«Serve un cambio stabile»

Moneta forte o debole? Per gli imprenditori è un falso problema Moneta forte o debole? Per gli imprenditori è un falso problema «Serve un cambio stabile» Fossa: va bene il marco fra 1000 e 1100 SANTA MARGHERITA. Lira forte o lira debole, che cosa è meglio per la nostra economia? Non è questo il problema, rispondono gli imprenditori, o perlomeno non è in questi termini: l'importante è la stabilità del cambio. Una linea che li ha trovati sostanzialmente d'accordo a Santa Margherita Ligure, in occasione del convegno dei giovani della Confindustria. Giorgio Fossa, neopresidente degli imprenditori privati, la sintetizza così: «Oggi, visto il livello dei tassi, siamo ai limiti massimi della discesa. Con i tassi attuali, penso che il valore sia tra le 1000 e le 1100 lire. Ma il fattore più importante è la stabilità del cambio. Oscillazioni troppo rapide in tempi brevi rendono insicura l'impresa, e ne erodono i margini». Il dilemma, aggiunge Aldo Fumagalli, ex presidente dei «giovani», posto così non ha senso e si può valutare solo nella prospettiva di un nostro ingresso in Europa: «Se vogliamo andarci, e io sostengo che dobbiamo, allora ci vuole una lira che ci consenta un cambio stabile. Se riusciremo a fare un discorso corretto su inflazione e riduzione del deficit pubblico, il prezzo della lira lo farà il mercato, ma noi entreremo in Europa con un cambio stabile». Ma la lira forte vi penalizza? «Se va sotto le mille lire può avere effetti negativi per la competitività di prezzo - dice Fumagalli - ma non dimentichiamo che, oggi, un certo rallentamento nelle esportazioni non è tanto legato alla lira quanto al rallentamento e alla crisi interna di alcuni nostri mercati di esportazione, come la Germania». Ma una lira forte non può essere un pericolo per chi esporta, rendendo meno competitivi i prodotti? «No - risponde Pietro Moltini, presidente giovani industriali di Genova, industria di cavi elettrici che esporta il 70% del fatturato perché il mio prodotto è di alta qualità. Il problema è che bisogna diventare competitivi non per la lira debole ma per la qualità». La lira forte riduce l'export e per un settore come il nostro, spiega Giancarlo Ferrante imprenditore palermitano dell'abbigliamento (esporta il 10% del fatturato), non va tanto bene, «tuttavia porta altri vantaggi: unita alla stabilità consente di accedere a prestiti esteri con maggior successo». Il problema della lira forte non tocca Giuseppe Turrin, presidente di Replastic, imprenditore del settore alimentare (soft drink). Spiega: non sono esportatore. «Viceversa, per quanto riguarda l'import - e l'imballaggio contiene materiali che vengono da fuori - per me va bene, perché la lira più forte diminuisce il costo delle materie prime. Ma in generale mi chiedo: come può un paese sperare in una moneta debole? Certo la lira debole aiuta l'export, ma l'Italia non è un paese in via di sviluppo. Volere una lira debole significa spostare l'ottica dai grandi problemi. I fattori da sorvegliare sono altri: la sottocapitalizzazione delle imprese, il credito non facile, una forza lavoro non elastica. Se un'azienda che esporta il 90% muore perché la lira torna forte, non è un'azienda valida. Vorrei piuttosto avere una lira pari al dollaro: vorrebbe dire che abbiamo risolto i nostri problemi di falso federalismo e di rapporto con le banche. La lira forte è il biglietto da visita del paese. Con la lira debole siamo in balia degli speculatori di tutto il mondo» Il sindacato dice la sua con D'Antoni, leader Cisl: «Lira forte? Se il livello è quello giusto, non capisco le lamentele, non si può avere tutto nella vita, la botte piena e la moglie ubriaca. Il vero problema è l'inflazione che tiene alti i tassi». E i banchieri? «A noi - risponde Mario Sarchielli, presidente di Bnl - interessa che il cambio sia ragionevole rispetto al sistema paese». [fr. bu.] Giorgio Fossa, presidente Confindustria A sinistra, Sergio D'Antoni della Cisl

Luoghi citati: Europa, Genova, Germania, Italia, Santa Margherita Ligure