Sulla pace in Ulster si litiga in diretta tv di Fabio Galvano

Sulla pace in Ulster si litiga in diretta tv E gli unionisti ricusano il mediatore americano Mitchell: «Ha simpatie per i repubblicani» Sulla pace in Ulster si litiga in diretta tv Parte il negoziato, show del braccio politico Ira escluso dal tavolo LONDRA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE Sono cominciati nel caos i negoziati di Belfast che rappresentano secondo il primo ministro britannico John Major l'ultima spiaggia per l'Irlanda del Nord. Il Sinn Féin, la più dirompente voce cattolica e repubblicana, ne è stata esclusa per il rifiuto dell'Ira di annunciare una nuova tregua, mentre persino i rappresentanti degli estremismi armati protestanti hanno trovato posto attorno al tavolo quadrato mstallato nel palazzo di Stormont. E due degli schieramenti unionisti, fra cui il Dup capeggiato dal reverendo Ian Paisley, ricusano il senatore Usa George Mitchell come presidente della prima trattativa multilaterale - se non fosse per l'esclusione del Sinn Féin - nella storia dell'Ulster. L'impasse non è risolta. E se l'episodio delle porte sbarrate a Geny Adams e al negoziatore del Sinn Féin Martin McGuinness si è risolto con una sceneggiata prima a porte chiuse e poi in pubblico, la questione della presidenza (e dell'agenda dei lavori) era ancora irrisolta nella notte irlandese e riprenderà probabilmente stamane. La delegazione del Sinn Féin, una delle dieci per il negoziato di pace dopo 25 anni di guerriglia, si è regolarmente presentata ai cancelli. Ma non è stata ammessa alla sala negoziale del terzo piano. E' stata invece incontrata da un funzionario britannico che ha formalmente spiegato i motivi del rifiuto. Ma ad Adams («Siamo venuti per costruire la pace») non è bastato: il leader repubblicano ha preteso che la stessa dichiarazione fosse fatta fuori dei cancelli, davanti alle telecamere. «Siamo qui non in protesta ma per asserire i nostri diritti», ha detto Adams. E' stato un importante e riuscito gesto, con cui il Sinn Féin ha messo a nudo quella che definisce un'«illegalità»: quarta forza al voto della costituente negoziale del 30 maggio, il braccio politico dell'Ira sostiene di avere diritto al suo posto attorno al tavolo. «Dovunque nel mondo ci siano stati processi di pace coronati da successo - ha detto Adams - non credo che si siano appoggiati su una politica della porta chiusa». Major ha un bel difendersi affermando che «un partito è assente per scelta propria» e ha un beli'auspicare che «la saggezza prevalga e l'Ira ribadisca inequivocabilmente la sua tregua»: quello di ieri, agli occhi del mondo, è stato un autogol. Il negoziato voluto da Londra e da Dublino, e coraggiosamente accettato dalle fazioni rivali, è partito con un tonfo. Senza il Sinn Féin nessuna decisione potrà portare alla pace. «Troppo a lungo - ha detto Major aprendo i lavori - la storia del Nord Irlanda ha avvelenato il presente e minacciato il futuro. E' ora di porre fine a tutto questo, per quanto difficile possa essere. La Storia ha fatto troppe vittime. Troppo sangue è stato versato. Troppo a lungo la violenza è stata una parte tale dello scenario politico da essere data per scontata». Per questo la porta, che Adams denuncia come chiùsa, resta in realtà socchiusa: a condizione di una tregua che l'Ira aveva sospeso proprio per le incertezze e le frenate di Londra sulla strada del negoziato. Non meno grave la questione della presidenza. Neppure contatti dell'ultima ora fra gli unionisti e Mitchell sono valsi a superare l'impasse. Per tutta la giornata il senatore, sospetto di favoritismi repubblicani, è rimasto dietro le quinte e l'accesa discussione è stata presieduta dal ministro britannico per il Nord Irlanda sir Patrick Mayhew. Ma con un monito di Paisley: «Non si sognino, lui e Spring (il ministro degli Esteri irlandese, ndr), di alternarsi alla presidenza. Abbandoneremmo le trattative». Piuttosto, ha detto, una rotazione delle delegazioni: «Compresi i nazionalisti». Pare incredibile. Fabio Galvano

Persone citate: Adams, George Mitchell, Ian Paisley, John Major, Martin Mcguinness, Paisley