L'Europa più flessibile riscopre il buonsenso di Alfredo Recanatesi

Spagna OLTRE LA LIRA =1 L'Europa più flessibile riscopre il buonsenso ALLEGRARSI per le .difficoltà degli altri non sta bene. Quando le difficoltà sono quelle della Germania, però, su qualche indulgenza si dovrà pur contare se è vero, come sembra vero, che esse stanno consentendo, o addirittura favorendo, interpretazioni più ragionate e ragionevoli delle condizioni per la partecipazione alla unione monetaria. I collaboratori del ministro tedesco dell'Economia, proprio quello che tante volte ha bacchettato l'Italia, sono rimasti stupiti, e l'hanno quasi rimproverato, per come sia stato «morbido» nella riunione del Consiglio dei ministri economico-finanziari dell'Unione lunedì scorso a Bruxelles. Non aveva battuto ciglio, e tanto meno si era opposto, di fronte ad un documento che - semplicemente con la sparizione di due parentesi quadre non si sa bene come avvenuta e ad opera di chi - rimette alla interpretazione del Consiglio la verifica del rispetto delle clausole in genere e di quella sul disavanzo in particolare. Si tratta, cioè, di estendere ad altri parametri l'elasticità interpretativa che fin dall'inizio era stata prevista per lo stock di debito. La situazione che si è così determinata non è del tutto chiara, anche perché l'orientamento ad una interpretazione più flessibile del dettato di Maastricht è avversato, con fervore integralista, da quanti temono che in tal modo possa avviarsi una deriva lassista in grado di compromettere la linea di rigore finora seguita. Fatto sta, però, che dopo le tensioni del dicembre scorso in Francia, le contestazioni al piano di riequilibrio tedesco, e più in generale dopo la caduta dell'intera economia europea nella palude della stagnazione, qualcosa è cambiato e sta cambiando. Poiché all'epoca della definizione dei trattati l'Italia aveva già un debito superiore al 100% del Pil, ed il Belgio lo aveva ad oltre il 120%, la clausola di un limite del 60% fu inserita ugualmente, ma accettando espressamente che sarebbero stati ammessi quei Paesi i quali, pur conservando un indebitamento superiore, avessero dimostrato di averlo avviato stabilmente e significativamente verso la riduzione. Ora una analoga elasticità interpretativa è stata accettata, o almeno non avversata, per un parametro ancora più critico, ossia il disavanzo o, più precisamente, il saldo netto da finanziare. La questione - come si è già detto - non è ancora del tutto definita, ed è probabile che non lo sarà fino all'ultimo, data la sua evidente delicatezza. Si tratterebbe, comunque, di transigere sulle eccedenze che fossero dovute a circostanze del tutto contingenti e comun que reversibili, come ad esem pio un deterioramento dei conti pubblici determinato da una stagnazione congiunturale e che, di conseguenza, sarebbe inopportuno affrettarsi a correggere provocando danni maggiori dei benefici. Non si tratta di lassismo, ma di semplice buonsenso. L'esperienza finora fatta da tutti i Paesi nel contenimento dei disavanzi è tutt'altro che positiva. Il presupposto iniziale secondo il quale una minore domanda di capitali per il finanziamento dei disavanzi avrebbe stimolato la domanda per il finanziamento degli investimenti produttivi si è rivelata del tutto infondata: in tutta l'Europa il risultato di una azione così pressante e circoscritta nel tempo è in una stagnazione indotta da una diffusa e generalizzata riduzione del livello di vita. L'effetto redistributivo operato dai disavanzi e dal loro finanziamento si è ridotto senza innescare nulla che possa sostituirlo. Le collettività nazionali, di conseguenza, manifestano una crescente insofferenza che impone di temperare con la flessibilità propria della politica il rigore tecnocratico che finora ha prevalso. Ad opporsi al riconoscimento di questa realtà, ed alla conseguente accettazione di una interpretazione più elastica del processo di unificazione monetaria, è stato finora il timore, soprattutto da parte della Germania, che la nuova moneta europea nascesse più debole e meno affidabile del marco. Il peggioramento dei conti tedeschi e le difficoltà che il governo sta incontrando per porvi rimedio hanno indebolito il marco e reso la Germania un po' meno diversa dagli altri Paesi che aspirano a partecipare alla moneta unica. Per quanto paradossale possa sembrare, quindi, le difficoltà della Germania operano nel senso di una armonizzazione tra i Paesi europei. Una armonizzazione tanto più positiva si deve aggiungere - in quanto non più basata esclusivamente sull'offerta sacrificale del potenziale di crescita delle economie e del benessere dei popoli sull'altare di regole giuste e necessarie, ma distorte dalla pagana ottusità con la quale finora sono state considerate ed applicate. Si converrà che la prospettiva di una unione monetaria più flessibile, ma attenta allo sviluppo ed al benessere, è preferibile a quella più rigida, ma che sta creando stagnazione, disoccupazione, tensioni sociali e che alla fine avrebbe dilaniato l'Europa Alfredo Recanatesi est |