L'astronave di Indiana Jones di Alexander Stille

Dalla pala al radar, dagli scavi allo spazio: così le nuove tecnologie rivoluzionano il lavoro dell'archeologo Dalla pala al radar, dagli scavi allo spazio: così le nuove tecnologie rivoluzionano il lavoro dell'archeologo Eastronave di Indiana Jones /\] GAINSEVILLE I ! (Florida) I I UANDO Farouk El-Baz, il un geologo egiziano, -VJ guardò per la prima volta \. le immagini radar del deserto del Sahara prodotte dallo Shuttle alla fine del 1981, era certo che i suoi amici della Nasa avessero commesso un terribile errore. «Assomigliava a un paesaggio europeo, con fiumi, laghi, montagne e valli», dice. Dopo aver ricontrollato le coordinate, però, El-Baz si rese conto che quello era il deserto egiziano non come appare oggi, ma come doveva apparire diverse migliaia di anni fa. Il radar aveva attraversato la sabbia asciutta mettendo in rilievo i contorni di un paesaggio lussureggiante, letteralmente evaporato circa cinquemila anni fa. Persuaso che queste immagini localizzassero fiumi sotterranei e forse insediamenti preistorici, El-Baz convinse il governo egiziano a scavare in questo terreno assai poco promettente, a centinaia di chilometri dal più vicino filo d'erba. Trovarono non solo acqua sufficiente per irrigare 200 mila acri di terreno, ma anche ceramiche e attrezzi delle popolazioni che per centinaia di migliaia di anni avevano abitato la zona. Trovarono perfino pitture su pietra che risalivano a 35 mila anni prima e raffiguravano babbuini, struzzi e giraffe - ulteriori prove che il paesaggio un tempo era stato un'erbosa savana. Con quelle prime immagini radar si apriva un nuovo capitolo nella moderna archeologia. A poco a poco la tecnologia spaziale è diventata uno strumento d'uso comune per studiosi che fino a poco tempo fa erano soliti lavorare con la pala in una mano e un testo antico nell'altra. La crescente convergenza tra discipline scientifiche e classiche è apparsa evidente al recente congresso del World Monuments Fund, «Nuove tecnologie e gestione globale delle risorse culturali». Qui il professor El-Baz, ora dell'Università di Boston, e alcuni tecnici del Jet Propulsion Laboratory si sono uniti a storici, archeologi, architetti e studiosi d'arte della Cambogia, Texas, Ungheria, Francia e Inghilterra, per discutere l'utilizzo delle nuove tecnologie nello studio e nella conservazione dei siti culturali. II World Monuments Fund cominciò a interessarsi alle immagini satellitari nel 1994, quando chiese al Jet Propulsion Lab di dirigere il radar dello Shuttle Endeavor sui templi di Angkor, in Cambogia, che il Fondo voleva proteggere. Oltre a scoprire nuovi siti, la tecnologia aiuta gli studiosi a re¬ interpretare i monumenti sui quali lavorano da decenni. «Cinquantanni fa pensavamo che la storia di Angkor fosse ben conosciuta, ora mi tocca cambiare idea ogni anno», ha detto il professor Claude Jacques, dell'Ecole Pratique des Hautes Etudes di Parigi. Dopo aver dedicato gran parte della sua vita di studioso a trascrivere antiche iscrizioni Khmer di Angkor, ora si dedica alle immagini prodotte dal satellite francese Spot. Le immagini dallo spazio, assai costose, sono soltanto uno degli aspetti della cosiddetta rilevazione remota, cioè l'analisi di oggetti a grandissima distanza. Gli studiosi presenti al congresso, che si è tenuto all'Università della Florida, hanno discusso anche di macchine fotografiche che volano nell'infrarosso all'interno di dirigibili flosci o di magnetometri a protoni da trascinare lungo i siti archeologici per raccogliere nuove informazioni. Ogni oggetto ha la sua «firma» La rilevazione remota, nella forma di fotografia aerea, esiste già da tempo ma il campo è stato rivoluzionato in anni recenti dai progressi della tecnologia spaziale e dell'informatica. Nel 1978 il programma spaziale americano cominciò a servirsi della tecnologia radar messa a punto nei viaggi sulla Luna per esplorare la Terra e nei 1981 lo Shuttle trasportò una nuova generazione di sistemi per immagini chiamati Spaceborn Ima- ging Radar (Sir-A), proprio quelli che hanno rivoluzionato la visione del deserto egiziano. Il vantaggio principale del radar rispetto alla fotografia convenzionale è che non dipende dalla luce. «Non siamo influenzati dall'atmosfera terrestre, da pioggia, polvere, materiale vulcanico, nuvole - spiega al convegno Diane Evans, del Jet Propulsion Lab -. Il radar si procura da sé la luce cosicché possiamo fotografare anche di notte». Il radar invia un segnale che rimbalza su un oggetto a terra. Misurando il tempo che occorre all'eco per ritornare, il radar calcola la distanza, mentre il modo in cui il segnale è stato disperso fornisce importanti informazioni sulla natura dell'oggetto sotto osservazione. Ogni tipo di oggetto ha una sua «firma»: sulla cima delle montagne il radar rimbalza, mentre viene quasi completamente assorbito dall'acqua. Quando i dati radar vengono ricomposti in immagini, i picchi montuosi appariranno splendenti, e l'acqua scura. I dati topografici radar inizialmente erano rivolti allo studio di realtà come il riscalda¬ mento globale o l'attività dei vulcani e delle maree, ma le immagini dell'81 del deserto egiziano rivelarono le potenzialità del radar nel lavoro archeologico. Un volo dello Shuttle nel 1984 ha svelato le linee di antiche rotte commerciali nel deser- LA LETTERA Sembra arduo stabilire se la Letteratura della Lamentela (ora in voga) rappresenti una regressione o un progresso. Occorre peraltro rammentare le precedenze, rispetto agli esempi recenti. Già molti anni fa Adriana Asti aveva scoperto che basta la battuta «sarà stato doloroso, eh!» per scatenare una loquela interminabile in nove «sciorette» su dieci. E l'immortale «quante disgrazie e dispiaceri in casa nostra, signora mia!» si può far risalire ad almeno due sommi: Franca Valeri e Federico Zeri. Alberto Arbasino to arabico, portando alla scoperta della città perduta di Ubar, nell'Oman. I paesaggi desertici sono particolarmente adatti alla rilevazione remota perché il radar attraversa la sabbia asciutta mentre non può penetrare nel terreno umido. Per questo gli archeologi adottano diverse tecnologie secondo la diversa natura dei siti. Anna Roosevelt dell'American Museum of Naturai History sta aiutando a riscrivere la storia degli insediamenti umani nel bacino dell'Amazzonia attraverso l'uso dei magnetometri a protoni, strumenti che raccolgono le interferenze nel campo magnetico al di sotto della superficie, indicando la presenza di cimiteri, tracce di focolari o utensili di ferro. La più recente generazione di radar spaziali (Sir-C), entrata in funzione nel 1994, ha applicazioni più vaste dei suoi predecessori. Ha tre diverse frequenze, ognuna delle quali raccoglie diverse caratteristiche topografiche. L'onda lunga della banda L, ad esempio, può infilarsi nel terreno, mentre la banda C è altamente sensibile ai diversi tipi di vegetazione, il che la rende particolarmente adatta alla giungla. Le diverse sequenze possono essere combinate in vari modi o mescolate con le fotografie convenzionali per creare immagini che illuminino aspetti quali la densità degli alberi o le formazioni geologiche sotterranee. Nel 1994, in un'unica missione dello Shuttle durata 11 giorni, il radar è stato in grado di scrutare 32 milioni di miglia quadrate, circa il 9% dell'intera superficie terrestre, producendo dati per l'equivalente di 25 mila volumi di enciclopedia. Sebbene soltanto una minima parte di quei dati fosse stata raccolta a Angkor, essa è bastata a tenere occupati gli studiosi negli ultimi due anni. Nel cuore della Cambogia L'antica città di Angkor è stata la capitale imperiale dei Khmer dal IX al XV secolo, nel cuore di quella che oggi è la Cambogia. Sono centinaia i palazzi reali e i templi, tutti collegati tra loro da un sistema straordinariamente complesso di vie d'acqua, laghetti e cisterne. Il radar, sebbene non possa attraversare il suolo dell'umidissima giungla che circonda Angkor, è però in grado di rilevare sottili variazioni nella vegetazione che potrebbero essere il risultato di ciò che si trova al di sotto della superficie. Gli studiosi hanno scoperto quelli che considerano sentieri sconosciuti, canali e anche muri di templi. «Con il radar incominciamo a vedere il legame tra le cose. Due edifici che sono stati studiati separatamente sono in realtà collegati l'uno all'altro - ha detto Janos Jelen, ambasciatore d'Ungheria in Cambogia e esperto di Angkor -. Osservare il sito dallo spazio con il radar ci aiuta a vedere le cose in maniera globale». Fra le scoperte più interessanti, una serie di linee circolari apparse quando Elizabeth Moore, dell'Università di Londra, ha cominciato a lavorare al computer sulle immagini radar (immagini che potrebbero suggerire che cosa c'era a Angkor prima della sua storia conosciuta). «Tutti gli edifici esistenti sono rettangolari, mentre queste rovine sono circolari», dice H. E. Vann Molyvann, il ministro cambogiano della Cultura e dell'Arte. Sia Moore sia Molyvann sperano di potersi servire del radar per identificare i luoghi dove scavare per localizzare le rovine della Angkor preistorica. L'esaltante visione dallo spazio è stata bilanciata, al congresso, dal racconto della più modesta realtà a terra, in molti siti culturali importanti. «La rilevazione remota non è una panacea - ha detto Margaret MacLean del Getty Conservation Institute -. In molti casi le sfide più serie a un sito sono troppo piccole per essere visibili dall'alto. Sono, ad esempio, l'agricoltura di rapina o il deterioramento della politica ambientale nei siti che dovrebbero essere protetti». In nessun altro luogo ciò è più vero che a Angkor, abbandonata durante la guerra civile cambogiana degli Anni Settanta e ora estremamente vulnerabile allo sfruttamento e al saccheggio. Le sculture dei templi vengono rubate e vendute quotidianamente, spesso sotto la supervisione delle stesse truppe armate che dovrebbero controllare la zona. Intanto le società immobiliari della Malesia hanno proposto di affittare per 40 anni l'area e costruirvi alberghi, casinò e stravaganze suono-e-luce. «Per l'anno 2002 si aspettano di avere mezzo milione di turisti l'anno», dice Molyvann. Membri influenti del governo cambogiano, alla disperata ricerca di valuta straniera, favoriscono il progetto nonostante le obiezioni di Molyvann, che è nominalmente il responsabile del sito. «Angkor per noi è un luogo sacro - ha detto al congresso -. Non pensiamo che debba diventare una Disneyland. La nostra eredità è davvero in pericolo». Alexander Stille Le immagini restituite dal satellite rivelano realtà insospettate sepolte sotto terra Una preistorica savana dove ora è il deserto, violati anche i misteri dei palazzi di Angkor