Pannella un party d'addio per lo sfratto da Montecitorio di Filippo Ceccarelli

Pannella, un party d'addio per lo sfratto da Montecitorio Il leader radicale: auguro alla politica altri vent'anni come quelli che noi abbiamo creato qui dentro Pannella, un party d'addio per lo sfratto da Montecitorio IL CAMBIO DELLA GUARDIA E ROMA allora addio, addio, s'è fatto tardi, al sesto piano... Il bicchiere di plastica per terra, le fotocopiatrici spente, il vassoio vuoto, i fiori sulla libreria e l'urlo, in lontananza, dell'agitatissimo professor Zevi, ormai prossimo all'ascensore: «Viva il partito radicale! Viva i partiti che muoiono e non puzzano!». E così, anche la festa dell'iniquo sfratto è finita. Narcisistica e malinconica quale doveva essere, con tanto di visita guidata alla stanza di Pannella e vana ricerca di inesistenti «pantafole dell'eroe», come a Caprera. Presto verrà il vicepresidente del gruppo di Forza Italia, Rebuffa, e se la psico-geografia, il misterioso potere dei luoghi, ha davvero un senso, quelle mura potrebbero offrire delle sorprese. Troppe volte, del resto, i pannelliani hanno giocato con la loro morte, chiamandosi inevitabili e funzionali elogi funebri. L'hanno messa, in effetti, in modo un po' drammatico: «Abbandono dei locali» occupati per vent'anni a Montecitorio. Per quale ragione, però, in base a quale diritto, o accordo, i berlusconiani dovessero lasciarceli è già molto più complicato da spiegare. Addentando un residuo pasticcino, Pannella non contesta la legittimità dell'ingiunzione, ma ne fa una questione di «eleganza» e in qualche modo pure di convenienza, per via del colossale archivio (più di 2 mila faldoni destinati a inerziale sommovimento) che Forza Italia avrebbe potuto ancora utilizzare. Ma queste sono quasi minuzie logistiche. E soprattutto: quando si organizza un party perché si devono mollare delle stanze - e ha voglia, Pannella, a protestare contro i «coccodrilli» eseguiti prima del tempo - la rievocazione afflitta è inesorabilmente in agguato, e sempre più le assenze si notano, delle presenze. Bene, allora va detto subito che stavolta, di tutti quelli che ieri mattina potevano o magari dovevano esserci, non c'era quasi nessuno. Il che ha senz'altro contribuito alla controllata mestizia della cerimonia. E al tempo stesso - non sai mai bene secondo quale calcolo - ha fatto sì che, nel vuoto, ulteriori fantasmi si prenotassero un altro pezzettino di Montecitorio: la smorfia scettica di Sciascia, perciò, e Cicciolina vestita tricolore, il rumore degli zoccoli della Bonino in Transatlantico e Teodori che per sollecitare più spazi si accucciava in un armadio davanti ai fotografi, o Pannellone fautore di riunioni pe- nitenziali per deputati inquisiti alle sette di mattina. E poi ancora, alla rinfusa, la guerra dei posti con il pei in aula, Modugno in carrozzella, la volta che inalberarono la bandiera vaticana sul pennone del palazzo, la birra di Pajetta in faccia a Cicciomessere, il libro scagliato dalla Aglietta sulla presidenza, il resoconto sommario con l'intervento del deputato Melega sugli euromissili («Conclude domandando ancora al governo e ai partiti della maggioranza se sappiano dove devono mettere i missili; dal canto suo ritiene che se li debbano mettere...»), Maria Teresa Di Lascia che legge la rassegna stampa, Tortora in visita e Toni Negri, pie- no di tic, che progetta di bruciare il Palazzo, «ma l'incendio non darebbe alcun fulgore alla scena. Montecitorio è un letamaio». «Un ipogeo egizio» lo definì Adele Faccio. Pannella, invece, l'ha sempre adorato, Montecitorio, fin dai tempi (1975, prima dell'elezione) in cui il povero Costamagna, poi amico e fan, fece un'interrogazione per vietargli l'ingresso da giornalista. Fino a stabilire un vero culto del regolamento, rimproverare i suoi colleghi perché si vestivano male, o a prendersela addirittura con il segretario generale che rivolgeva le spalle alla presidenza. Adesso che i radicali se ne van¬ no via, è impossibile e forse anche inutile soffermarsi qui sulle cose buone e le cose cattive che hanno fatto. Più interessante, semmai, può essere anche soltanto accennare alla straordinaria novità che il loro arrivo non solo rappresentò, ma soprattutto finì per innescare in Parlamento. Per cui, mentre ieri Pannella - a ciglio asciutto, per fortuna - alzava il bicchierino augurando «altri vent'anni come quelli che noi abbiamo saputo creare e vivere qua dentro», un po' veniva pure da pensare all'epica radicale, a quella quadrilogia di spettacolare protagonismo d'aula che osservatori disincantati e tuttavia ammirati tuttora classificano come «ostru- zioneide» (record psicofisici di oratoria), «emendamenteide» (primati numerici e quantitativi), «dimissioneide» (con rotazioni apparentemente inconsulte, ma contrastatissime) e «espulsioneide» (ben sei robusti commessi trascinarono via Cicciomessere su sedia gestatoria). Perché davvero nulla parve impossibile a Pannella, in quelle stanze in caotica penombra, isola franca nelle istituzioni, refugium peccatorum, ritrovo di gente incredibile, ex monache, maniaci, cavalli pazzi, spioni sfigati, coppie di profughi - difficile dimenticare quelli soprannominati «I Polipov» per la loro appicciosa intraprendenza - che scappavano dall'Est rincorsi egualmente da polizie e coniugi. Il sesto piano visto dalle mummie dell'allora trionfante partitocrazia come luogo di liberante trasgressione: a un certo punto vi approdò un deputato comunista scopertosi gay che poi cambiò idea (ma aveva già acquistato una casa con un amico). Perché amori e quindi anche odi viscerali scoppiavano di frequente, al sesto piano. Dove Angiolo Bandinelli, storico e sognatore del radicalismo, quasi per scherzo immaginava di mettere una lapide: «1979-1996/ Qui fu onorata/ la politica». E un po' anche la vita. Filippo Ceccarelli Forza Italia occupa i locali che erano stati di Tortora di Toni Negri, di Cicciolina Adele Faccio e Mona Staller A sinistra: Marco Pannella con Emma Bonino nel 1977 Sopra: Leonardo Sciascia e Mimmo Modugno Qui sotto: Toni Negri

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