emerge pienamente la sua partecipazione alle attività, anche le più gravi, di associazione mafiosa». E se questo non è un vero titolo di «mafioso patentato», allora che cos'è? Ieri mattina Riina ha sostenuto abbastanza bene il primo interrogatorio. Soltanto una ventina di minuti di domande e risposte, nel piano ammezzato del Palazzo di giustizia, ufficio del gip Montalto. Qui, presenti il sostituto Sabella e i difensori Cristoforo Fileccia e Mario Grillo, il giovane Riina è sembrato dinsinvolto e non eccessivamente preoccupato, anzi pronto a fornire le spiegazioni richieste. Era in pizzeria con amici mentre uccidevano una coppia di sposi in un agguato nel centro di Corleone; era in campagna (fa l'agricoltore nei terreni di famiglia non confiscati) quando avveniva un altro spietato delitto. E Giovanni Brusca, il sanguinario boss della cosca di San Giuseppe Jato, figlioccio di suo padre? «Mai visto, non lo conosco». E nel paese vicino a Corleone dove Brusca teneva un arsenale (il famoso lanciamissili con cui Cosa nostra progettò di assassinare Caselli e dove Brusca fece strangolare il bambino Giuseppe Di Matteo), lui, Giovanni Riina, era andato sì qualche volta, ma solo per acquistare pezzi di ricambio per il suo trattore. Dei pentiti Tony Calvaruso e Tullio Cannella che hanno collaborato con lo Stato per la cattura di suo zio Leoluca Bagarella (fratello di sua madre Antonina), Giovanni non ha detto proprio nulla. Ha sostenuto di non aver mai visto in faccia né l'uno né l'altro. E, per tornare a Brusca, ha negato di avergli mai scritto un biglietto firmato «Gianni» trovato dalla polizia nell'ultimo covo del boss di San Giuseppe Jato ad Agrigento, dove questi fu bloccato con il fratello Enzo il 20 maggio scorso, ponendo fine alla sua latitanza. Dal Palazzo di giustizia, terminato l'interrogatorio-lampo, Giovanni Riina è stato di nuovo trasferito dai carabinieri in una cella di isolamento nel braccio più sorvegliato nel carcere dell'Ucciardone. Non può parlare con nessuno, l'ora d'aria gli spetta da solo in un piccolissimo recinto, e sempre guardato a vista. Un trattamento da vero boss. Il gip Montalto ha anche firmato un ordine di custodia cautelare in carcere per i fratelli Emanuele e Vincenzo Reda, 41 e 37 anni, fermati lunedì scorso con Riina. Anche per loro è scattata l'imputazione di associazione mafiosa. Antonio Ravidà Giovanni Riina
Luoghi citati: Agrigento, Corleone, Padrino, San Giuseppe Jato
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