Il lato oscuro dell'Europa

Dall'America all'Italia, si riscopre la scrittrice che Dall'America all'Italia, si riscopre la scrittrice che ci rivelò il Male del '900 REBECCA WEST // lato oscuro dell'Europa 11 sono libri che la gente si I ' porta in guerra - e poiché I alcune guerre sono inveroI i simili, la gente pensa che !afl I un buon libro spiegherà la faccenda. Ma anche i libri sono inverosimili. Quello che la maggior parte dei giornalisti si è portato in Jugoslavia, cioè Black Lamb and Grey Falcon di Rebecca West (tradotto dalla Edt con il titolo 11 viaggio in Jugoslavia, di cui sono usciti finora due volumi, sulla Croazia e sulla Bosnia Erzegovina), è il meno verosimile del mazzo. E' questa, credo, la ragione per cui il New Yorker di Tina Brown ha improvvisamente scoperto Rebecca West e immediatamente consegnato il suo libro alla leggenda, il che equivale a dire «che ognuno ne aveva sentito parlare ma pochi l'avevano letto e restava acquattato nella penombra riservata a quelle opere - come Travels in Arabia Deserta di Charles Doughty e A Glastonbury Romcm.ce di Thomas Hardy - troppo rispettate da alcuni ottimi critici per essere dimenticate, troppo lunghe per; èssere, lette spontaneamente e troppo bizzarre per essere assegnate agli studenti». Scusatemi. Io ho letto il libro 55 anni fa, appena uscì, e poi altre tre volte. E ho sempre detto ai miei studenti che se volevano capire il lato oscuro della storia europea, per non parlare dell'Est e dell'Ovest, dell'Islam e della cristianità (in entrambe le sue forme, cattolica e ortodossa), Black Lamb and Grey Falcon è il libro a cui rivolgersi. Ma per stare al passo con l'esprit del nuovo New Yorker, e con la coscienza senza dubbio appassionata di Brian Hall, l'autore dell'articolo, la sua Rebecca West - che resta comunque, in quelle pagine, un raro tributo (un'onda passeggera?) alla cultura alta - è lì solo per essere demolita: per essere trattata alla stregua di Robert D. Kaplan, il cui Balkan Ghosts: A Journey Through History, uno dei pochi libri sensati (e sensibili) sul conflitto nei Balcani, è descritto da Hall come «un esercizio auto-appagante». Perché? Perché Kaplan ha letto un libro vecchio di 50 anni. E perché non va bene? Perché Kaplan ha visto «ciò che era stato preparato a vedere». Da Rebecca West. E perché Kaplan ritiene che ben poco sia cambiato dai tempi della West e che questo è «un approccio assai allettante, per chi scrive come per chi legge, e dà un senso a tutto». E perché «noi tutti cerchiamo un senso nella storia». Effettivamente lo troviamo. E io sono lieto di apprendere da Hall che il nostro Bill (Clinton) ha letto Kaplan e così pure Hùlary e perfino Colin Powell ne ha letto «una parte». Così potente è stato l'effetto di Kaplan (e attraverso Kaplan, ovviamente, di Rebecca West, che la suddetta compagnia presiunibimente non ha letto) che «quando Les Aspin, segretario alla Difesa, sentì il suo capo parlare del libro, pensò "Merda! Sta andando a Sud a tutta birra"». Io penso che «andare a Sud» significhi che Clinton aveva deciso di non togliere l'embargo e, come incalzava il senatore Daniel Moynihan nei suoi momenti di sobrietà, di «bombardare quelle merde di serbi». Oppure qualcuno alla Casa Bianca, qualcuno che pensava che la storia non è cambiata, aveva ricordato a Clinton che l'ultima volta che l'America «bombardò quella merda» di Serbia fu il weekend di Pasqua 1944, i tedeschi fuggivano a Nord e l'unico risultato positivo dei raid aerei (nei quali morirono tante persone quante ne sono morte nell'attuale conflitto balcanico) fu di portare Tito al potere: il che era proprio quel che volevano gli inglesi, che avevano incoraggiato l'attacco. Come ho sempre detto, meglio tardi che mai. Metti un buon libro nelle mani giuste e non sai mai che cosa può succedere. Penso solo che sarebbe stato meglio se il nostro Bill avesse annusato Rebecca West di prima mano anziché attraverso Kaplan. La verità è che Rebecca West - il suo nom de piume deriva direttamente dal Rosmerholm di Ibsen, e forse ricorderete che in quella pièce il pastore Rosmer, pieno di quella «stanchezza mortale» che ossessionava Ibsen, viene distrutto dalla brutale, giovanile energia di Rebecca - era una donna assolutamente straordinaria e tale è il suo libro. Cadetta di tre ragazze in una famiglia dalla situazione finanziaria sempre più precaria, Cicely (Cissie) Fairfield, nata nel 1892, aveva pensato di fare l'attrice prima di decidere invece di causare la sua parte di guai ai Rosmerholm del suo tempo. Uno di questi fu lo scrittore H. G. Wells, con il quale ebbe una lunga relazione dalla quale nacque un figlio illegittimo, lo scrittore Anthony West. Wells le scrisse che era nella sua natura «oscurare il mondo e offuscare ogni ricordo» e, in una frase molto elo quente citata da Hall, che lui aveva una «splendida mente disturbata» ■ e Hall sottolineava la parola «di sturbata». La West ha dato addosso a Wells descrivendo i bosniaci che, nel fronteggiare i turchi, semplicemen te si arresero per poterli odiare me glio. Si comportarono, essa scrisse, come una donna che si arrende un uomo; i turchi, come Wells, arrivano a capire che non solo l'uomo «non ha conquistato la mente di lei..., ma non è neppure sicuro di essere amato, di piacerle o addirittura di essere considerato importante». Poi a lui viene in mente che forse lei «non si è presa la briga di resistergli semplicemente perché nulla che lui potesse fare era di qualche importanza. Lui può addirittura avere il sospetto che lei lo abbia lasciato entrare nella sua vita perché lo odiava». La West - una di quelle donne del XX secolo che, come la scrittrice Rose Macaulay o la filosofa Hannah Arendt, soffrirono in modo quasi uguale di amori non ricambiati e di ampiamente ricambiate avversioni - era ossessionata dai suoi tempi e da quelle avversioni. Il giudizio di Hall, non del tutto sbagliato, è che la West sia vissuta nel dualismo freudiano Eros/Thanatos, la forza vitale e la pulsione di morte; che abbia trasformato il manicheismo di Sant'Agostino (iniziò anche un libro su di lui) in un «credo metà psicologico metà mistico» che applicò, come semplice decalcomania, a ciò che vide nei suoi tre viaggi in Jugoslavia, finanziata dal British Council. Nel libro che scrisse al ritorno ci sono alcuni aspetti grotteschi e non pochi semplicemente sbagliati. Ma nella sostanza la West era nel giusto. Aveva capito, ad esempio, la differenza tra nazionalismo e internazionalismo, tra il combattere per ciò in cui si crede e l'arrendersi alla pace. In un altro passaggio citato da Hall scrisse con veemenza alla «Peace Pledge Union» (Unione per l'impegno alla pace) chiedendo: «Credete davvero di poter abolire il cancro convincendo diecimila persone a sottoscrivere l'impegno che non intendono prendersi il cancro?». Il problema con la West, agli occhi di Hall, è che il nazionalismo che essa assorbì come una sorta di illuminazione era il nazionalismo serbo, e che l'odio viscerale che nutriva era rivolto ai tedeschi, padrini dell'attuale conflitto nei Balcani, e ai turchi, che insieme ai Paesi islamici lo hanno mantenuto vivo. Questo, per i lettori del New Yorker, è una condanna sufficiente. In quei circoli una Unione europea guidata dalla Germania è la Buona Novella, e anche l'Islam, grazie al guru della nuova sinistra Edward Said, non è certamente qualcosa da conservare, per citare Hall, in «mini riserve» chiamate «porti sicuri». Ancora più mortale, tuttavia, è la passione di Rebecca West per la spiegazione del presente attraverso il passato, il che, nel suo caso, è tanto candido (nel senso di un amore innocente) e commovente come, per dire, il punto di vista di Gibbon sul declino e la caduta di Roma o il love affair di Michelet con il san gue «mestruato» della Rivoluzione francese. Forse, come scrive Hall, «gli atteggiamenti possono cambiare radicalmente in cinquantanni» e ((nessun giornalista oggi appogge rebbe le "convinzioni malamente razziste" della West (turchi e tedeschi cattivi, croati inaffidabili, ser bi buoni), ma la maggior parte dei giornalisti che oggi scrivono del conflitto non sono né storici né scrittori, e neppure buoni ascolta tori o buoni studenti. Vengono tra sportati sugli aerei delle Nazioni Unite, con uno zaino traboccante di pubbliche relazioni e ideologie di seconda mano. Hall dice che tutti hanno letto Rebecca West; ma molto più probabile che il loro vero amore sia Susan Sontag. Il peggio di queste ideologie di seconda mano, e il motivo per cui la West è ancora straordinaria da leggere, è lo sprezzo dell'Europa e dell'America per tutti gli slavi in quanto ((barbari», un tema che trae origine dalla «spinta a Oriente» della Germania e, nel caso dell'Italia, nella sua fatua ricerca di un qualsivoglia impero sull'altra sponda dell'Adriatico. Rebecca West conosce i suoi polli. Come ha scritto in quel capolavoro di dettagliata osservazione di genti, luoghi e cose, di sensualità e disgusto che è Black Lamb and Grey Falcon, «le multitudini europee che non hanno fame di verità direbbero: "Uccidiamo quegli siavi così dediti alla foiba, facciamone degli schiavi per paura che tolgano alla ricchezza tutto il suo valore e ci presentino a Dio, un incontro che potrebbe non essere gradevole"». In un mondo relativista e secolarizzato, le verità furiose di un certo ceppo di assolutismo che è nazionalista e ha continuamente versato il suo sangue non per rimanere a proprio agio ma per rimanere se stesso, sono semplicemente inesplicabili e intollerabili. Esse hanno qualcosa dell'autentica natura del Male come lo vede il XX secolo - cioè come qualcosa che andrebbe estirpato, perché sempre l'assoluto calpesta il relativo e i «diritti» sono violati. I miei studenti hanno visto le immagini dei serbi che bruciavano le loro case nel «loro» quartiere di Sarajevo e le radevano al suolo. Come, nessuna televisione? Non era rimasto un letto, uri oggetto? Ma i miei studenti sono cresciuti in una cultura dove non si possono dare voti a scuola, altrimenti gli ultimi della classe subiscono una perdita di autostima. In un mondo dove le madri spingono le fighe a volare (e ahimé morire) a sette anni, la hybris non ha senso più di Icaro, le cui ah si sciolsero al sole. Tutti dovrebbero leggere Rebecca West e bruciacchiarsi. Perché, a dispetto di Hall e del New Yorker, il fatalismo non è una foiba. Quando Hall scrive che «le nazioni, intrappolate nelle loro personalità immutabili, devono agire come hanno sempre agito» e che «esiti imprevedibili, cambiamenti impenetrabili di direzione sono nemici della gradevole sensazione di poter capire da dove un Paese viene e dove va», io rispondo con un Amen. E non discuto, come fa Hall, il fatto che Rebecca West <(ha dato man forte affinché questa vergognosa eredità continuasse». Hai ragione, Rebecca! Naturalmente doveva essere innamorata di Eros e Thanatos. La maggior parte dei bravi scrittori lo è. E' lì che avvengono le vere epifanie. Keith Botsf ord Visitò più volte la Jugoslavia negli anni che precedettero ^fa II guerra mondiale Nel libro che ne ricavò la spiegazione delle tragedie dei nostri giorni scrittrice che T a ci rivelò Vlar^Izf^faN ss?* ,Jii