Sepùlveda, guerriglia di carta di Mirella Serri

Sepùlveda, guerriglia di carta L'autore cileno, collaboratore di Allende, a Roma per il nuovo romanzo Sepùlveda, guerriglia di carta «Mi specchio e vedo Guevara che dice: buongiorno compagno» s ROMA ONO un normale uomo latino-americano»: così si autodefinisce lo scrittore cileno Luis Sepùlveda, ex guerrigliero in Cile, Nicaragua, Bolivia, con anni di prigionia e di torture sulle spalle, ex guardia del corpo del presidente Allende. Il «normale» uomo latino-americano, che alle 6 di pomeriggio si scola un caffè dietro l'altro alternandoli con cigarillos cubani, ha una vita così ricca di esperienze e di avventure che non ce la farà mai a travasarla tutta intera nei suoi romanzi. Ma per il momento ci prova e nella sua narrativa mescola verità e finzione. E' arrivato a Roma convocato dal suo editore Luigi Brioschi, della Guanda, per festeggiare il successo in Italia del suo ultimo bellissimo libro, La frontiera scomparsa, dove non mancano i tratti autobiografici. Lì, in pagine addolcite da uno stile ironico e disincantato si affacciano terribili vicende di prigionia e di amaro esilio. Dietro la folta barba nera Sepùlveda racconta con orgoglio quella che lui ritiene la storia di un'intera generazione nata in Sud America alla fine degli Anni Quaranta, che ha fatto il suo Sessantotto in maniera molto differente dai ragazzi del maggio francese, italiano o tedesco. «E' una generazione, la mia», dice Sepùlveda, «differente da quella europea che ha raggiunto posti di rilievo, o di privilegio nelle istituzioni. E' una generazione di gente felice perché si è comportata con coerenza». Anche il suo ulti- mo romanzo, che si è conquistato le classifiche della Penisola, affronta il tema della felicità. Ma di una felicità perduta. «Una volta in Sud America - assicura il romanziere che attualmente vive in una piccola casa nella Foresta Nera - esisteva un'immaginaria frontiera che era possibile varcare, era quella della felicità. Poi sono arrivati i tempi della disgrazia e della paura e la frontiera è diventata insuperabile». I tempi a cui si riferisce lo scrittore-guerrigliero sono dominati dalla dittatura di Pinochet, quando, in quanto multante dell'opposizione al regime, negli an¬ ni di carcere non gli sono state risparmiate tremende sevizie, dalle unghie scarnificate e strappate alle scariche elettriche sulla lingua e sui genitali. Dopo il rilascio da parte dei militari cileni, il narratore si è trasferito in Germania, ad Amburgo, dove si è tuffato nella sua esperienza più cosmopolita. «Non è cambiato nulla rispetto ai miei ideali di allora - afferma Sepùlveda - oggi mi considero uno scrittore al servizio della causa del Chiapas». , Sepùlveda, che è vissuto per mesi braccato dai soldati di Soni oza, da quando aveva 15 anni si è trovato spesso a faccia a fac¬ cia con la morte («Non temo la morte», filosofeggia aspirando il suo cubano, «la vita non è che preparazione alla morte»). Ha avuto il corpo trapassato da ben quattro pallottole e sul polso ha il segno del morso di un serpente velenoso che lo assalì in Ecuador. E' appena tornato da un lungo viaggio in Patagonia, dove è stato accompagnato da un fotografo argentino, sulle tracce dei primi pionieri che costruirono nel 1920, per 17 anni, il Patagonia Express. Di questa terra gelida e desolata, luogo di leggenda e di magia, parlerà nel suo prossimo libro. «Mi interessa fare un confronto tra i pionieri del passato e quelli moderni. A partire dal 1970 - osserva Sepùlveda che è stato anche membro di Greenpeace - in Patagonia c'è stata una nuova migrazione di gente che cercava un'armonia naturale, che voleva proteggere quei luoghi da uno sviluppo incontrollato. All'inizio del secolo chi si avventurava in queste terre non pensava certo alla tutela dell'ambiente, ma solo alla conquista e allo sviluppo. Oggi è tutto cambiato. I nuovi pionieri, quasi tutti contadini o artigiani - mapuches, li chiamano, gente della terra -, cercano di aiutare gli indios rimasti a non disperdere il loro patrimonio culturale». Lo scrittore, per il quale uno dei dolori più grandi è stata la morte di Allende («Un uomo ineguagliabile, gran lavoratore, geniale, dotato di una carica di umanità impensabile, grande bevitore di whisky, grande fumato¬ re, gran seduttore, pieno di attenzioni per tutti noi che eravamo alle sue dipendenze»), riflette sul successo, sui riconoscimenti e dice che ben poco importa. «Vivere in pace con me stesso è fondamentale. Nei giorni in cui ti senti spremuto fino all'osso, insoddisfatto, la mattina ti alzi, ti guardi allo specchio e ti dici: "Sì, sono uno scrittore famoso. Ma soprattutto sono un guerrigliero". E lì, in un angolo dello specchio, appare il Che che fuma un sigaro come te e ti saluta affettuoso "Buon giorno compagno"». Mirella Serri

Persone citate: Allende, Guevara, Luigi Brioschi, Luis Sepùlveda, Pinochet, Soni