La procura «ferma» Salomone

7 Indagava da un anno su Di Pietro, le istruttorie affidate ad altri sostituti La procura «ferma» Salomone Vanoni (Fininvest): mai gestito fondi neri MILANO. Stop a Fabio Salamoile, il magistrato che da un anno indaga sul caso Di Pietro. Lo ha deciso il procuratore capo di Brescia, Giancarlo Tarquini, che ha già assegnato ad altri sostituti le inchieste ancora aperte sull'ex magistrato, oggi ministro. Nessuna dichiarazione da Fabio Salamone. Zero assoluto anche da Massimo Dinoia, l'avvocato che ha assistito Di Pietro fino alle tre udienze preliminari, quelle in cui Salamone è stato clamorosamente smentito dai gip Spanò e Di Martino. «Ma la vicenda non finisce qui», dicono in procura. Si sa che tra Tarquini e Salamone continua un fitto carteggio. La prima lettera, giorni fa, è stata scritta dal procuratore capo. Poi è arrivata la risposta di Salamone, una nuova missiva di Tarquini e ancora una del pm che insieme a Silvio Bonfigli ha radiografato la vita, gli affari e le amicizie pericolose dell'ex magistrato simbolo di Mani pulite. Nelle lettere toni garbati, frasi che non chiudono il dialogo, ma una sola richiesta da parte di Tarquini: Salamone se ne deve andare, non può più indagare su Di Pietro. Motivo: ci sono troppi esposti dell'ex magistrato contro il pm bresciano e c'è un problema di opportunità. Salamone confuta la tesi di chi lo vorrebbe persecutore dell'attuale ministro. Nelle lettere ricorda i suoi atti, quelle migliaia di pagine processuali che - dopo la stroncatura da parte dei gip - attendono il vaglio definitivo della corte d'appello e poi - forse - un processo. E poi c'è ancora una carta in mano a Salamone. Potrebbe rivolgersi al Csm. C'è chi dice che ci abbia già pensato, anche se il passo è particolarmente delicato: un clima di guerra guerreggiata non gioverebbe a nessuno in una procura che per più di un anno è stata sotto i riflettori. «Ma l'ufficio del pm è impersonale. Che un'inchiesta venga assegnata a questo o a quel magistrato non significa nulla. Io mi attengo solo ai criteri di organizzazione dell'ufficio», taglia corto il procuratore capo Tarquini. Che - almeno pubblicamente - vuole evitare di far scoppiare il caso. Era stato Di Pietro, il primo a sollevare il problema. In due esposti presentati a Brescia in aprile aveva sostenuto che Fabio Salamone non fosse più titolato a condurre inchieste su di lui, né come indagato né come testimone. Per sostenere la sua tesi l'ex magistrato aveva presentato una montagna di carte: a partire dall'interrogatorio del pentito di mafia Li Pera, il primo a parlare degli affari edili con mazzetta di Filippo Salamone, il fratello di Fabio. «Querelo chi sostiene un legame di questa vicenda con le mie indagini», aveva risposto a muso duro il pm bresciano. Ma tant'è, è ancora di questa storia che si parla. In gioco non ci sono solo le inchieste ancora aperte su Di Pietro. Quelle che lo vedono nella veste di parte lesa per i complotti dei servizi segreti. O quelle che lo vedono sotto accusa, insieme a tutto il pool, per le denunce presentate da Silvio Berlusconi per il presunto accanimento giudiziario. In gioco c'è anche il processo di settembre, quello che vede sul banco degli imputati Cesare Previti, Paolo Berlusconi, più gli ispettori ministeriali Dinacci e De Biase. In ballo, lì, c'è la storia delle dimissioni di Di Pietro, quelle mai chiarite fino in fondo. Questa tranche dell'inchiesta - come tutte le altre - è stata condotta congiuntamente da Salamone e Bonfigli. In teoria entrambi avrebbero dovuto essere in aula, a rappresentare la pubblica accusa e a chiedere al testimone Di Pietro come mai il 6 novembre '94 gettò la toga alle ortiche. Domande scomode, che forse Fabio Salamone non potrà più fare. Tutto delegato a Silvio Bonfigli, allora? Una parola definitiva ancora non c'è. Continua il carteggio, continuano i chiarimenti. Ma intanto sul tavolo del pm Mario Remus sono già piovute due inchieste che erano di Salamone: una per calunnia presentata da Di Pietro contro l'ex procuratore generale di Milano Beria d'Argentine, l'altra per abuso d'ufficio contro il capo della Digos bresciana Megale, uno dei più stretti collaboratori di Salamone e Bonfigli. Fabio Potetti Il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi

Luoghi citati: Brescia, Milano